Si tratta evidentemente di questioni complesse che richiederebbero altrettante trattazioni specifiche e di certo voluminose ma che lo studioso riesce a tratteggiare brillantemente e con indubbia abilità sintetica, coniugando il necessario rigore disciplinare con una chiarezza che permette anche ai non “addetti ai lavori” di comprendere la portata e complessità delle questioni trattate.
Il volume si apre con una riflessione sul concetto di arte e sulla variabilità di significati che esso assume tanto a livello sincronico che diacronico, in base ai diversi contesti storici e ai valori della civiltà. De Seta affronta dunque il prodotto artistico e l’estetica che lo sorregge lungo un percorso che a partire dall’autocoscienza/conoscenza dell’atto di realizzazione da parte dell’artista, si dipana poi nell’indagare il rapporto che l’arte intrattiene con la natura (sia esso di mimesi o di opposizione), il suo confrontarsi con l’idea di “utile” e di “bello”, il suo relazionarsi con la società all’interno della quale si colloca, il ruolo sociale dell’artista e il suo operare, nonché il suo fare i conti con le tecniche e le comunicazioni di massa.
De Seta passa poi a tratteggiare le concezioni del disegno come “idea della forma” e come “progetto”, il rapporto che esso assume sotto forma di prospettiva con la scienza, il suo presentarsi come propedeutico a una colorazione successiva o il suo porsi direttamente come prodotto artistico, affrontando lo svilupparsi dell’iconografia, del collezionismo e della classificazione, dunque il suo possibile fine progettuale tra spazi reali e virtuali.
Lo studioso si sofferma inoltre sul rapporto tra “oggetto d’uso” e “oggetto artistico” tratteggiando le considerazioni che nel corso del tempo si sono accumulate a tal proposito a partire dal rapporto dei primitivi con gli oggetti sino a quello specifico della società industriale e della società dei consumi.
Infine, De Seta ricostruisce “la storia dell’arte” così come si è trasformata in Italia nel corso del tempo e a tale scopo ripercorre la storia della manualistica scolastica nel suo manifestare i cambiamenti di approccio suggeriti dai programmi ministeriali che si sono succeduti. Dopo aver passato in rassegna le opere di Adolfo Venturi, Edoardo Mottini e D’Ancona-Wittgens degli anni Venti a cui si aggiungono quelle di Augusta Ghidiglia Quintavalle e Mary Pittaluga nel decennio successivo, De Seta analizza i principali manuali del dopoguerra a cui si è soliti riferirsi direttamente con il nome dei curatori prima ancora che con il titolo dell’opera: Saitta, Spini, Villari, Gaeta-Villani, Carli-Dell’Acqua, Mazzariol-Pigantti, Roberto Salvini, Castelfranchi Vegas-Cerchiari Necchi, dunque la stagione dell’Argan e dei vari Villari, Negri-Arnoldi, Bairati-Finocchi, Bertelli-Briganti-Giuliano e via dicendo fino a giungere all’eclissarsi della storia dell’arte e alla necessità di ridefinire il ruolo e la funzione dell’insegnamento di tale disciplina ai nostri giorni.
Sono davvero tante le questioni sollevate da De Seta in questa sua sorta di mappa che permette a chi legge di orientarsi tra le pratiche e i linguaggi dell’espressione artistica costringendo a prendere atto della complessità delle questioni trattate e motivando a successivi approfondimenti specifici.
Cesare De Seta
Grammatica delle arti
Forme e spazio storico dell’espressione artistica
Salerno Editrice, Roma, 2021
pp. 138