Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
Ci sono alcuni luoghi che frequentiamo sin da piccoli e fino a vecchi, e che eppure non conosciamo mai veramente. Questo perché vi andiamo sempre a compiere i nostri piccoli gesti abituali, indifferenti a tutto quanto vi è e vi accade, convinti della normalità dei nostri atti folli ed incapaci di cercarvi la meraviglia. A maggior ragione quando si tratta di luoghi come i cimiteri, ne stiamo volentieri alla larga tanto fisicamente quanto col pensiero. Eppure molti di questi sono ricchi di significato e se interrogati sanno rivelarci deliziose verità:
La lunga giornata tra le scimmie trova il suo capolinea in un campeggio alle porte di Torremolinos. Secondo le guide si tratta di una località balneare piuttosto in voga; eppure quel breve scorcio della costa si presenta scuro e opaco, come una foto macchiata dalle intemperie: la sabbia nera rende la costa oscura. Aerei solitari, a cadenze regolari, tracciano linee oblique rispetto all’orizzonte, piccioni famelici si accalcano quasi fin sulla battigia. L’acqua è sempre insopportabilmente fredda e, siccome questa volta non possiamo neanche bearci della bellezza del luogo, abbandoniamo l’idea di rilassarci al sole quasi immediatamente.
Mi avvio per un breve percorso che mi porterà a visitare − sia pur attraverso frammenti più o meno omogenei − certi luoghi della parola scritta.
Era il 10 Agosto 2012 quando, sul Corriere della Sera, Claudio Magris pubblicava l’articolo intitolato In difesa degli scrittori sommersi*. Avevo da poco iniziato a frequentare blog letterari e webmagazine, da principio con semplici commenti, poi con qualche scritto nella forma racconto, note varie e cose del genere. Ricordo come la finissima trattazione del tema fatta dallo scrittore triestino abbia destato subito un mio forte interesse. E da allora ho preso a dare maggior senso al mio tempo libero scrivendo in Rete su temi letterari.
- Il bello del pubblicare in rete
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La nostra piccola auto, scheggia nera ricolma di bagagli, magliette stese ad asciugarsi e buste con alimenti a lunga conservazione, scivola silenziosa a ridosso della costa. La strada che stiamo percorrendo costeggia degli alberi ritti come guardiani e un prato di erbe secche di un giallo talmente scuro che è quasi un marrone chiaro.
Finalmente la barriera di alberi si interrompe, permettendo alla striscia azzurra del mare di fare capolino; sembra che questa punta di lancia dal nome arabeggiante sia la capitale europea del windsurf.
Le piante, da quelle di seta fino alle più arruffate
gli animali, da quelli a pelo fino a quelli a scaglie
le case, dalle tende di crine fino al cemento armato
le macchine, dagli aereoplani al rasoio elettrico
e poi gli oceani e poi l'acqua nel bicchiere
e poi le stelle
e poi il sonno delle montagne,
e poi dappertutto mescolato a tutto l'uomo
ossia il sudore della fronte
ossia la luce dei libri
ossia l'amico e il nemico
ossia la nostalgia la gioia il dolore
sono passato attraverso la folla
insieme alla folla che passa.
Nâzim Hikmet-Ran, L'uomo
Barbonaggio. Diario di un viaggio (ultima tappa)
Written by Emilio NigroA guardarli per strada non devono avere fatto una buona impressione. Venti-trenta persone con un cubo di legno in braccio. In fila indiana. Per le strade di Lecce, prima di raggiungere Piazza Sant’Oronzo dove si sarebbero esibiti. A guardarli qualche pensiero strano, derivante dallo stupore, i leccesi l’avranno fatto.
Non succede così spesso in provincia di barbonare in fatto di teatro. Mendicare sì, ma questo è un altro fatto...
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Le invisibili forme semantiche della moderna tortura occidentale
Written by Gianmarco Thierry Giuliana“E non c'è periodo storico peggiore del medioevo quando le punizioni diventano tecnologiche”
Questa citazione viene dal programma documentario Macchine di morte sul canale DMAX, e per l'esattezza da due puntate dedicate agli strumenti creati dall'Inquisizione durante il Medioevo.
In questi ottanta minuti, attraverso riproduzioni in computer grafic ma sopratutto esperimenti con manichini e vari pezzi di carne da maiale, si cercano di simulare tutti i vari effetti e difetti di queste macchine da tortura.
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Attraversiamo lunghe distese di terra gialla mista a abetaie di un verde tale da sembrare amalgamato con la tonalità della terra stessa. È questo che mi impressiona: non si tratta più del verde cupo degli ombù o di quello brillante degli aranci, disseminato in nubi frondose lungo le vie piastrellate. E non è nemmeno il verde smeraldo degli abeti alpini, così profondo da sembrare la gola gorgogliante di un gigante.
Questo è un colore ibrido, come ibrido è questo paesaggio che, repentinamente, passa dalla pianura alla steppa, dal mare alla montagna, come se tutte queste fossero le facce dello stesso prisma.
