“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 09 July 2015 00:00

Nel cupo ventre dell'inquietudine

Written by 

Un rumore di vetri in frantumi segna l’inizio de L’inquilino, prima che la scena si riempia; lo stesso rumore di vetri in frantumi ne segnerà lo svuotamento alla fine; nel mezzo, fra due fragori, una frattura del reale; quel che c’è nel mezzo ha i contorni cupi di un incubo, ha il torpore allucinato di una visione kafkiana.

Un uomo prende una stanza in fitto in un caseggiato che sembrerebbe essere modesto; prima di lui vi dimorava una donna gettatasi dabbasso in misteriose circostanze.
Trelkowsky, il giovane inquilino protagonista della pièce messa in scena da Lab121, diviene in quel contesto un coacervo di paure sopite, di traveggole e cupe proiezioni che lo portano a sentirsi sotto la costante minaccia di qualcosa (e di qualcuno) che sembra incarnare demoni e dare corpo ad una realtà parallela, mistura di verità e proiezioni inconsce. Distorsioni sonore si producono in scena attraverso un metronomo che batte il tempo, il pulsare di un battito cardiaco, rumori di fondo dapprima regolari che poi si fanno sfalsati; sfalsato è anche l’impianto dialogico, che accompagna i discorsi diretti ad uno straniamento desultorio che vede più volte le battute pronunciate “al di fuori del personaggio”, in terza persona, con il personaggio medesimo che descrive l’azione che andrà a compiere o preannuncia in terza persona la battuta che andrà a dire.
Stanza spoglia ed intercambiabile, quella in cui ha luogo l’azione scenica, presenta al suo centro un armadio che rotea più e più volte su se stesso, assolvendo alla molteplice funzione di spoglio guardaroba, ma soprattutto di andito praticabile tra l’interno e l’esterno della casa, tra il vero e l’apparente, tra il mondo esterno e quello interno con cui Trelkowsky si relaziona, agitato dalle sue paure, dal senso incombente di minaccia rappresentato dall’autorità (incarnata dal glaciale e inflessibile padrone di casa Zy), e dall’alterità che assume i sembianti variabili degli altri coinquilini, di un suo amico, o della precedente affittuaria dell’appartamento stesso; minacce che hanno il colore rosso di sangue che gli sgorga all’improvviso impregnando un fazzoletto altrimenti bianco.
Realtà distorta che ingiunge un senso di destabilizzante straniamento, L’inquilino di Lab121 si traduce in scena in uno spettacolo che riproduce l’angoscia dell’essere umano nel suo rapportarsi ad un microcosmo di riferimento (nella fattispecie il caseggiato in cui va ad abitare), facendo emergere i reconditi fantasmi che macerano l’inconscio. Più in generale L’inquilino vuole essere lo specchio, deforme ed iperbolico, di un meccanismo perverso che regola e sottende ai rapporti tra l’individuo e il mondo che lo circonda; in questo, nella rappresentare del senso di angoscia e costrizione che pervade l’individuo nel suo universo relazionale, lo spettacolo diretto da Caludio Autelli raggiunge il suo scopo; lo fa però passando attraverso un sentiero sin troppo elaborato, tortuoso ed arzigogolato.
Avevamo avuto modo di apprezzare – pur se anche allora con qualche riserva accessoria – il lavoro di Lab121 alle Finali di In-Box, in cui il loro L’insonne (tratto da Ieri di Agota Kristof) era risultato lo spettacolo vincitore; ebbene, ne L’inquilino ci pare di registrare un passo indietro dal punto di vista della costruzione drammaturgica, che sembra dilatarsi oltre il necessario, finendo per affastellare un garbuglio di immagini e scene che risulterebbero più efficaci se sottoposte ad un lavoro di sottrazione, rinunciando a qualche ridondanza e comprimendosi in tempi teatrali più serrati.
Resta però la contezza di una complessiva bravura della compagnia milanese, che denota nello stare in scena tanto un’attitudine ed una validità oggettive, quanto un lavoro preparatorio che appare condotto con scrupolo minuzioso e attenta professionalità. La stessa riconoscibilità di alcuni loro stilemi – nella costruzione scenica, nell’impostazione attoriale – è sintomatica di un sostanziale spessore, di un percorso intrapreso che non è aurorale, ma che, pur non ancora giunto a piena maturazione, lascia intravedere margini di crescita progressivi.
Ciò ci fa percepire L’inquilino come una tappa intermedia di un processo di crescita; tappa intermedia con qualche affanno che potrebbe essere agilmente superato in futuro. È un po’ come se, alla stregua del personaggio di Trelkowsky, anche Lab121 avesse bisogno di uscire da qualche ossessione di troppo per dipanare una matassa espressiva che pure sembra dimostrare un’urgenza e dei contenuti da esprimere.

 

 

 

 

 

Fringe E45
L’inquilino
liberamente tratto da L’inquilino del terzo piano
di Roland Topor
adattamento e regia Claudio Autelli
con Alice Conti, Michele Di Giacomo, Marcello Mocchi, Vincenzo Giordano
scene e costumi Maria Paola Di Francesco
disegno del suono Fabio Cinicola
assistenza alla regia Lorenzo Ponte
organizzazione Monica Giachetto, Camilla Galloni
comunicazione e promozione Cristina Pileggi
produzione Lab121
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival
lingua italiano
durata 1h 40’
Napoli, Castel Sant’Elmo – Sala Fringe, 22 giugno 2015
in scena 22 e 23 giugno 2015

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook