“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 20 June 2015 00:00

Simpatica nostalgia

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Il palcoscenico è occupato solo da bauli da trasporto in uso nelle compagnie teatrali su cui sono poggiati due computer ed altri strumenti. La parete di fondo nera chiude il palcoscenico già ristretto della sala Fringe di Castel Sant’Elmo. Tutto è scuro, anche i due attori Matteo Angius e Riccardo Festa sono vestiti di un blu intenso, illuminati solo da alcune luci posizionate in diversi angoli del palco. Il buio da cui emergono i due personaggi sembra quasi voglia sottolineare che non è importante ciò che si vedrà, ma ciò che si ascolterà, infatti siamo all’interno di una radio che sta registrando una trasmissione sul tema della nostalgia.

Una voce registrata fa partire lo spettacolo e subito l’ironia si insinua prepotente tra le parole di inizio trasmissione che dà forma al tema: “Di tutto quello che farete resterà traccia”, significa che “ricorderete ed automaticamente scatterà la nostalgia”. Sul fondale si proiettano delle scritte che indicano il Proemio, i Capitoli e l’Epilogo, come un breve romanzo orale che attraverso una struttura più o meno fissa cerca di dare un ordine a ciò che non lo ha.
Il Proemio, o dell’ospitalità dà il via ad un fluire di ricordi in immagini di oggetti e di gesti come le stelline nella minestrina, il rubare i libri, il “rificco” cioè il tornare a letto dopo essersi vestiti. Si passa poi al capitolo Dedalus, o della ricerca, da Joyce a Proust per ricordarsi di come si era e di come non si sarà più. I due attori sono presenti sulla scena con una grande naturalezza che, è evidente, non è assolutamente frutto di improvvisazione, ma di una padronanza del mestiere. Questo è evidente soprattutto nell’interazione con il pubblico coinvolto in questo recupero memoriale al quale i due regalano alcuni simboli eterni di un’infanzia perduta: le caramelle Rossana, le bolle di sapone, oppure facendo annusare il barattolo di colla Coccoina e, ovviamente non poteva mancare, il questionario originale di Proust con la sua calligrafia, colui che ha costruito sulla memoria una delle opere più importanti della letteratura moderna. Si passa all’esegesi del termine “nostalgia”, dalla sua comparsa storica come stato d’animo nella metà del 1600, poi vista come malattia romantica. A queste battute tra i due attori e all’interazione con il pubblico, si alternano proiezioni di filmati in bianco e nero e non manca nemmeno un altro maestro dell’amarcord, Federico Fellini, che descrive il quartiere Eur a Roma. Altre citazioni sono di Nanni Moretti, quando aprono il capitolo dell’amore del passato, della poesia che conquista con un semplice "Ciao", definito “poesia quotidiana” con un sorriso.
L’altro capitolo è Siamo tutti in pericolo, o dell’andar per mare. Il rischio di perdere qualcosa e di vivere in perenne nostalgia, l’urgenza di vivere il qui e ora: “Se non si mettono le mani vicino a una persona non si accarezza nessuno”. Riccardo Testa inserisce un monologo intrecciando precisi ricordi in ore e date che leggiamo sulla parete, lasciandoli e riprendendoli in un flusso temporale come di coscienza. Il monologo prosegue con un momento ironico riferendosi all’accezione negativa che si è dato al termine “nostalgico” che oggi definisce i fascisti che si sono appropriati di una parola che ha tutto un altro senso. Così di ricordo in ricordo, di nome in nome, i due presentatori radiofonici passano all’ultimo capitolo; La possibilità di un’isola, o della nostalgia coinvolgendo sul palco un uomo e una donna del pubblico che indossano una maschera assistendo muti ad altre rievocazioni, anche musicali.
In conclusione il nucleo fondante di questo viaggio apparentemente disordinato è che non è importante ricordare cosa, ma dove, il posto, il luogo che è quello che si imprime nell’animo, quel quid tenero e doloroso che chiamiamo nostalgia, perciò è bene “provare a fare qualcosa di cui poi avere nostalgia”. Con l’Epilogo, o dell’approssimazione finale, che include solo i meritati applausi, finisce una pièce a suo modo poetica, autentica, conclusione di una riflessione che si fa naturalmente, istintivamente quando si iniziano a fare i primi bilanci intorno ai quarant’anni, l’età dei due attori. Uno spettacolo che parlando del passato, ha sprazzi di nuovo.

 

 

 

 

 

Fringe E45
O della nostalgia
scrittura e regia
Matteo Angius, Riccardo Festa
con Matteo Angius, Riccardo Festa
produzione Urteatro
lingua italiano
durata 1h 10’
Napoli, Castel Sant’Elmo – Sala Fringe, 16 giugno 2015
in scena 16 e 17 giugno 2015

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