“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 30 June 2019 00:00

PSCK19 − Intervista a Damiano Nirchio

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Dal 2 al 5 luglio il Napoli Teatro Festival Italia ospita il Puglia Showcase Kids 2019 ovvero − per citarne il sottotitolo − “una vetrina di teatro e danza pugliese per i ragazzi". Tre spettacoli al giorno, tra il Teatro Nuovo e il Cortile delle Carrozze del Palazzo Reale di Napoli; eterogeneità dell'espressione artistica; un insieme di storie differenti e la possibilità, per gli spettatori campani, di conoscere parte dell'eccellenza del nuovo teatro proveniente dalla Puglia.
Il Pickwick, in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, ha deciso di anticipare e di accompagnare la presenza carnale degli attori con interviste che favoriscano la conoscenza dei teatranti che saranno di volta in volta in scena in città.

 

Per cominciare: raccontateci la nascita della compagnia; raccontateci la vostra storia e i vostri spettacoli e – attraverso gli spettacoli – la vostra poetica, il vostro modo di stare in scena.
Il progetto Senza Piume ha radici così profonde che sarebbe complicato individuare una vera e propria data spartiacque tra un “prima” e un “dopo”. Nasce innanzitutto dal sodalizio artistico tra noi due, Damiano Nirchio e Anna de Giorgio, e dalla voglia di fare insieme vita e lavoro, dalla comune esigenza di rivoltare, rompere e ricostruire il giocattolo del teatro. Dopo anni di lavoro in altre compagnie, affiancando percorsi già avviati, tentiamo la scommessa dell’autonomia, della piccola bottega artigiana a conduzione familiare. Una scelta per molti aspetti pericolosa, ma cosciente di essere controcorrente rispetto alle leggi del lavoro e dell’impresa che regolano attualmente tutto il mondo del lavoro e, purtroppo, anche il settore teatrale. Il tentativo è stato quello di continuare a privilegiare l’aspetto artistico, di relazione col mondo, di ricerca e studio, su quello più spiccatamente gestionale, commerciale e d’impresa (senza mai dimenticarlo, ovviamente).
Diciamo che è una questione di “pesi e misure”. Una scommessa di equilibrio.
A distanza di dieci anni dalla nostra fondazione ufficiale (quest’anno ricorre il nostro primo anniversario importante) è forse tempo di bilanci: per molti aspetti la scelta è risultata quella giusta, al netto di prezzi pagati e ancora da pagare.
L’avventura inizia con Senza piume, spettacolo eponimo, vincitore dell’Eolo Awards 2010 come “Migliore novità dell’anno”, che nasce da un lungo incontro con la malattia psichiatrica, tappa di un lavoro di ricerca antico e non ancora interrotto. Poi arriva Come Pollicino, scritto dopo il lavoro con un gruppo di bambini divisi, per mille ragioni, dalle famiglie d’origine; poi Dalla parte del lupo frutto dell’esperienza di Giustizia Riparativa con autori di reati gravi e ospiti della Casa Circondariale di Bari.
A seguire c’è proprio Ahia!, nato dall’incontro e dal lavoro con donne vittime di violenza e in carico al Centro Antiviolenza del Comune di Bari: lo spettacolo vince tre Eolo Awards nel 2017. Arrivano, a stretto giro, Don Chisciotte: l'ultima avventura e Il principino entrambi nati dall’esperienza con i Centri per l’Alzheimer, il secondo dedicato a un pubblico adulto. Lo schiaccianoci, frutto di anni di lavoro e studio sul tema della violenza tra pari a scuola. E infine, in cantiere quest’ anno, Celestina e la luna...
Tutti i nostri lavori nascono da incontri belli, forti, paradigmatici, che pongono dei quesiti e offrono a noi e al pubblico delle chiavi di possibile lettura del mondo. Crediamo fortemente in un teatro che possa essere ago e filo per gli strappi nelle relazioni a tutti i livelli e che possa ritrovare la sua funzione profonda: il vuoto che la progressiva sottrazione di Teatro sta rischiando di lasciare nel tessuto sociale non è colmabile da nient’altro.
Da Ahia! in poi registriamo un cambio di rotta nella nostra storia: molte sono state, anche in passato, le realtà piccole e grandi che hanno sostenuto il nostro lavoro, ma dal 2017 i nostri progetti produttivi stanno andando a completare virtuosamente l’offerta e la progettualità di grandi realtà storiche del teatro pugliese incontrando la produzione dei Teatri di Bari, e recentemente anche del Centro Diaghilev e, per il prossimo progetto, del Crest, nel pieno rispetto della nostra autonomia artistica affiancata ad altre professionalità per una virtuosa sinergia.


