Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
Nell'altra stanza Giulietta, la mia cugina e migliore amica, si sta svestendo, lei non lo sa ma io sono qui che mi masturbo mentre la spio compiere il delicato gesto che si effettua col bacino per portar giù la mutandina e poi quell'altro ancora più tenero quando per toglierle del tutto si alza il piedino e si perde per un attimo l'equilibrio. Nell'altra stanza Giulietta si è svestita ed è ora sdraiata e ansimante sul tavolo dei miei giochi perversi. Mi sgranchisco le mani, per le sberle forti che dovrò darle e per quando dovrò strangolarla.
GIOCO COME LAVORO E LAVORO COME GIOCO
Non resistere e scoprirai come è dolce seguire il corso delle cose.
Non contrastare il desiderio, ma osservalo quando sorge.
Non perderlo di vista quando cresce impetuosamente.
Sii presente quando infine raggiunge il culmine,
Cercando di scoprire dove va quando scompare.
(III messaggio)
Anche il mattino successivo la mia sveglia interna funzionò perfettamente e, in punta di piedi, sgattaiolai dalla stanza, tentando di non disturbare il sonno profondo dei miei tre compagni. Ero indeciso sulla meditazione dinamica, che forse aveva avuto una parte nelle mie reazioni del giorno precedente, ma decisi che era il caso di fare un’altra prova e mi avviai, dopo la razione mattutina di nicotina, verso la dependance.
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Visto da lontano, l’Istituto universitario dalla forma similgotica dove ha sede il mio dipartimento ha un che di misterioso.
La struttura dell’Istituto, culminante nella volta grigiastra dalla quale fuoriescono due spuntoni di diversa lunghezza − che vorrebbero rappresentare la sintesi di una guglia slanciata e piramidale senza tuttavia riuscire a dare all’intero complesso un credibile coronamento estetico − mi è sempre parsa come un’opera concepita da un architetto dalle idee stravaganti. Poi è successo che quasi d’improvviso nel mio modo di osservare quell’edificio qualcosa è cambiato. Sarà che da un po’ ho preso a recarmi in ufficio alle prime luci dell’alba, ossia nell’ora in cui il giorno si presenta carico di promesse. O più probabilmente perché ho in mente un piano così eccitante che ogni luogo che mi capita sotto gli occhi mi appare in armonia con tutto il mio essere.
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Il Circo(lo) Volante Pickwick - ultimissima puntata (registrazione del 2013)
Written by Magliottolo&SagliuoloÈ stato ritrovato per caso nelle cineteche l’ultimissima puntata de Il Circo(lo) volante Pickwick, mai andata in onda a causa della violenta retorica sovversiva dei due autori e soprattutto perché era una gran cazzata, non faceva ridere più nessuno e aveva rotto le scatole ai telespettatori, i quali rischiavano così di disamorarsi allo strumento e al dispositivo della televisione. Decidiamo di mandarla in onda soltanto oggi perché è estate, c’è scarsità di programmi e qualsiasi ributtante vecchia robaccia fa brodo e non pesa sul bilancio. Scusate per la porcheria che state per legger… ehm guardare!
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Aldo Bassi Quartet, "Nove rose"
La moto rombava nella notte. Il nastro scuro della strada, lungo i suoi dolci saliscendi, era squarciato dalle sciabolate di luce del suo faro, che rendevano visibile l’umido lattiginoso dell’estiva salsedine marina.
“Mi accompagni?”
Era stato il semplice invito di Aldo. Poi come a rendere più appetibile la richiesta di condivisione del viaggio “... andiamo a conoscere Carmen, una mia amica...”, “una spagnola?” chiosai. “No no è romana...” e a seguire uno sguardo con quel suo tipico allargamento di palpebre accompagnato da un movimento assertivo della testa come a dire “verace e…”, tosta, pensai.
UNA DOMENICA PARTICOLARE
Anche se il tuo silenzio non è sufficiente per udirmi,
non fare sforzi per conseguirne uno più grande.
Sii consapevole e cerca la dolce quiete, ma non evitare il rumore.
Non dedicare al mondo uno sguardo fuggevole,
ma amalo senza fuggire di fronte al dolore.
