“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 21 December 2013 00:00

Twitter-intervista con Elena Bibolotti

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Justine 2.0 è il libro di esordio di Elena Bibolotti, pugliese diplomata all'Accademia di Arte Drammatica "Silvio d’Amico", impegnata nel teatro di ricerca fino alla metà degli anni Novanta, poi nella comunicazione on line per i primi Provider italiani e infine nella direzione di alcune tra le più importanti scuole di musica moderna della capitale, ora è consulente editoriale per lo più disoccupata. Non è che abbia scelto un argomento qualsiasi e se uno è attento al titolo e con un po’ di conoscenza di letteratura ha come un baleno di agnizione.

Va be’, facciamola corta, l’argomento è l’erotismo e la Justine antesignana del personaggio di Elena Bibolotti è proprio quella del marchese De Sade. Solo che qui non siamo in epoca rivoluzionaria, De Sade pubblica le sue versioni tra il 1787 e il 1799. E non siamo neppure dinanzi a una Giobbe al femminile che − nonostante le capitino di tutti i colori, perversi colori − non si scosta di un millimetro dalla sua integrità morale.
Con questa Justine ci caliamo in un mondo che più contemporaneo non si può, il web e i social network, che se vogliamo rappresentano anch’essi un’enorme rivoluzione. Inoltre la Justine attuale è una laica smaliziata che ha poco a che fare con l’etica cristiana, non subisce torture, direi che mena le danze, al più ci si adagia. Duecentoventi anni e qualche rivoluzione sessuale non sono passati invano.
Ho letto questo libro, confesso che non sono un grande esperto di letteratura erotica, anche se fino a De Sade ci arrivo, attratto, dico così… a bruciapelo, dal sottotitolo: Il cuore è soltanto un muscolo. E mi son detto: facciamo una chiacchierata con Elena Bibolotti, in perfetto stile 2.0 per cui quella che segue è una twitt-intervista dove domande e risposte non superano rigorosamente i centoquaranta caratteri.
A proposito: ha un blog (bibolotty.blogspot.com) sul quale scrive racconti, quasi tutti pepati, e le #deriveditwitter crudeli e sarcastiche cronache del più famoso social del mondo. È su Twitter e risponde, se non indaffarata, all’account @Bibolotty.

 

Allora: il cuore è soltanto un muscolo. Butti alle ortiche così secoli di poesia?
È l’unica conclusione cui può arrivare una donna che ha troppo amato. Spesso, si nega per affermare.

 

L’amore può essere violento ed estremo se all’interno di una relazione consapevole?
Non parliamo però di “violenza” ma di “dolore” il cui confine col “piacere” è assai labile. Ed è un gioco deciso di comune accordo.

 

Non rischia così, specie la donna, di vivere situazioni solo… degradate?
Le situazioni di degrado sono quelle non scelte. Per esempio stare con un uomo frustrato che picchia sodo. Leccare i piedi di chi si ama è puro piacere.

 

Quindi nessuna violenza tra un Master che ti chiama “troietta” e una “troietta” submissive?
Credo che certe paroline suscitino piacere anche in una coppia Vanilla. Così come qualche sculacciata ben assestata.

 

E nel 2.0 c’è violenza?
La violenza, che ripeto, non ha nulla a che vedere con il sadomaso, si cela nei cazzotti verbali dei frustrati, sì, e nella mancanza di meritocrazia.

 

A Termini, Justine si scambia un bacio meraviglioso. Chi scrive può trasformare la stazione più incasinata del mondo in un luogo romantico?
La scrittura, come il teatro, significa per me trasfigurare il reale, magari il proprio, per restituire un nuovo punto di vista a se stessi e agli altri.

 

Sei d’accordo dunque che la scrittura ha ancora, calvinianamente, una sua forza intrinseca?
Se è sincera, sì. Se non punta solo a compiacere il lettore, sì. Se nasce da un’urgenza, come l’amore, sì. Altrimenti sarà dimenticata.

 

E con il 2.0 la scrittura tradizionale come si pone?
Anche se tutti scrivono, non tutti vengono apprezzati. La mancanza di idee o il tentativo di essere originali a ogni costo genera mostri.

 

Non senti di essere corsa troppo dietro nel libro alla caratterizzazione di certi personaggi e al gioco dei rimandi temporali?
I personaggi, a parte Justine, sono tutti bidimensionali e grotteschi. La digressione, invece, è essenziale in un’opera. Non amo il realismo.

 

Da “navigatrice”, in quante sono alla ricerca di un maschio alfa?
Tantissime. Poi bisogna vedere se arrivano al punto, all’incontro al buio. Ho scritto molte #deriveditwitter sull’argomento.

 

Le parole che si scambiano sui social network o in chat: useremmo le stesse frasi se parlassimo a voce con l’interlocutore davanti?
Io sì. Ma perché sono libertina per nascita. Odio l’ipocrisia e della mia sfrontatezza ho fatto una bandiera. Gli interlocutori però arrossiscono.

 

L’artificiosità del 2.0 costringe sempre a indossare una maschera?
Chi non si piace si sente costretto a farlo, sbagliando. Poi, nell’incontro off line si arriva alla resa dei conti e sono dolori.

 

Un erotismo vissuto allora è uno squarcio salutare?
L’erotismo immaginato sono solo seghe, il più delle volte frustranti. L’amore bisogna farlo più che si può, e per bene. Con passione.

 

E pazienza che il cuore sia degradato a muscolo. Almeno episodicamente.
"L’amore che supera i confini non è mai perversione è soltanto un punto di vista più suggestivo".

 

Educazione sentimentale in epoca 2.0? Non a caso, invece che De Sade ora mi viene in mente Flaubert. Au revoir.

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