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Sunday, 09 December 2018 00:00

Lascia che io viva

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Mattino di febbraio                                                                                  febbraio ’18

Il mattino brumoso
scappa tra le nuvole
E quando il cielo è terso
allora solo faccio caso a quel pesco
bramoso di maggio.

Com’è scoppiato nel silenzio
quel rumore di pesca che ancora manca al suolo?

A volte, scavando nel vuoto
Il cuore trova slanci di rondine.

 

 

Silenzio

Oggi lascio dietro il tempo di giardino.
Se l’avrò detto all’ibisco forse avrò peccato di tracotanza.
Se l’avrò detto all’ulivo invece avrò avuto almeno l’illusione
Che l’amore mi sopravvive.
Lo dico, preferisco d’onestà, con le impronte nella sabbia.
Presto il vento le cancella per tutti.

 

 

Senza titolo

Proseguirai, posso dirlo solo al mio giardino,
senza me.
Solo qui posso stare,
solo il giardino o un ulivo secolare
possono sopportare il male di tenermi lontano da te.
Il mio giardino che
trova un’ombra di terra
per questo amore senza il nome di pianta
né conosce il colore dei suoi fiori
sa, grida con il vento,
che i fili d’erba proteggano i tuoi baci scalzi.

 

 

Lascia che io viva

Lascia che io viva serena.
Non mi guardare come fossi un mostriciattolo o un insetto mezzo schiacciato.
Lascia che il mio sangue scorra
come il fiume che s’accompagna alla riva.
Sì, scorrimi al fianco senza togliermi
Nessun respiro e spiraglio di luce,
Che la tua ombra non adombri la mia.
Lascia che all’alba tutte le paure e le parole
che si agitavano
Arrivino alla stessa riva solitaria di prima.
Lascia che io vada felice a sdraiarmi dove
giacciono inermi per un bacio, le nostre labbra bugiarde
a ricucire le sponde del cuore.
Con grande serenità, solo serenità
A ricucire le sponde del cuore
Così lontane dai baci e dal vero.

 

 

                                                                                                                  Capo Testa, Sardegna
                                                                                                                  15 agosto ’18, ore 18:47


 

E appena inquilina di questo mare
sarebbe imminente la vergogna
del corpo che si sente tanto amato
tra braccia infinite.
Ma l’esperienza da solitaria amante
non più di due minuti soccombe
a troppo pudore.
Nella baia
ritrovo la casa dove abita il fato
e il faro che s’affaccia
preoccupandosi delle ginocchia bruciate di corse contro il sole
per arrivare  sorpresa d’oggi –
a questa nostalgia possibile.

Mi dà pace
che gli astri che qui scruto
non posso altro che riscoprirli
che mi lega al verde delle rocce intorno
lo stesso diritto che
se ora cantassi come un uccello
mi risponderebbe con il cielo tra i sentieri.
Ma a trasgredire non s’infrange
che un pianto sul volto di salsedine.

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