“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 07 March 2016 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Guido Argentini

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Se la Bellezza del nudo femminile potesse considerarsi un culto religioso di certo Guido Argentini potrebbe esserne il Primo Officiante. La sua fotografia celebra l’estetica del femminino coniugandola in un variegato caleidoscopio di prospettive e riesce nel delicato intento di renderne l’essenza al di là dello spazio e del tempo.
Nel suo articolato iter artistico Argentini passa dalla mimesi naturalistica del corpo femminile ad eleganti pose del rituale seduttivo fino a focalizzarsi sulla complessa espressività di felini occhi di donna che contemplano le sensuali forme riflesse davanti allo specchio.
Dal “nomen omen” si dispiega il Karma artistico di Argentini giacché proprio l’Argento diventa il tema e il materiale organico principale che attraversa le sue rappresentazioni fin dagli albori. Nell’Argento liquido forgia i corpi che rappresenta come archetipi della Forma, alleggerendoli dalla connotazione individuale dell’identità e sublimandoli nella celebrazione assoluta di un estetismo estemporaneo ed essenziale.
Nelle opere più recenti Argentini instilla l’emozionalità nei suoi soggetti, colorandoli di pulsante ed umano pàthos che inizia a scorrere come sangue vivo in quei corpi che in precedenza venivano resi come geometriche rappresentazioni archetipali. È forse, proprio attraverso questa magica intermediazione dell’Emozione, che la vicenda artistica di Argentini culmina nell'alchemica trasfigurazione dell’Eros in Amore.

Quando hai capito di essere un artista?
Non so se si “possa capire di essere un artista”, posso dire che la passione per l’immagine è nata intorno ai sedici/diciassette anni.

La tua scelta di fare medicina era in qualche modo connessa ad una esigenza di conoscere meglio i corpi e quello che spesso è invisibile agli occhi?
La scelta dei miei studi non ha niente a che fare con la fotografia. È stata più una sfida con me stesso; a scuola ero portato per le materie letterarie: letteraura, filosofia, storia, volevo vedere se potevo eccellere anche nelle materie scientifiche e ci sono riuscito,  poi ho scelto una strada diversa per la quale avevo più passione.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Ho scelto da subito di voler fare dei libri. I giornali non mi sono mai interessati davvero. Un libro è per sempre, è senza tempo. Ogni mio libro è un approccio diverso all'universo femminile, é uno sguardo da una nuova prospettiva. Il mio primo libro Silvereye (2001) è basato sulla donna come forma scultorea. Il volto non si vede quasi mai e, quando si vede non ha un ruolo predominante. Nei libri successivi il volto è diventato importante. La sensualità è nello sguardo, non nel corpo e nelle sue forme. L’erotismo è negli occhi non in un seno nudo o in una schiena.

