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Sunday, 27 August 2017 00:00

Gli ultimi fuochi

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Milano, sul finire degli anni Novanta. Sono trascorsi quasi cinque anni da quando ho deciso di dimettermi dal mio prestigioso ruolo di Project Manager nonché Product Manager della rappresentanza italiana del più grande gruppo assicurativo del mondo con casamadre a New York.
Poco più che ventenne ero già all’apice del successo, perché allora sui cinquantacinque anni mi sono sentito spinto a lasciare una tale invidiabile posizione e allontanarmene per sempre con idee forse velleitarie su ciò che avrei fatto dopo? Cercherò di spiegarmi, ma, attenzione, questo è un racconto. Con tutto quello che può significare. Mi piace qui citare il grande Julio Cortázar, secondo il quale “La genesi del racconto e della poesia è la stessa, nasce da un repentino straniamento, da uno spostamento che altera il regime ‘normale’ della coscienza” (da: Del racconto e dintorni).

Spirito creativo. Tutto nasce da lì. Dapprima l’ho praticato sul lavoro: brochure di buon impatto ed espressive, newsletter, houseorgan diffuso tra le migliaia di nostri producer, e quant’altro fosse utile allo scopo di vendere le nostre polizze. Non poche delle quali erano frutto del mio impegno inventivo.
Il tutto ha utilmente funzionato per anni spianando la strada al mio sviluppo in carriera. A New York i dirigenti locali erano più che soddisfatti. Al punto che avrebbero voluto trasferirmi negli Usa. Ma io ho sempre preferito proiettare i risultati nel mio Paese.
Anni di lavoro trascorsi e attraversati da personali passaggi esistenziali fantasiosi. Mi sono sempre tenuto lontano dalla vita piatta che vedevo tra la gente. Prevalente e costante il mio interesse per l’altro genere. Ma lontano da qualsiasi pensiero di vincoli senza limiti temporali. Mi apparivano estranei al mio modo di concepire la vita. Capitava che, parlandone con amici, il mio veniva definito un modo nichilista di stare al mondo. Ma così non era. Volontà di spirito libero, la mia. Come vedremo.

Già dalla post-pubertà. Dai primi approcci, veniva alla luce una tendenza che col tempo sembrava non abbandonarmi. Salvo un caso, di cui parlerò, che ha ribaltato la mia concezione della vita.
Il sesso, ma non solo. Cominciavo allora ad assimilare il rapporto con le ragazze come fosse un incontro con il bello in sé, piuttosto che la consumazione di atti e legami a lungo termine che non lasciassero spazio e tempo alla ricerca di esperienze con nuovi Soggetti (per dirla col personaggio Orin Incandenza come in Infinite Jest di David Foster Wallace, che pochi anni dopo avrei letto con partecipazione emotiva). Ma non erano i prodromi di un mio futuro sviluppo di sciupafemmine. Tutt’altro. Senso estetico, piuttosto.
Del resto, sin dalle prime esperienze sul lavoro, poche erano le colleghe che con gesti, messaggi più o meno espliciti quanto basta e soprattutto nei fatti mi offrivano materia su cui incardinare la mia ricerca di quel tipo di bellezza del senso dell’essere. Non nichilista, quindi. Mai annullarmi a tal punto.

– Graziano, sono ormai vent’anni che stai dando il meglio di te stesso qui da noi. Sei apprezzato come pochi nel nostro ambiente. Di te hanno parlato in modo lusinghiero sulla stampa di settore. Della tua capacità di realizzare il nuovo, intendo. Non hai mai pensato di orientare il tuo talento in un campo più stimolante, per esempio la narrativa? – È Fabrizio Marchi, Direttore del dipartimento liquidazione danni, che me lo chiede mentre stiamo sorseggiando un caffè giù al bar.
– Bella domanda.
Fabrizio Marchi è il collega col quale sono più in confidenza. Sebbene il mio rapporto rispetto a tutti gli altri sia ottimo. Ma con lui c’è qualcosa in più che mi lega: siamo tutt’e due voraci lettori. E i nostri incontri più che frequenti, anche casuali, finiscono sempre per portare la conversazione su questo comune interesse.
– Dovrei dunque lasciar perdere tutto quello che ho fatto fino a ora, e lanciarmi in un’avventura che, ammettilo, potrebbe riservarmi qualche incognita?
– Beh dài, lasciando questo lavoro, con la tua posizione ti cuccheresti un fior di bonus di fine lavoro.
– Sì, questo è certo ma per quanto la questione sia oltremodo stimolante mi ci vorrebbe un gran colpo di reni.
– D’accordo... magari basterebbe ridurre di quel poco le tue frequentazioni femminili in posizione orizzontale. Avresti così il tempo necessario per preparati al salto nell’universo letterario.
–.Spiritoso!
– Mi stai dicendo che resterai inchiodato per tutta la vita al sia pur per te appagante insurance management.
– Ascoltami Lorenzo. Una cosa te la devo dire: sto pensando che a tempo debito andrò in pensione di anzianità lavorativa e non in quella di vecchiaia. Il che significa tra circa dieci anni. Allora ne avrò cinquantacinque e – se tutto va bene – potrò dedicarmi alla scrittura. E nel frattempo continuerò ad arricchire la mia conoscenza letteraria che a tempo debito suppongo possa essermi d’aiuto, non trovi?
– Un esordiente cinquantacinquenne... sai le case editrici...
– Sì, capisco dove vuoi arrivare. Sono tempi difficili e il profitto prevale sul valore artistico. E si punta sui giovani, più facilmente manipolabili. Semmai pubblicherò a mie spese. E poi c’è il web.
– Comunque, le doti le hai. Per non parlare della cultura. Non rinunciare.
– Dovrei in questi anni darmi da fare per fare la conoscenza di un buon editor. Farmelo amico in modo che a suo tempo mi possa essere d’aiuto.
– Farti amici tra le persone che frequenti è il tuo forte. Ce la farai.
– Basterebbe frequentare l’ambiente politico, per esempio.
– Lo faresti?
– No.

