La versione che della Rivoluzione napoletana ci offre Marilena Lucente sfugge ai giudizi storici tradizionali, per scandagliare, attraverso l’appassionato e commovente monologo di Bernardina, la genesi dell’intreccio tra amore e libertà da cui nacque la forza di ribellione del giovane Masaniello.
Del resto le rivoluzioni proletarie non falliscono, come affermava il Croce “perché prive di sodi e attuosi concetti”, ma per mancanza di valore civico e saggezza politica che sono possibili solo in chi “libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. E la libertà non è un concetto astratto declinato nel senso della libertas indifferentiae, ma il frutto di Amore, inteso platonicamente come figlio di Pòros e Penia, ovvero come mancanza di qualcosa di cui si ha bisogno e per cui si lotta e si soffre.
Bernardina dispera per la mancanza dell’amante che appartiene a un intero popolo e rivolgendosi idealmente a lui esclama: “Ma tu, Masaniè, veramente pensavi che oltre a me ci fosse qualcosa di tuo a questo mondo”. Il popolo, infatti, è una “bestia senza testa”, che mosso dagli istinti resta per lo più insensibile al pathos che muove un’impresa. Tommaso Aniello, infatti, dopo aver capeggiato l’insurrezione antibaronale al grido “Viva il re di Spagna e mora il malgoverno” ed essere stato nominato “Capitano del popolo”, venne in odio a quest’ultimo, che non tollerò l’immagine di un “Masaniello alla corte del Viceré”.
Bernardina, pur invitata a palazzo dalla Viceregina, non cedette, invece, alle blandizie vicereali, scorgendo dietro ogni atto di affettata cortesia l’odio intenso per i popolani, fattosi concreto, poi, nel progetto di una crudelissima morte. Ma i tentativi di portare alla ragione l’amante da parte dell’amata erano destinati al fallimento, perché il rivoluzionario napoletano riteneva fosse necessario solo un po’ di coraggio per riprendersi la libertà, senza considerare che la miseria e la disperazione di un popolo sono l'humus che porta a cedere davanti a ogni promessa. E gli spagnoli sapevano bene “come fare fesso il popolo”, tant’è che ci volle davvero poco ad armarli contro il loro capitano, che era salito a cavallo vestito di lama d’argento, ma non aveva rinunciato al mito di una Patria libera.
Immersa nel dialettico gioco di luci e ombre, un’intensa e poliedrica Ilaria Delli Paoli riesce a restituire, modulandole con la sua bellissima voce e con la vivacità propria della lingua napoletana, tutte le sfumature sentimentali di una donna sofferente, che viene alla luce solo quando dà voce a tutta se stessa, ovvero alle sue passioni più profonde, che sono quelle che la tengono in vita e che le mantengono intatta una dignità altrimenti persa tra le mortificazioni di un corpo prostituito.
Rabbia, sofferenza, delusione, rammarico, mortificazione, senso d’impotenza, ma anche voglia di lottare, resistenza rappresentano gli stati d’animo che spuntano fuori ad ogni bagliore di candela, per precipitare solo momentaneamente nel buio indistinto di Rassegnazione, in cui muore la memoria dei fatti accaduti. La conclusione è una candela accesa, perché non venga meno, insieme alla verità storica, anche la speranza del non ancora.
Napoli, 1647. Rivoluzione d’amore
di Marilena Lucente
regia Roberto Solofria
con Ilaria Delli Paoli
costumi Ortensia de Francesco
scene Antonio Buonocore
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Compagnia Mutamenti
Napoli, Teatro Elicantropo, 14 Aprile 2013
in scena dall'11 al 14 aprile 2013