Parlaci dei tuoi libri.
In Silvereye, in cui appare evidente la mia passione per la danza e per la scultura, in particolare l'attenzione verso lo scultore rumeno Brancusi. Il volume contiene una significativa serie di nudi inseriti in suggestive location naturali: le onde del Mar Mediterraneo, le dune del deserto dell’Arizona, le spiagge vulcaniche delle isole Hawaii. Un modo per tradurre in immagine l’originario legame della pura essenza del femminile con gli elementi primari della natura.
In Private Rooms (2005) e in Reflections (2007) lo sguardo è diventato l’elemento predominante nelle fotografie. Le donne in queste foto hanno un corpo, ma hanno anche occhi che guardano nell’obbiettivo oppure guardano qualcun altro, ma guardano sempre. Sono oggetti erotici (eros=amore) mentre le donne in Silvereye e in Argentum sono delle forme esteticamente perfette e quasi asessuate.
Private Rooms è il libro fotografico in cui condivido con il pubblico la visione legata all’universo femminile in cui erotismo e bellezza sono inseparabili. Il volume è il risultato di dieci anni di fotografie realizzate tutte nell’intimità di stanze chiuse: antiche ville, appartamenti moderni, hotel, dai più eleganti a cinque stelle ai più squallidi motel a ore. Ogni stanza è teatro di una “storia aperta”, che non ha né un inizio né una fine. Ciò perché la fotografia dà un totale spazio alla fantasia e all’immaginazione di chi la osserva.
Reflection si dedica all'accezione voyeuristica, ma lo sguardo cambia: qui è la donna che guarda se stessa attraverso la sua immagine riflessa allo specchio. Una sorta di ricerca inconscia sulla donna che si studia, si innamora, si perde nella sua stessa immagine. Lo specchiarsi, il riconoscere se stessi e il rendersi conto della differenza fra colui che guarda e la sua immagine riflessa, è il punto di partenza della “trasformazione”. “Accorgendoci” di noi stessi “ci si accorge” del limite e, così facendo lo si supera. Ogni limite si supera nel momento in cui lo si identifica come tale. È un po’ come camminare verso un posto che non si conosce che comincia ad esistere nel momento in cui vi si pone lo sguardo e l’attenzione.
Argentum è il primo shooting dove ho dipinto il corpo di una modella d’argento è stato realizzato a Miami nel 1995. Nei primi anni ‘90 la mia fotografia ancora era incentrata sul corpo della donna visto non come oggetto erotico (d’amore) ma come pura forma. In quegli anni fotografavo donne sulla sabbia nera delle spiagge delle isole Hawaii, sulle dune del deserto in California e sulle rocce di granito della Sardegna. Nascondevo, il più delle volte, il volto per non avere la distrazione dello sguardo. Volevo trasformare il corpo della donna in una scultura bidimensionale. Il passo successivo è stata l’eliminazione del paesaggio; così ho iniziato a scattare in studio, con una sola luce e un muro bianco dietro la modella. Dipingere tutto il corpo in argento, eliminando la pelle, è stato l’atto di astrazione più estrema. Corpi perfetti, levigati, vestiti solo dall'argento che ne illumina forme e contorni, esaltandone armonia, bellezza ed eleganza. Modelli e modelle d’eccezione sono ballerine, ginnaste e trapezisti  trasformati dal silver body make-up in statue metalliche perfette. Frutto di una ricerca personale inedita, che unisce due grandi passioni: fotografia e cinema, raggiungendo un equilibrio fra la solidità della scultura e l’energia viva della danza.
In molte delle fotografie di Shades of a Woman (2010) lo sguardo non ha più il ruolo di attrarre l’attenzione di un uomo o il suo desiderio, ma più quello di raccontare delle emozioni, emozioni interiori. Sono delle ministorie raccontate in un solo fotogramma. Quello che è accaduto prima e quello che verrà dopo sono lasciati totalmente alla fantasia di chi guarda le foto. Qui ho iniziato ad esplorare livelli e sfumature diverse della natura femminile. La mia speranza è quella di credere, sempre di più, che siano le donne, le muse che mi hanno guidato lungo la mia strada fino ad oggi, i soggetti stessi delle mie immagini, e le donne che guardano le mie foto, ad identificarsi in queste storie. Questo libro è quindi l’inizio di un nuovo percorso, è l’inizio dell’unico cammino che valga davvero la pena di percorrere in questa vita, quello verso l’amore. È solo attraverso di esso che si può attuare quella trasformazione che è necessaria per poter davvero arrivare in alto.
Diptychs
2016 é un progetto al quale ho lavorato per moltissimi anni.
Ogni opera è composta da due fotografie, una di una donna e una di un paesaggio o uno still life. È un progetto tutto realizzato a colori e, il colore, anche se più difficile del bianco e nero, perchè più vicino alla realtà è un elemento creativo in più. È un progetto più concettuale dei miei libri pubblicati in passato e crea un ponte fra il mio lavoro di fotografo e quello di regista.

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Non ho mai studiato fotografia e non ho mai fatto l’assistente ad altri fotografi. Ho imparato guardando le foto dei grandi prima di me e fotografando. Ammiro ed apprezzo il lavoro di fotografi molto diversi fra loro, da Cartier-Bresson, a Helmut Newton, da Avedon a Guy Bourdin.

Come scegli le tue modelle?
Dipende dal progetto. Per fotografie come quelle di Silvereye e Argentum, cercavo donne con corpi belli, ma soprattutto capaci di muoversi ed assumere pose plastiche. Per Private Rooms e Reflections cercavo donne con corpi sensuali ma anche con volti belli ed espressivi. Per Shades of a Woman e per il mio nuovo progetto Diptychs che uscirà nell’autunno del 2016 le modelle devono essere attrici capaci di interpretare delle parti in queste ministorie.

