Datti calma, fa' silenzio, ascolta
un concerto di odori si espande
blu, verde, giallo
il canto dei colori − albeggia
tra i monti tra gli alberi - e fende lo sguardo
e l'immobilità. Dove tu sei
dove tu sei
un intrico di ruote si spagina
l'universo brancolando tenta nuovi
uguali cicli e l'alba
il sole in una distrazione di hangar
ci promette l'eterno. E noi?
Io tento una vita,
un nome a giorni innominabili
tento di alzarmi e di dire “...
...” vorrei
sorriso millenario rivolgerti mille parole
non c'è secolo per questo fastidio
né giorno che viene né notte che passa
c'è che a volte seduto al balcone mi sento fissare. Sento
l'enorme marchingegno guardarmi
non mutare mai da un tramonto
due cariatidi sembriamo, sprezzare il vento
la pioggia i fulmini, io con occhi
e tu no, mentre qualcosa dice
non finirà mai tutto ciò
finirà la carne
lo spirito
ma la volontà l'altezza io penso
a un risveglio, a un'alba
a un'aria freschissima e respiro l'immoto
svegliarsi delle cose e il mio
intentato, penso a un risveglio
a ipotesi e ipotetiche salvezze nell'alto
sospeso con uno sguardo a un balcone −
dalla bocca del mondo una lingua nel cielo −
è questo, mi chiedo? è questo il vento
della carne che soffia da dietro e mi spinge alle stelle?
Sentimi, amore che vai, pregherò
al Nord come l'ago di una bussola
con un corpo di albero sorriso dal vento
beato e immobile. È questo il nulla che sento
e mi ammala di me? miserere mei
me stesso, Fausto, miserere del nulla
del sonno, sogno
una luce impossibile rifarmi l'anima, fa luce
tra gli alberi, e una forza sovrumana
non sorge, Fausto, non è possibile
che la disperazione per noi. Sento un malessere sopra la pelle
uno sciame di strade che va perdendosi
e io mi chiedo dov'è dov'è, e mi risponde, l'impossibile stradario:
niente. Perché non più ritornare
non più ritornare è possibile − madre
da dove io uscii io torno. Nulla
sono, né sono stato né ho sperato di essere. Io penso
a un risveglio, all'infinito propagarsi dal balcone
gli alberi, al verde, senza muovermi dal mio balcone.
− Arri arri cavalluccio, un canto si propaga
e induce al sonno, all'eterno, e dormo,
nato mai nato, senza azioni e senza sonno dormendo. Io penso
a un risveglio, io penso
e mi dico “senza azioni non esisti
Fausto tu sei quello che fai” e intanto si sfa l'ambaradan
universale, mentre tutto ruota
il disastro. E penso al freddo su Plutone
all'invivibile vita di noi, alle risse
delle mosche, tutto
ridicolo.
L'umanità litigherà anche stanotte, io
sono solo un individuo
che un insetto verrà a visitare con sguardo umano. Vieni
gran madre e vattene, lasciami solo, che dica: io ho fatto
io sono. Intanto sogno inondazioni, precipitazioni
terremoti e morti e morti,
tutto sa di nuovo
la pioggia, dal mio balcone
il disastro, l'odore
il tabula rasa universale. Scivola vai via, lasciami
fare,
morire. È tempo,
sono grande.
(Tratto da Persona, di Fausto Paolo Filograna, Giuliano Ladolfi Editore, 2017, per gentile concessione dell'autore)
Ti dedico la grandezza
che non ho. Quando il pensiero non vola, le parole
non sono una danza e tutto
sta in un riposo da nulla
nella notte che non è riposo dal giorno
né attesa ti penso, amore mio
e ti dedico il nulla. Il pensiero legge seduto
e mi inforca
come un paio di occhiali, vorrei
dirti l'amore che sento in questa paralisi
senza bocca seduto al balcone a questo paralitico cenozoico
di albe ripetute a notti e notti.
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La fucina delle scritture