“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 06 February 2015 00:00

Zombi chi può, disse l'attore

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Lontano il tempo in cui all’attore si destinava un manto di terra sconsacrata a fargli sepoltura; oggi l’attore è un “non morto” che attraversa la vita; di più, un uomo che vive la condizione di morto vivente attraversando la scena, il suo feretro si chiama teatro. Bisogna morire per vivere; morire e farsi zombi (senza la e finale), perché è su un presente decomposto che si può foraggiare la costruzione di un futuro possibile.

Elvira Frosini e Daniele Timpano sono gli psicopompi che conducono il gioco in assito; sipario chiuso, i due attori stazionano in ribalta, mentre si spegne l’eco sonora di estratti da cinema di genere, che rimanda a Bava, a Fulci, a Romero. Teatro della decomposizione, che dichiara – e lo fa dichiarandosi ripetutamente teatro – la propria putrescenza, lo svilimento del ruolo e del lavoro, che costringe a non vivere, o a sopravvivere da morti viventi. Confinati in un “aldiquà” scenico, un microfono ad amplificare la voce conferendole il rimbombo estraneo di un altrove, il sipario chiuso sembra dividerli dalla loro professione: hanno saltato il fosso, si sono asserragliati, da non più vivi, ma ancora attori (e forse per questo meno vivi) in uno spazio teatrale, rifugio ideale come da decalogo distribuito in platea, sicuro ricetto per chi, teatrando, è diventato zombi; e quale luogo può essere più tetro e calzante di un teatro semivuoto? Non ce ne vogliano Daniele Timpano ed Elvira Frosini, ma il loro Zombitudine, in un teatro in cui loro stessi contano sulle dita quattordici spettatori, sembra quasi risuonare come un complemento drammaturgico, dal sibilo sinistro, funzionale alla descrizione di questa iperbole metateatrale che prende forma in proscenio. (Nota a margine: in termini strettamente pratici e concreti dispiace che una scelta non oculata da parte del Bellini – peraltro encomiabile per il livello complessivo della propria offerta qualitativa – faccia coincidere le date di Zombitudine col più “ingombrante” Io, Nessuno e Polifemo di Emma Dante, penalizzando oltremisura la sala piccola).
Ma torniamo agli zombi, lasciati in ribalta, che son lì che ci aspettano, asserragliati in teatro, e asserragliati a difesa dell’indifendibile, baluardi di se stessi che s’inventano una resistenza ulteriore, traslando la vita nella non-morte. E non è affatto un caso che ciò avvenga in un teatro – mentre è invece un caso, deprecabile, che il teatro non sia pieno – spazio in cui si è zombi per vocazione, sospendendo la vita e rimandando la morte per il tempo di una rappresentazione. Così come non è un caso che tutto il “kit di sopravivenza” (perché paradossalmente anche uno zombi deve sopravvivere…), sia contenuto in una valigia, unico accessorio di scena, rimando ulteriore alla dimensione dell’attore. Dimensione attoriale che è cifra costante ed ininterrotta dell’azione (poca, ma fondamentale) e del contenuto verbale (tanto ed in esubero) di Zombitudine: si va dall’allocuzione intermittente e continua agli spettatori (“Signori, per favore, dateci una mano”, detto da Timpano mentre la Frosini protende un braccio verso il pubblico), alle notazioni metateatrali (“Dovevamo lavorare meglio con la comunicazione”), alla gestualità e alla verbalità  evocative (le mani diventano pistole, la voce emette gli spari), alla consapevolezza persistente di essere attori in recita, categoria per la quale non esiste un welfare e che ha trovato rifugio estremo in una bara chiamata teatro. Attori in vita, attori oltre la morte, attori ovvero “derelitti, depressi, disperati”, in un’iperbole tragicomica, tutta dipinta sul volto e nella gestualità di Timpano, tutta resa dalle movenze della Frosini, il dialogare serrato e bizzarro dei quali racconta di uno spazio chiuso all’interno del quale non si è più al sicuro, nel quale si è diventati merce da commerciare, l’attore “prodotto semilavorato”, conseguenza della non scelta, della mancata presa di posizione; Timpano e la Frosini battono e ribattono proprio su questa necessità della scelta, la cui mancanza sembra essere individuata come fondamento basilare della condizione deprecata dell’arte; insistono sul senso della coscienza etica che si contrappone all’apparenza estetica, alle mutande firmate, alle foto postate. Drammatica, putrescente, in avviato stato di decomposizione la situazione in cui versa il teatro; oltre il sipario c’è la sua fine, c’è la “zombitudine” elevata a potenza: il sipario si alza, luci di un verde intenso, spettrale ed irreale, riverberano un fumo invadente, “siamo ridotti all’osso”, dicono in scena mentre i loro corpi procedono a passi lenti verso la fine dello spettacolo, e riducendosi, decomponendo, abbracciano tenendosi per mano il comune destino: essere attori, essere zombi, sopravvivere in scena sera dopo sera, fino allo spegnersi dell’eco dell’ultimo applauso.
Partitura sghemba, che sembra preludere ad uno sviluppo che invece non avrà luogo, coerente col proprio status zombi, Zombitudine sembra voler scuotere dal torpore della rabbia educata, quella per la quale alle parole siamo incapaci di far seguire le azioni, e il sonno dell’azione genera zombi.
Allo spegnersi delle luci, corpi consunti sulla scena si riconsegnano alla vita del non teatro, senza dimenticare di essere attori, ricordando che esserlo oggi vuol dire essere zombi.   

 

 

 

 

Zombitudine
testo, regia, interpretazione Elvira Frosini, Daniele Timpano
scene e costumi Alessandra Muschella
ideazione e realizzazione tecnica luci Marco Fumarola, Daniele Passeri
collaborazione al disegno luci Matteo Selis
luci Martin Palma, Omar Scala, Valeriano Solfiti
aiuto regia Francesca Blancato
assistente scene e costumi Daniela De Blasio
organizzazione e distribuzione Daniela Ferrante
ideazione e regia teaser video Emiliano Martina, Alessio Rizzitiello
progetto grafico Antonello Santarelli
disegni Valentina Pastorino
foto di scena Gianluca Zonza, Piero Tauro, Andrea Luporini, Sefora Delli Rocioli
produzione Frosini/Timpano – amnesiA vivacE, Kataklisma
coproduzione Teatro della Tosse di Genova, Fuori Luogo – La Spezia, Teatro dell’Orologio – Roma, Progetto Goldstein, Accademia degli Artefatti
col sostegno di Teatro di Roma
lingua italiano
durata 1h 15’
Napoli, Piccolo Bellini, 3 febbraio 2015
in scena dal 3 all’8 febbraio 2015

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