Ivan Sciarrino è un killer particolare. È un killer del cuore. Di mestiere fa l’innamoratore, ovvero c’è gente che lo assolda perché al rivale di turno non sia tolta la vita bensì la moglie. E Ivan si prodiga in un lavoro usurante. Fa innamorare la vittima e la induce a lasciare il marito. Con una... leggera conseguenza. S’innamora pure lui. Ecco perché l’amore di Ivan Sciarrino è una cosa impegnativa, perché richiede reciprocità. Quando si profila la committenza successiva, Ivan si fa passare tutto ed è pronto a ricominciare daccapo.
Ivan sembra quasi prendere a modello i cavalieri medioevali, il suo è un esercizio stilnovistico fatto di corteggiamenti e attenzioni. Neppure è tutta ’sta bellezza, tuttavia sa che non esiste donna, al mondo d’oggi, che non conviva con dei vuoti relazionali che i mariti o i compagni non riescono a chiudere. O ne rimandano la cura. Sono le fatidiche crepe di un rapporto e Ivan Sciarrino dentro ’ste crepe sa muoversi come una lucertola in un muretto a secco.
Nelle prime pagine, l’innamoratore è ridotto a mummia, in un reparto d’ospedale, dopo un’esplosione con cui qualcuno, o qualcuna, ha tentato di togliergli la vita. Ci sono due carabinieri sprovveduti come quelli di Pinocchio che cercano di fare chiarezza sul tentato omicidio. Per scoprire le generalità di Ivan partono ovviamente da nome, cognome e... professione. Immaginate lo sgomento dei due rappresentanti dell’Arma, lo stesso che proverete voi mentre Sciarrino racconta del suo ultimo caso: Soraya, un’italo-marocchina che dietro a uno scudo di finta forza manifesta incertezze che Ivan distingue a partire da una foto, in cui la donna mostra la sua iniziale tatuata sul collo. Un segno che richiama attenzione, un sono qui utile per farsi notare. Dal marito o da chi ha occhi, e sensibilità, giusti.
L’amore, dunque, non è quello del gigolò o l’ammanettare di cinquanta sfumature di non so più quale colore. Nonostante la sua temporalità, la sua finitezza, perché è una cosa umana, richiede sforzo e tensione, almeno per quel certo periodo. Che può essere lungo, magari grazie a un mistero di mezzo, un’incompiutezza.
Se è vero che ti amo possono dirlo perfino i bambini, con la loro innocenza frutto dei pupazzetti regalati dal compagno di banco delle elementari, quando si diventa adulti occorre qualcosa di diverso. Questo qualcosa è un piccolo non detto, una punta di irrisolto, un qualcosa di sfuggente e indecifrabile. Allora, chissà.
Avvicinatevi a L’innamoratore non tanto come a un giallo, genere che Stefano Piedimonte, mi ha confessato, non predilige ritenendolo tutto tecnica e niente scarnificazione, ma come a una finestra simbolica da cui osservare i rapporti contemporanei, anche quelli che nascono dai social. Rapporti dove è sempre più difficile individuare la linea di demarcazione tra vittime e mandanti.
Stefano Piedimonte
L’innamoratore
Milano, Rizzoli, 2016
pp. 269