Il teatro pugliese, in questi anni, si è caratterizzato per una costante relazione col territorio: dalle residenze “abitate” a un’attività creativa che non si è limitata alla proposta spettacolare. Che relazione avete avuto e/o avete col contesto di appartenenza?
Viviamo e abbiamo sede legale a Giovinazzo, a una manciata di chilometri dal centro di Bari. È il piccolo paese dove sono nato e al quale sono tornato dopo lunghi giri. Purtroppo non ha un teatro e nemmeno una grande tradizione in termini di arti e spettacolo se non quella affidata ad appassionati e amatori (spesso di gran livello). Abbiamo provato a fare di necessità virtù: negli anni, in sinergia con altri cari amici professionisti che hanno scelto di fare dimora proprio qui, abbiamo messo in piedi un festival estivo chiamato Inondazioni che “allagava” il bel centro storico di arte e spettacoli utilizzando location non propriamente ortodosse. Nonostante il grande successo delle tre edizioni realizzate, il progetto non ha incontrato il sostegno politico delle istituzioni locali decretando la sua (temporanea) fine... Ma la compagnia non si arrende e, in collaborazione con gli esercenti di varie attività commerciali, si inventa una rassegna di Teatro Diffuso: bar, officine, ristoranti sono diventati, per tre stagioni invernali, insolite location per piccoli spettacoli che accettavano di abitare un contesto diverso riadattando il lavoro per l’occasione. Due esperimenti riuscitissimi, entrambi, purtroppo, vittime di tagli e di opinabili classifiche di priorità. Un copione comune a molte iniziative che si riserva, però, di essere riscritto. Dopo molta stanchezza e altrettanta delusione, stiamo cominciando a riparlarne.


Per più di un decennio la Puglia ha rappresentato – sul piano organizzativo, strutturale ed artistico – una “nuova frontiera” della teatralità italiana. Quali sono le condizioni attuali del sistema teatrale pugliese?
Direi “buonine”, ma non “buonissime”. Ci sono meccanismi eccellenti che però non girano alla perfezione il che si profila come un grosso problema nei confronti di pubblico e lavoratori del settore. Il discorso sarebbe lungo e complesso, ma potrebbe riassumersi nell’impossibilità di stabilizzare realmente esperienze e progettualità che difficilmente riescono a guardare troppo lontano nel tempo, a immaginare a lungo termine. Spesso capita di vedere abbandonato o addirittura distrutto un percorso e di dover ogni volta ricominciare lavori che invece comincerebbero a portare frutto solo dopo percorsi di medio-lungo termine, come avviene sempre nelle dinamiche sociali e di comunità. Questo non contribuisce alla coesione dei gruppi di lavoro, alla crescita delle professionalità, per non parlare della qualità artistica delle produzioni, delle rassegne e dei progetti di formazione. L’altra sfida sarebbe quella di immaginare modelli di sostegno che non tendano a standardizzare le esperienze, ma che provino invece a garantirne la “biodiversità” e l’unicità, vera ricchezza soprattutto nel nostro campo.


