Con Dancing Queen degli Abba. Ancora una volta si allarga lo spettro del panorama musicale, che oggi finisce per includere – tuffo al cuore per chi scrive – persino la Bandabardò. Per poi virare di nuovo, in questo coacervo mutevole e variegatissimo, verso le note d’un madrigale. La prima ora scivola via così, lasciando fluire il movimento nelle coordinate già tracciate, e aggiungendone come sempre di nuove, abbracciando in un corpo unico tanti corpi in confidenza, con sé e fra sé e gli altri.
L’esperimento di giornata consiste nel “fare Graces”, con i performer che saranno chiamati ad alternarsi nella guida del gruppo mentre al resto dei danzatori toccherà il compito di seguirli; cura preventiva: la preparazione di acqua e fiori, da tenere fuori scena, “dietro le quinte”, a portata di mano, pronti a fungere alla bisogna. Si comincia, come di consueto con tutti fuori inizialmente, poi tutti dentro a dar vita a questo Graces collettivo all’insegna dell’estro armonico. Maria Chiara è la prima “grazia” a guidare le altre, segue Morgana, sotto il cui ritmo caracollante galoppano i cavalli di Graces, mentre con Elena prendono la ribalta i fiori, fino a che, all’apice di questa fase, all’apertura di tutti i microfoni, ci si affastella a modulare ringraziamenti all’unisono, a cui seguono gorgheggi e vocalismi sparati in primo piano.
A seguire è Andrea ad assumere il compito di guidare il gruppo, mentre Silvia continua a stimolare la ricerca della bellezza, a sollecitare maieuticamente i performer ad estrarla dalle loro azioni. Ci si ferma, ma non del tutto, e Francesco apre un topic di discussione su cosa sia davvero la “prosperità” (che insieme a gioia e splendore è il calco del trittico canoviano di riferimento), a cui il resto del gruppo risponde esprimendo ciascuno la propria idea o sensazione.
Si riprende a danzare, questa volta seguendo Maria Stella, che parte declinando sulle note del Valzer di Strauss la fase del ballettone, portandolo fino alla dimensione del virtuosismo e concludendo con le pose statuarie finali in cui permangono tutti. A seguire è il turno di Guido a reggere il gioco e lo fa evocando i superpoteri, mentre Amina dopo di lui introduce l’elemento dell’acqua guidando con una bottiglia in mano e evoluendo con essa. Gran finale “scivoloso”, che termina ancora una volta con tutti in posa.
Sintesi danzata e collettiva di Graces per interpreti intercambiabili, ormai partecipi di un gioco che non solo li diverte e li affascina, ma li fa sentire di fatto “dentro il processo”, gangli di un ingranaggio, in cui ciascuno si può percepire perno per un istante e anello di congiunzione nell’istante successivo. Qualcosa sta prendendo forma, qualcosa sta nascendo, qualcosa ha cominciato a “esistere” soprattutto in termini di consapevolezza interiore, di appartenenza organica a un tutto che è ancora in divenire, eppure già pulsa di vita propria.
La giornata di attività di Danza Pubblica-Graces – che Scenari Visibili organizza aderendo al bando “Per chi crea” di MiBACT e SIAE – si conclude con una non meno fondamentale parte dialogica, con l’apertura di un vero e proprio question time, in cui ci si confronta, si pongono domande, si ripercorre quanto fatto finora, ci si racconta il tragitto fin qui percorso insieme, attraversando atmosfere e “colori” di Graces. La Gribaudi ribadisce quanto sia importante mantenere lo spirito dentro l’azione, “sentirne” tutte le parti, di gruppo e individuali, lasciarsi andare liberamente al gioco, ma concedersi anche il tempo e l’agio di avvertire pure la noia, riservarsi il legittimo imprescrittibile diritto di essere confusi, di non capire, eppure andare avanti ugualmente, accettando che ciò possa avvenire; e poi andare oltre l’ostacolo, superarlo, ed essere pronti a portare l’azione in condivisione col pubblico, come in Graces, dove proprio il pubblicoè attore e spettatore insieme.
Si ragiona poi sulle scelte musicali operate, su come siano nate, sulle intuizioni da cui si parte, alle quali segue poi comunque una scelta ragionata e consapevole.
Ma come nasce un incanto? Come si crea una magia? Dove sta il “cuore” di un sentire e dello spettacolo che ne consegue? E come lo si trova? Come si arriva alla grazia e, di conseguenza, alla gioia e allo splendore? Sono le domande che almeno una volta (ma presumibilmente molte di più) tutti noi che siamo stati dentro a questo processo ci siamo posti rispetto a Graces e a chi Graces lo ha realizzato. E se Andrea Rampazzo pone l’accento sulla ricerca della connessione, del collegamento, dell’instaurazione di un ponte con l’altro, della creazione di uno scambio in cui si porti tutto ciò che si è capaci di immettere, Silvia Gribaudi invece arretra ancor di più il punto d’origine, raccontando della sua rottura nei confronti del limite imposto dalla danza tradizionale e da tutti quelli che ne percepiva come portati negativi: la disciplina ferrea, la prestazionalità, il giudizio e l’ansia da giudizio. E di come col tempo, grazie a un proprio percorso personale, artistico e spirituale, sia riuscita a trovare una propria via, una identità – che è quella del clown applicato alla danza – che le abbia consentito di danzare ridendo, giocando con le proprie fragilità, che è poi un modo per superarle: come dicevamo ieri, il problema che si trasforma in risorsa, in una sfida quotidiana, che quotidianamente si rinnova.
E che per finire viene lanciata ai nostri performer: un video da realizzare, un altro – questa volta di cinque minuti buoni – in cui “fare Graces”, provando a fare in modo che di Graces in quei cinque minuti ci sia “il cuore”. Un cuore che, quando ci salutiamo, sembra abbia già iniziato a battere in tutti secondo cadenze condivise.