Barbara. E una freelance che fa editing e correzione bozze. Ha vent’anni meno di me. L’ho casualmente conosciuta a un meeting di lavoro, dove al termine si doveva pubblicare un libro che esponesse in modo efficace ciò di cui si era discusso. Mi mancano poco meno di due anni per andare in pensione di anzianità. Perché non provarci con lei? Del resto, lavorando fino a tarda notte in questi ultimi tempi ho scritto una decina di Short Story, in uno stile non convenzionale pur lasciando a chi legge la possibilità di rintracciare tracce seppur incerte di una realtà sottesa.
Due settimane dopo. Sono a cena con Barbara in uno dei ristoranti più alla moda nel Centro Storico della metropoli. Le ho già detto tutto di me (o quasi) e le chiedo di portarsi a casa un paio dei miei racconti per farsi una prima idea della mia scrittura. Quando il sommelier ci apre una seconda bottiglia di ottimo Sauvignon Blanc ci guardiamo negli occhi, quello sguardo intenso segna una sorta di punto interrogativo che in realtà non è tale. Con una mano prende il bicchiere portandoselo alla bocca, l’altra mano l’ha appoggiata al tavolo come sfiorandolo. Su quella mano metto lenta la mia, che morbidamente la preme.
– Che hai intenzione di fare in questo week-end? – chiede lei con decisione che mi sorprende.
– Ancora non ho deciso.
– Perché allora non andarcene ai monti, con i tuoi racconti? Tutti quelli che hai scritto finora. I miei genitori hanno preferito andarsene al mare...
– Ma dove andremmo noi?
– A Orino, nell’alta Valcuvia. Dal terrazzo della mia casa per le vacanze si possono ammirare due laghi. Quello di Varese e il Maggiore. Uno spettacolo.
– Cosa t’aspetti che ti risponda?
– Ho già capito che è un sì.
A Orino ci siamo svegliati a tarda mattina dopo una notte al calor bianco. Fuori il sole è allo zenith. Una rapida doccia a due. Poi del caffè bollente, quante tazze non ricordo.
Per rendere più agevole la lettura ho stampato i testi scritti sul computer. Ora i fogli sono sparsi sul tavolo delle terrazza. Ho scelto quelli che ritengo essere i meglio riusciti, gli altri glieli farò leggere in un secondo tempo. E comunque dopo il suo commento sui primi.
– C’è un ordine? – mi chiede. Subito un approccio professionale.
– No, ma troverai in alcuni casi un tema ricorrente trattato in modi diversi. Una tecnica che consente la massima economia di mezzi.
È concentrata. Il volto impassibile. Tra un racconto e l’altro porta lenta lenta alla bocca la bottiglia di birra che beve a piccoli sorsi. Non una parola durante la lettura. Nessuna annotazione sui fogli.
– Parlerò alla fine sussurra d’improvviso.
La mattina se n’è andata. Ci siamo presi una breve pausa solo per un toast. Io ho pensato bene di non chiedere come andava.
– Voglio un figlio, dice lasciando sul tavolo l’ultimo foglio letto.
– Vuoi...
– Sì, da te.
– Ma se ci conosciamo appena! Sì, insomma. E poi la mia età.
– Non hai ancora sessant’anni. Lo sai o no che l’aspettativa di vita non è più quella di una volta? È andata ben oltre. Guardati attorno.
– D’accordo, c’è però la differenza d’età tra noi due. Tu mi piaci, ma come puoi dire che io faccio per te?
– Hai lo spirito e i sentimenti che ho colto dai tuoi racconti. Tutto quello che andavo cercando. Ora ci siamo: la vita è un intreccio insondabile di mistero e totalità. Per questo voglio essere tua, e creare una famiglia tutta nostra, siamo in perfetta sintonia.
– Ma dimmi almeno dei miei racconti. Un primo commento.
– Abbiamo tanto tempo davanti a noi per parlarne.
Il giorno dopo torniamo a Milano. Due vite proiettate in una nuova inaspettata dimensione. Le certezze di un tempo sono ormai alle spalle. Scriverò un romanzo.

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