Puglia Showcase Kids
è una rassegna di teatro dedicata innanzitutto agli spettatori più giovani. Ebbene: è cambiato, negli ultimi anni, il modo in cui parlare e mettersi in relazione con bambini e adolescenti? Ed è ancora accettabile la definizione “teatro ragazzi” o è più corretto dire di teatro tout public?
Sarebbe più corretto, lo crediamo da sempre: in genere, e indipendentemente dai tempi, gli aggettivi o le apposizioni messe vicino alla parola “teatro” fanno male al teatro. Malissimo. Il teatro è teatro, e basta: il lavoro di calibrazione dei linguaggi in base alla materia e al pubblico con cui si vuole dialogare è un lavoro che si dovrebbe fare con scrupolo − e senza troppe certezze pregresse − per ogni operazione spettacolare. Se il lavoro è fatto con questo scrupolo estremo, smettendo definitivamente di ritenere gli spettacoli aperti a un pubblico giovane e giovanissimo il parto di una musa minore... allora il problema non si pone e potremo finalmente togliere la dicitura “età consigliata” dalle schede artistiche o immaginare rassegne più “permeabili” e meno tagliate col coltello.
Il teatro, secondo noi, oggi più che mai, è chiamato a ricucire gli strappi: l’idea di mettere insieme tante generazioni attorno a uno stesso discorso è invece meravigliosa oltre che necessaria. Ci piace definire il nostro un “Teatro per l’Infanzia” fidandoci dell’etimologia: è il “teatro di chi non ha parola”, perché ancora non può, perché l’ha perduta, perché non l’ha mai imparata o fatica a trovarla, perché non ne ha diritto. Ecco, lo definirei, in questo senso, un Teatro di Parola tout public.


A Napoli portate
Ahia!. Che spettacolo è? Cosa vedremo?
Vedremo − come spiegavo più su − il tentativo di parlare di cose “grandi” a tutti, compresi i piccoli. Si può parlare della vita e della morte, della cognizione del dolore, della paura paralizzante che porta al suo patologico evitamento, di spiritualità, di aldilà o aldiquà, di lutto e speranza, di come possa essere difficile, ma necessario, essere autori della propria vita e saper interpretare quello che ci accade? Si può essere così folli da fare tutto questo con due attori (la grande Lucia Zotti, le mani incredibili di Raffaele Scarimboli), gommapiuma, un po’ di legno, luci e parole? E si può ridere (ma anche tanto piangere) facendo tutto ciò in poco più di un’oretta? Pare che la sfida sia andata, fino ad ora, a buon fine, ma ogni incontro col pubblico fortunatamente la ripropone e siamo felicissimi di sapere che le sfide per Ahia! continuino.
Per tutto il resto rimando alla bella recensione fatta proprio da voi del Pickwick.


Da un lato Puglia Showcase Kids prevede la coabitazione tra compagnie differenti per percorso, lessico ed esperienze – così favorendo la riconoscibilità reciproca tra chi fa teatro – e, dall’altro, consente il confronto con un pubblico extra-regionale, nuovo, inedito. Quanto è importante, dunque, una vetrina del genere in termini di maturazione ulteriore e di possibilità circuitative?
Più che importante direi fondamentale in un momento in cui la circuitazione degli spettacoli sembra, ad altri livelli, non più particolarmente richiesta, né tantomeno incentivata. Un tempo la riuscita di uno spettacolo si misurava anche da quanti chilometri aveva macinato; oggi sembra essere il numero di borderò l’unico obiettivo da raggiungere. Se poi si riesce a fare il tutto a poca distanza dalla sede ancora meglio, soprattutto per coloro che si ritrovano − spesso loro malgrado − a rincorrere determinati parametri contenendo le spese.
Un tempo le compagnie erano “di giro” per definizione e i teatri “stabili” per antonomasia.
Che tempi sono quelli in cui le compagnie riescono a tornare a casa propria tutte le sere in cui fanno spettacolo e i teatri non sono certi di riuscire a riaprire i battenti la stagione successiva?





Puglia Showcase Kids 2019 è un progetto della Regione Puglia, ideato e realizzato dal Teatro Pubblico Pugliese, finanziato nell’ambito delle FSC 2014-2020 “Interventi per la tutela e valorizzazione dei beni culturali e per la promozione del patrimonio immateriale”, Progetto Sviluppo e Internazionalizzazione della Filiera Culturale e Creativa dello Spettacolo dal Vivo – Teatro Danza.


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