Non cercarmi perché io sono già in te
ed è vano fuggirmi perché siamo legati.
Ma, finché vi è uno che desidera e che cerca,
l’incontro non si può realizzare.
(II messaggio)
Il mattino seguente aprii gli occhi prima delle sei e, come sempre, non potei fare altro che alzarmi e uscire dalla stanza, cercando di non fare il minimo rumore per non svegliare le tre persone presenti e ancora immerse in un sonno profondo.
Una calma prostrazione inumidiva finanche le pareti scrostate della mia casaccia
Written by Delio SalottoloEra una di quelle serate che eravamo soliti trascorrere a sentire vecchia musica italiana degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta e a ripetere quelle cose (oramai stantie) del tipo “che personalità Mina, vero?”, oppure “ma ti rendi conto? Nada aveva soltanto 15 anni” o addirittura “Enrico Ruggeri con I Decibel era proprio un’icona new wave”. Insomma, eravamo lì seduti tra il divano, alcune vecchie sedie da giardino che ho in casa per ogni evenienza e una sorta di poltrona che alcuni anni fa avevo ricavato ripiegando in due un vecchio materasso di una stravecchia zia di qualcuno, e giocavamo a sentirci più vecchi di quanto non fossimo e a riconoscere che pur volendo non ci sentivamo parte di nessuna tipologia di comunità umana e nazionale.
- Rita Pavone
- I Camaleonti
- Nada
- Dori Ghezzi
- Mina
- Enrico Ruggeri
- Decibel
- Ikea
- Cammarota è un fulmine a ciel sereno
- Una calma prostrazione inumidiva finanche le pareti scrostate della mia casaccia
- Datemi un martello
- Montagne verdi
- Marcella Bella
- Quartieri Spagnoli
- Borgo Orefici
- Montecalvario
- Applausi
- Camaleonti
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- La Fucina delle Scritture
- Delio Salottolo
- Il Pickwick
Sono Clo. Tutti mi chiamano così. Il mio vero nome è Claudia. Un anno fa scomparivo. Ieri sono tornata. Sono stata via per cercare la mia strada, adesso è venuto il momento di vederci chiaro. Mi ci vorrà un po’ di tempo, ma neanche tanto, perché certi fatti hanno un significato complessivo dai contorni ancora nebulosi, mentre io per carattere ho bisogno di certezze in ogni istante della mia vita. Soprattutto quando mi trovo a dover ricominciare tutto daccapo.
Cronaca di un viaggio in un luogo senza tempo
“Chi non è impegnato a risorgere
è impegnato a morire”
(Bob Dylan)
Viaggiando dentro
Quando infine mi consentirai di essere libera, mio amato carceriere.
Quando abbasserai la voce, per ascoltare il mio sussurro.
Quando ascolterai il respiro, per entrare nel mio ritmo.
Quando capirai che la tua vita è solo una fase del viaggio.
Quando accetterai di ridurti, per consentire la mia crescita.
Allora sarò te e tu me ne sarai grato.
(I messaggio)
La pioggia iniziò ad infittirsi mentre l’autobus di linea si avvicinava a Findhorn. Sino a quel momento, era stata soltanto una lieve pioggerella innocua, utile al più a dare al paesaggio circostante i colori abituali.
11 ottobre 2006
Alfredo camminava per l’ultima volta su quel marciapiede, vestito di tutto punto, come gli aveva raccomandato la sua mamma. Aveva una falcata stanca ma fiera, come di chi percorre il miglio verde sapendo che alla fine del corridoio lo attende una nuova vita.
Quell’assurda camminata quotidiana era così frustrante. Passare accanto a quelle persone insignificanti, magari urtarle ed essere costretto a scusarsi, Alfredo era arrivato al limite della sopportazione. Quel giorno però sarebbe tutto finito, l’ultimo sforzo e tutto si sarebbe concluso con un fragoroso plauso da parte della commissione d’esame. La sua tesi era frutto di un lavoro durissimo, per sei mesi non aveva mangiato, dormito, persino non aveva scopato pur di completarla. Il risultato però era un capolavoro, frutto di collaborazioni illustri guadagnate grazie al prestigio dell’illustre padre, un argomento così complesso che anche il più brillante dei suoi compagni di corso non avrebbe capito una virgola.