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Dopo aver imboccato le astruse autostrade spagnole, ci risolviamo di ricomprare la tenda – smarrita nel ventre di chissà quale aeroporto − e di proseguire con il piano originario.
Cadice è là che attende, roccaforte bianca sull’Atlantico. Eretta dai Fenici nell’undicesimo secolo, la sua funzione era insita nell’antichità del suo nome: Gadir, fortezza.
E, oggi come allora, Cadice è destinata a rimanere impenetrabile: si tratta di una specie di avamposto cui le principali arterie stradali ruotano intorno, senza tangerla né inquinarla.
Barbonaggio, diario di un viaggio (quarta tappa)
Written by Emilio NigroSi torna a casa. In Italia, a calcare strade e palcoscenici ‘familiari’. Rinnovandosi ogni volta che si va in scena. Ricreandosi dall’uomo al personaggio e ricreare la platea proiettandola nell’atto. Per strada va diversamente. La strada è un non luogo (nella definizione artistica del termine) potenzialmente infinito. Il pubblico non è predisposto nel ruolo affibbiatogli dello spettatore.
Barbonaggio, diario di un viaggio (terza tappa)
Written by Emilio NigroLe parole di un artista. Lo sguardo sul circostante a proiettarsi dentro e fuori. Gli sguazzi sull’urbano formicolante caro ai simbolisti di inizio Novecento e all’attitudine dell’accattonare, girovagando, giostre di umori, circostanze, contatti, inquietudini e azioni. Un teatro vivente. Commedianti e impresari, ladri e faccendieri, gente comune, passanti, donne e iene. Chi guarda e chi osserva. Chi guarda e chi vede. Ippolito Chiarello racconta il suo viaggio. Lo fa su un invisibile palco di strada su cui s’installano altrettanti scenografie invisibili. E lo spettatore non è distanziato da nessuna parete. Diventa l’atto, l’atto creativo.
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Barbonaggio, diario di un viaggio (seconda tappa)
Written by Emilio NigroOgni volta che parlo con me. Potrebbe essere il titolo di una poesia, l’incipit di un romanzo d’introspezione, una drammaturgia di soliloqui. Quanto siamo capaci di parlarci e non di rimproverarci, idolatrarci, specchiarci nello stagno che s’innamora di noi? Quanto pensiamo... anziché parlarci. Anziché parlare. Con noi e con l’altro. Il teatro serve anche a questo. Interconnettersi con l’altro. In un’epoca in cui la parola connessione assume significati non umani. Non di pelle. Non di voce e occhi equidistanti. Ma su queste pagine non si vuole fare morale. Raccontare.
Terminal bus di Lecce, biglietteria. Da qui partono le navette che portano al più vicino aeroporto, a Brindisi. È mattino, sul piazzaletto antistante lo sportello – che sembra una sala d’attesa all’aperto, di quelle dove puoi incontrare qualche senzatetto o la turista francese ammiccante – le fasi sono concitate. Studenti, pendolari, affaristi, mercanti, paesani in cerca di fortuna, voyeurs e cocotte, professionisti e inventati. In coda o in attesa. Di un biglietto, una partenza, un ritorno. Qualcosa, comunque qualcosa. Qualcosa da fare.
Arrivo in questa città torrida. È domenica, e il fatto che la gente in giro sia poca la fa sembrare deserta: devono essere tutti in spiaggia o rintanati in casa a godersi il sollievo della penombra.
Si fa presto ad orientarsi: la parte antica della città, quella più pittoresca, si rannicchia nell’alcova formata dall’ansa del Guadalquivir, affiancato da una spaziosa strada a tre corsie. Il resto è un dedalo di viuzze che sfociano in piazze dalle dimensioni spropositate, casette affastellate dalle persiane sprangate e marciapiedi rosicchiati.
“Uno dei miei primi vanti era stato il mio nome. Avevo presto imparato (fu lui, mi sembra, il primo ad informarmene), che Arturo è una stella: la luce più rapida e radiosa della figura di Boote, nel cielo boreale! E che inoltre questo nome fu portato da un re dell'antichità, comandante a una schiera di fedeli: i quali erano tutti eroi, come il loro re stesso, e dal loro re trattati alla pari, come fratelli”.
(L’isola di Arturo, Elsa Morante)
Napoli,
il traghetto transita, si arena sul porto, sembra quasi che voglia entrare sulla banchina e dominare la scena, invadere il molo gettando l'ancora nel cemento, seppellire un viaggio. Però poi è esatto, non sbaglia manovra, si ferma prima dell'errore, prima della terra. Con lunghe funi tiene a bada il suo capogiro, uomini anziani sudano alle dieci del mattino dentro un sole estivo già fuori stagione. Intorno a me una folla dalle mille voci aspetta di salire a bordo e conquistare un altro pezzo di mondo con lo sguardo, acciuffa con gli occhi il primo posto, vogliono tutti entrare per primi, salpare e navigare, restare sul podio umido di salsedine e fermare momenti d'acqua e terra troppo profondi, ancora lontani.