Nelle tue foto trionfa la bellezza in ogni dettaglio, le modelle sono splendide, i loro corpi tesi e tonici, i loro sguardi ipnotici, ma hai mai fotografato donne brutte?
Fino ad adesso ho privilegiato la bellezza. La bellezza non è così superficiale come spesso la gente pensa, ha un significato molto più profondo di quello che normalmente si pensa e che va al di là dell'aspetto estetico dell’oggetto che si guarda e della persona che lo guarda.

Sei mai riuscito a rendere bella anche una donna che non lo era?
Questo non spetta a me dirlo, ciò che so è che riesco sempre a rendere più belle le donne che amo. Forse dovrei fotografare solo quelle.

Cosa hai scoperto delle donne osservandole da prospettive diverse?
Le donne, come tutti gli esseri umani, sono soltanto specchi. Non si imparano mai cose “delle donne”, ma attraverso di loro, si possono solo imparare cose di noi stessi.

Sei tu a curare la scenografia delle tue foto?
Si, faccio sempre tutto da solo, anche lo styling. Il trucco è l’unica cosa che lascio alla modella o ad un truccatore.

 

Lo spunto per i tuoi set fotografici viene dalle tue passioni, dalle passioni delle donne, da quelle degli uomini o da altro ancora?
L’ispirazione per qualunque cosa viene da mille cose diverse. Soprattutto viene da dentro di me, infatti, guardando i miei libri si può vedere il cambiamento che è avvenuto e che ha portato a vedere il mondo, le donne e tutto ciò che mi circonda, in maniera diversa.
Cos'è per te l'erotismo?
"Eros" significa amore, e l’amore è la cosa più bella ed importante che ci è dato provare in questa vita. Nelle mie foto l’erotismo è cambiato nel tempo perché sono cambiato io e lo si vede da come la donna è rappresentata dal primo libro all’ultimo.

Tu dici che “l'erotismo è negli occhi”, ma poi è nei corpi che cerchi la perfezione e la bellezza, perché?
Non è proprio così, nei miei primi progetti, Silvereye e Argentum (che raccoglie foto scattate dal 1995 al 2012) l’erotismo non mi interessava assolutamente. Era l’idea della plasticità della scultura che cercavo di ottenere, pur con la povertà della bidimensionalità della fotografia. Evitavo di riprendere gli occhi e lo sguardo della donna di proposito. L’ultima foto del libro Silvereye ritrae l’unica donna nel libro che guarda dentro l’obbiettivo e introduce il lavoro che poi seguirà: Private Rooms, Reflections e Shades of a Woman.

Da dove trai l'ispirazione per i tuoi scatti?
Da tutto quanto mi circonda, dal cinema, dalla pittura e dalla scultura ma, più di tutto, dalla donna.

Se dovessi diventare oggetto della tua arte cosa non dovrebbe mancare in quello scatto?
Da quando avevo diciassette anni, ogni tanto ho voltato la macchina fotografica su di me. Facendo degli autoritratti non quelle cose orribili che oggi sono chiamate “selfies” e che sono solo un’autocelebrazione che soprattutto fanno le donne bisognose dell’attenzione e di un “like” sui socialmedia. Le mie foto erano e sono, un modo di scoprire e di capire chi è e come è quello che agli altri è dato di vedere di me, dall’esterno e che non sono certo io. In molte delle foto che ho fatto sono ritratto accanto a donne, donne importanti nella mia vita, in altre sono da solo.

Esiste un mercato per la fotografia? quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Oggi la fotografia ha un grande mercato e la si trova presente a tutte le grandi aste internazionali.

Se tu potessi dare un suggerimento ad un giovane fotografo, cosa suggeriresti?
Di non copiare gli altri, ma di trovare una sua voce.

Qual è l'opera tua e di altri a cui sei più legato e perché?
Non sono legato a nessuna opera, tanto meno alle mie.

Ci sono altre arti a cui ti sei ispirato?

Tutte, la pittura: vedi per esempio gli acquerelli erotici di Rodin che hanno ispirato tante delle fotografie di Silvereye. La scultura: vedi i bronzi lucidati a specchio che hanno ispirato le mie foto in argento. Il cinema: ad esempio alcune delle immagini di Shades of a Woman che sembrano fotogrammi di un film nel quale la persona che guarda può immaginare tutto ciò che c’è stato prima di quello scatto e tutto ciò che accadrà dopo, creando così, con la sua immaginazione, una sua storia unica e diversa da tutte le altre.