Cammino ormai da ventisei giorni. A giudicare però dal fermento di queste persone, che con me hanno condiviso milioni di passi, dobbiamo essere vicini alla meta.
Non riesco a rendermi conto di dove siamo: il mio senso dell’orientamento si è smarrito poco dopo Burgos, tra distese di campi giallo oro e una strada polverosa della quale non riuscivo a vedere mai la fine. Cotto dal sole di giugno, ho continuato ad avanzare quasi meccanicamente, affastellando pensieri alla stessa velocità dei sassolini negli scarponi logori, lasciandomi trasportare dal flusso di pellegrini come se fossi la spira di un serpente senza capo né coda.
Quasi di riflesso, la mia lingua rosea guizza tra le labbra screpolate come se stesse pregustando il sale dell’Oceano; mentre gli altri accelerano il passo, io rallento per cercare di captare l’odore della salsedine in quella brezza che comincia a sfiorare i nostri vestiti incartapecoriti dal sudore, dall’acqua e dall’impietoso sole.
Se ne sta dietro una colonna cercando di non farsi notare. Allunga lo sguardo per qualche istante. Poco più avanti, su un’altra colonna dei portici che incorniciano la piazza, mani non tanto ignote hanno affisso un manifesto scritto fitto fitto con pennarelli colorati. Da dove si trova, la ragazza riesce a intravedere solo le prime due parole a caratteri più grandi: UNIVERSITAS STUDIORUM. C’è anche una fotografia, che subito riconosce. Sorride. Il manifesto goliardico è per lei. Si è laureata in lingue estere, e della parola “lingue” lei pensa che su quel foglio potrebbero esserci le più fantasiose versioni, con tanto di espressioni e disegni allusivi e grevi quanto basta. Le solite cose, immagina. Come da copione. Qualche passante gli lancia un’occhiata di sguincio proseguendo spedito lungo i portici dove filtra la luce di prima mattina. Pochi, per lo più giovani, si soffermano a leggerlo, ridacchiando.
Le giornate a casa con lei passarono piacevoli, ma io non riuscivo a smettere di pensare alla scelta che dovevo fare. Me l’ero messo in testa. Era passata qualche settimana dal mio ultimo delitto e iniziavo a desiderarne un altro. A lavoro ripresi a guardarmi un po’ intorno, ma pensai che sarebbe stato estremamente stupido uccidere un altro paziente della stessa struttura. A quel punto tanto valeva ammazzare direttamente Barbara.
RACCONTI SONORI – I ragazzi di via Alessandro Severo 71a
Written by Mauro ParaciniRemo Anzovino, Igloo − Tregua (feat. Luca Aquino)
La casa in cui, nel febbraio del 1960, mi trasferii con tutta la mia famiglia era di proprietà della municipalizzata dove mio padre lavorava. Si trovava all’ultimo di un palazzone di otto piani e a mia madre non era mai piaciuta. Ma soprattutto non le era piaciuto trasferirsi dal quieto terzo piano della casa di Monteverde, dove vivevamo, ad oneroso affitto libero, vicinissimi a quella stretta cerchia di amici, compari e zie che furono la presenza degli adulti nella mia infanzia. E fino alla sua morte non vi si adattò mai.
- I ragazzi di via Alessandro Severo 71a
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- La commare secca
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- Tutti morimmo a stento
- Senza orario e senza bandiera
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- Mauro Paracini
- Il Pickwick
È il 2013. L’hanno ricoverato al LENOX HIILL HOSPITAL. Nell’Upper East Side, New York City. La telefonata l’ha ricevuta nelle prime ore del pomeriggio in ufficio. A chiamarla è stato Bruce Stoneberg, il responsabile a livello mondiale del gruppo multinazionale INSGLOBE con headquarter negli Usa. Suo marito Riccardo − Rick per gli intimi − è general manager della rappresentanza italiana a Milano. Ha un ematoma cerebrale, e subìto gravi lesioni alle braccia. Un agguato a opera di ignoti. In una tasca della giacca gli hanno trovato una busta contenente una lettera, alcune fotografie e una chiavetta Usb. Il tutto è stato consegnato alla polizia per le indagini del caso.