Si diceva che non esiste soltanto l’arte che cambia la Storia, perché esiste un’arte nascosta che vive di sogni sopiti e di tranquille umanità, che si configura come ricerca personale (certo influenzata da quelli che cambiano la Storia) e come esigenza esistenziale. C’è chi nasce artista anche senza rivoluzionare il mondo o la Storia, nasce artista semplicemente e semplicemente segue la propria passione. C’è insomma chi nasce in una famiglia di artisti, come il nostro Cefaly (il nonno era garibaldino e pittore storico di razza), e gira l’Italia alla ricerca di se stesso e del senso del suo lavoro, e nasce in provincia di Catanzaro, nel nostro amatissimo e profondissimo Sud, nel 1901 e poi è a Napoli a formarsi come pittore, si sposta a Torino (nello studio di Casorati, lì conosce il meglio dell’intellighenzia piemontese e antifascista da Gobetti a Carlo Levi) dove comincia a sentirsi parte del mondo della pittura e infine, alla morte del padre, nel 1928 ritorna nelle sue terre.
C’è insomma chi a soli quattordici anni già dipingeva con ottime capacità e concretezza (Ritratto padre con candela, 1915), e chi poi a diciannove anni era capace di ricreare l’espressività di un volto fuori dal tempo, pompeiano, arcaico e attuale allo stesso tempo (Ritratto di fanciulla, 1920). E poi ci sono gli anni ’20, lo stile influenzato da Casorati ma sempre personalissimo. Infine nel secondo dopoguerra la rivoluzione stilistica, quella che avviene dopo l’incontro tremendo e sostanziale con l’arte europea in occasione della Biennale Veneziana del 1948, dall’impressionismo alle varie forme di espressionismo, è tutto un tumulto di esperienze e di rivoluzioni stilistiche. Sono quelli che cambiano la Storia e cambiano la Storia proprio perché cambiano anche le piccole storie, umanissime e profonde, di chi vive d’arte come Cefaly.
L’esposizione è organizzata perfettamente, è toccato ogni periodo della sua esperienza artistica. Le opere che colpiscono maggiormente sono proprio quelle che nascono dall’incontro/scontro con l’arte europea, sono gli anni ’50 e ’60 e Cefaly si trova a essere un pittore del suo tempo. Si potrebbe parlare di come il fauvismo abbia influenzato il cambiamento della sua tavolozza e lo abbia spinto verso colori aggressivi e ferocemente espressivi come in Figure (1958), e poi si potrebbero raccontare le prospettive à la Cezanne di Vicolo di Cortale (1954), oppure i ritratti che ricordano Kokoschka (Contadino calabrese, 1953). E si potrebbe (e forse un critico serio dovrebbe) continuare con la ricerca dei riferimenti. Più difficile forse sarebbe trovare riferimenti per l’ultima parte della sua opera, dove campeggiano soprattutto divertenti e intelligenti autoritratti, ma un critico serio ci riuscirebbe sicuramente. A noi hanno colpito per gli impasti cromatici e la continuità d’ispirazione che, seppur attraverso cambiamenti fondamentali, ci fanno dire: sì, è sempre Cefaly. Lasciamo agli altri la ricerca dei riferimenti.
È un gioco (spesso divertente) che oggi non vogliamo fare.
Proprio perché c’è un’arte che cambia la Storia (e le storie) e ci sono uomini che sono modificati dalla Storia e che in essa trovano respiro e forme nuove di ispirazione, noi vogliamo semplicemente raccontare una pagina della storia dell’arte italiana, sconosciuta (almeno a noi) ma di grande e sincero valore.
Girando e rigirando tra le tele, non possiamo che ragionare sul fatto che l’arte ha una dimensione intima oltre quella (per noi fondamentale) di comunicazione. Se è lecito scrivere così in una recensione, quello che a noi ha interessato è stato soprattutto l’intimità che da queste opere emanava.
Tornando a casa, poi, sereni e con il respiro profondo.
Andrea Cefaly. Da Napoli all’Europa
di Andrea Cefaly
Castel Nuovo – Sala Carlo V
Napoli, dal 6 al 27 febbraio 2013