Guardando le foto dei tuoi paesaggi mi chiedevo se hai viaggiato molto e se puoi raccontarci qualche storia o qualche incontro che ti ha cambiato la prospettiva.
Racconti no, ma il viaggiare, il muoversi è importante infatti continuo a farlo anche oggi. Adesso sono in Thailandia, fra un mese andrò in California e a maggio sarò in Italia. È utile viaggiare perché si assumono prospettive diverse e si ha sempre uno stimolo diverso da tutto ciò che ti circonda. Non è così sempre e non è così per tutti, vedi Salgari che ha scritto le avventure di pirati in isole tropicali mai lasciando la sua Italia. Alla fine ciò che è veramente importante siamo noi, ciò che è dentro di noi, perché se non conosciamo quello, non ci è dato di conoscere nessun'altra cosa; era vero al tempo di Socrate, lo è oggi e lo sarà sempre.

Se potessi scegliere, cosa vorresti fotografare e perché?
In questo momento non saprei dire, sono in un momento di riflessione, ma la fotografia non mi basta più e mi sto spostando verso il cinema sia perché  la fotografia pone dei limiti se il tuo obbiettivo è quello di raccontare storie, sia perché il mondo digitale ha ucciso la fotografia, l’ha resa un oggetto democratico, ma ne ha impoverito immensamente il significato.

Puoi spiegare meglio perché il mondo digitale ha ucciso la fotografia?
Il digitale ha reso la fotografia “democratica”, ma l’ha resa banale, troppo veloce. Tutto ciò che è veloce e alla portata di tutti diventa meno “prezioso”. Quando si scattava con una pellicola con dodici esposizioni, si metteva cura nell’inquadratura, nella luce, nelle posizioni. Ho trascorso nottate intere in camera oscura, sviluppando le mie pellicole e stampando le foto in bianco e nero. Era un'arte, oggi non lo è più. A dire la verità, con l’avvento del digitale, la qualità della fotografia dovrebbe essere migliorata, il digitale con tutte le possibilità in più che offre in fase di ripresa e in fase di post produzione, dovrebbe offrire strumenti in più alla creatività, ma purtroppo non è accaduto questo. Basta guardare le riviste di moda degli anni '90 e confrontarle con quelle di oggi e vedere la differenza di qualità che c’è nella fotografia.

Secondo te si può vivere di fotografia in Italia?
Come in tutti i campi, dipende da quanto bravo sei, purtroppo il sistema burocratico italiano basato sulle “conoscenze” non sempre dà spazio al merito.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?
Non saprei.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Ho realizzato un documentario sul mio lavoro in argento Argentum per spiegare e mostrare cosa sta dietro il mio lavoro. Il film sulla produzione di questo lavoro nasce proprio dalla voglia di far capire alle persone cosa c’è alla base di un processo creativo. Ogni volta che si guarda un opera d’arte la si percepisce  sempre attraverso la nostra soggettività, la nostra sensibilità, i nostri occhi, il nostro gusto, l’educazione che abbiamo ricevuto, la cultura nella quale siamo cresciuti: così, agli occhi di  alcune persone, una mia fotografia può sembrare un'opera d’arte mentre agli occhi di un’altra è soltanto pornografia. Ecco, raccontare cosa c’è alla base di un progetto, sia a livello tecnico che di significato, rende possibile comunicare il ‘mio’ punto di vista, la ‘mia’ motivazione. Questo è il trailer.

Cosa vorresti suscitare nella mente dei tuoi fruitori?
Tutto ciò che ogni artista crea è sempre e solo per se stesso. Quello che, di riflesso provoca negli altri è al di fuori del suo controllo. A meno che non si crei qualcosa per un mercato specifico, come è successo spesso, soprattutto dalla pop art in poi, solo per guadagnare soldi. Ma sarebbe arte questa? Non è certo il mio caso.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
Non ciò che hai fatto ma chi sei. Purtroppo l’unica cosa che un pubblico può conoscere sono solo le opere che un fotografo crea. Si osserva il fotografo attraverso le sue fotografie, ma chi sia veramente l’uomo, non lo sa quasi mai nessuno. Di lui si cerca di capire attraverso ciò che ha fatto il che è sempre molto limitante.

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRitratti
Guido Argentini
website dell'artista

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