“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 18 June 2019 00:00

“Il traditore”: un cinema di religione fedele a sé stesso

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Il cinema di Marco Bellocchio nasce ufficialmente con l’uscita de I pugni in tasca, esordio sul grande schermo del 1965: un film che ancora dopo cinquant’anni conserva assolutamente intatta la sua carica sovversiva con la sua violenza d’impatto, in una filmografia che anche oggi dopo venticinque opere continua ad essere incredibilmente compatta, coesa, fedele a sé stessa.

I pugni in tasca è profondamente figlio del proprio tempo, perché nasce in pieno tumulto di contestazioni giovanili e studentesche. Nucleo fondante del film è la famiglia, tassello primario e primigenio della società, e la sua inevitabile, ontologica dissoluzione per essere sostituita da una nuova forma di agglomerato emotivo. È l’autorialità del regista che però riesce ad innestare degli inserti che rendono il discorso eterno, impermeabile al passare del tempo: la visionarietà onirica che si risolve, per Bellocchio, in una trasfigurazione perturbante della realtà vista e filtrata sempre e comunque da un’ottica personale. Che utilizza, per decifrare la propria contemporaneità, le sue ossessioni: lo spazio e il tempo della parola, il gioco della sessualità, l’ombra della morte, l’allucinazione della follia, la presenza costante della pratica psicoanalitica: e un gusto, che si è affinato di volta in volta per ogni film, per la sperimentazione e il rischio.
Come si può vedere anche da una rapida lettura, le medesime impronte autoriali valgono per l’opera prima di Bellocchio come per la sua ultima ad oggi, Il traditore: storia del Boss dei due mondi, Tommaso Buscetta, fedele alla trasposizione biografica ma incredibilmente personale nella messa in scena, per un film in cui il contenitore è importante quanto il contenuto. Il traditore è coraggioso, puntuale e deciso proprio come il suo regista: e inaspettatamente declinato in maniera fortemente, decisamente autoriale, nel momento in cui Marco racconta Tommaso con un’idea ben precisa della messa in scena, puntando la sua mdp come se il set fosse un palcoscenico teatrale e i colloqui del pentito una seduta psicoanalitica. Questo fin dalla primissima sequenza (la festa di Santa Rosalia del 1980 che vide siglato l’accordo di facciata tra palermitani e corleonesi), con quei flash che illuminano la scena; e poi a seguire con il maxiprocesso nel quale imputati e “traditore” sono posizionati come su palco e proscenio, orchestra e pubblico; fino ai dialoghi tra Falcone e Buscetta − ecco, sembra tutta una magnifica messa in scena teatrale, dove ognuno gioca al gioco delle parti immerso nella storia vista con gli occhi del regista. Pur senza gettarsi in dispute politiche o teoriche, il personaggio Buscetta è tutto bellocchiano soprattutto nei suoi richiami cristologici, nel momento in cui la religione è affrontata, senza tema di ipocrisie ma neanche di eresia, in maniera sovversiva, e viene in mente allora Borges, con tutta la sua opera e in particolare con Tre versioni di Giuda (da Finzioni, 1944), attraversata dal dilemma della fede: Giuda come Buscetta è un traditore, ma è anche un eroe nel momento in cui infrange le regole della “sua” famiglia di appartenenza ripulendo le coscienze degli altri. Questo lo lascia sottinteso, Bellocchio, nel momento in cui Buscetta − lasciato senza il supporto di Falcone ucciso a Capaci − decide di immolarsi definitivamente rivelando ciò che fino a poco tempo prima aveva deciso di lasciarsi dentro.
Il traditore si presenta allora come un film folgorante e spiazzante, pur se come abbiamo visto incredibilmente coerente con il percorso del suo autore: la famiglia al centro e tutto intorno un mondo, ora fantasmatico, ora dolorosamente reale, dove le varie tipologie di “famiglia” (criminale, parentale, statale) entrano in collisione mostrando somiglianze e dissonanze, nonché contraddizioni ed epifanie religiose.
Con questo personaggio principale, Buscetta/Favino, a fare da trait d’union tra questi vari mondi che entrano in collisione. Realtà e finzione, storia e ricostruzione, politica e mafia: ogni intersezione lo vede centrale e centralizzato, arrivando fino a svelare le finzioni, alzare il velo da ogni costrutto artificioso e finzionale. “La mafia non esiste, la mafia è un’invenzione giornalistica: Cosa Nostra si chiama”, dice al giudice, svelando allo spettatore che Il traditore non è un film di mafia (perché non esiste) ma una rappresentazione di teatro di figura, grottesche e orrorifiche, fantasmatiche e gigantesche per vocazione, che inseguono le contraddizioni dell’ignoto essere umano.







Il traditore

soggetto e regia Marco Bellocchio
sceneggiatura Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo, Francesco La Licata
con Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Cândido, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi, Luigi Lo Cascio, Nicola Calì, Giovanni Calcagno, Bruno Cariello, Bebo Storti, Vincenzo Pirrotta, Goffredo Maria Bruno, Gabriele Cicirello, Paride Cicirello, Elia Schilton, Alessio Praticò, Pier Giorgio Bellocchio, Rosario Palazzolo, Antonio Orlando, Ada Nisticò, Federico Butera, Ludovico Caldarera, Nunzia Lo Presti, Fabrizio Romano, Pippo Di Marca, Marilina Marino, Sergio Pierattini, Raffaella Lebboroni, Giuseppe di Marca, Giovanni Crozza, Matteo Contino, Alberto Gottuso, Tatu La Vecchia, Filippo Parisi
fotografia Vladan Radovic
musiche Nicola Piovani
produzione IBC Movie, Kavac Film, Rai Cinema
distribuzione 01 Distribution
paese Italia
lingua originale italiano
colore a colori
anno 2019
durata 135 min.

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