“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 26 October 2015 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Daniele Caluri

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Tutto è nato da un'immagine nella quale si proponeva la trasformazione del mausoleo di Ciano, a Livorno, nel deposito di Zio Paperone. Solo un livornese poteva pensare una cosa simile, ma tutto sarebbe finito lì se mio marito, non avesse letto che l'idea aveva incuriosito le maggiori testate giornalistiche e che il progetto era di uno dei miei disegnatori preferiti: il creatore di Luana la bebisitter, Fava di Lesso e Don Zauker.

Questo significava che il simpatico ragazzo che pensavo avesse avuto il solo merito di condividere una buona idea, in realtà era proprio Daniele Caluri.
Gli scrivo “Daniele posso farti un'intervista per ART 3.0?” dopo avergli mandato una mail con le domande di rito mi risponde“... mi è arrivata l'email, ma, riflettendoci, la trovo un po' fuori luogo. Le tredici domande-tipo che presentate mi sembrano indirizzate ad artisti tout-court, indagando nella loro personalità e nel loro lavoro. Io faccio un altro mestiere, e nonostante la mia formazione, effettivamente all'Accademia di BBAA, non ho mai voluto diventare un artista, ma un fumettista”. Rispondo ancora “Bruno Bozzetto mi ha risposto la stessa cosa”; esclama: “Bruno Bozzetto è un mito!”.
E poi chissà, forse perché gli autori dei fumetti sono “animati” da una vitalità travolgente, ha accettato di rispondere alle domande e ha parlato bene anche di un pisano!

Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Mai. Mai nel senso che non era quello il percorso. In questi ultimi anni si sta facendo un uso improprio delle parole “genio”, “artista”, “opera d'arte”, è un modo di utilizzare il linguaggio che non condivido. Artista è colui che ha comportamenti e attitudini specifiche, ha uno sguardo sulla realtà e sul mondo molto complesso e articolato. No, non fa parte di me, io fin da piccino ho avuto facilità nel disegno e ho sognato di perseguire questo sogno per farlo diventare la mia professione. Ho fatto l'Accademia delle Belle Arti, che tra parentesi non mi è servita, sai, all'Accademia pensavano che il fumetto fosse uno scarto, un sottoprodotto dell'esperienza umana. Tutti i miei sforzi però erano indirizzati al fumetto non ho mai sognato di passare per i musei, o di finire in gallerie, eppure amo l'arte in modo pazzesco e mi commuovo quando vedo certe mostre.

Tornando allo sguardo sul mondo che ha un artista, mi pare che anche tu lo abbia, o no?
Si tutti ce l'hanno, almeno io lo spero, ma la realtà va guardata dall'alto come può fare un albatros, anche io ci provo, ma sono più un gabbiano zoppo. L'artista ha una personalità lirica che scuote le emozioni dal profondo, stimola la riflessione attraverso opere che possono sconvolgerti e spesso dimostra una personalità forte e coerente con la sua produzione. Non dico che il fumetto non sia arte, ma dico che il fumetto è un linguaggio e non tutti i fumettisti sono artisti, l'arte non si può fermare alla tecnica, l'arte è altro, è di più e cambia significato nel corso dei secoli.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Il primo a dodici anni e ricordo bene sia l'età che il momento. Ero bimbo e leggevo Braccio di Ferro, Provolino, Geppo, Alan Ford, fumetti che mi hanno formato, insegnandomi a leggere. Leggevo tanto quasi in modo compulsivo e un amico di famiglia mi disse “ma perchè non provi a leggere questi” e mi mise in mano Totem, L'Eternauta, Comic Art, Pilot: tutte riviste contenitore che dalla Francia cambiarono il linguaggio del fumetto mondiale. In quelle riviste si alternavano gli autori più grandi del pianeta: la scuola franco-belga, italiani, ispano-argentini come Jean Giraud più noto con gli pseudonimi di Moebius e di Gir Enki Bilal, lo stesso Manara e altri autori come Juan Giménez. Mi piacevano le storie contorte e ingenue, storie intense e affascinanti; per me era come essere atterrato sul pianeta in quel momento e in quel momento dissi “da grande voglio essere così”. Fu la scintilla perché da quel momento lavorai per diventare così.
Il secondo momento importante è stato a quattordici anni quando iniziai a mettere nella cassetta della posta del Vernacoliere le vignette che facevo a scuola. Un giorno ne pubblicarono una, era disegnata con i piedi ma l'emozione fu grande, mi sentivo Jack Kirby e gli amici mi portarono in trionfo. Ci presi gusto e ogni mese ne vedevo pubblicate una, due, tre finché, a diciassette anni, mi presentai a Mario Cardinali dicendo “Sono io Dani89” e lui “vedo che il suo tratto sta migliorando a vista d'occhio, quindi se vuole diventare un nostro collaboratore queste sono le condizioni...”.
La mia risposta? ”Benissimo son contento matto!” e così divenni collaboratore e per venticinque anni quella fu la mia palestra.
L'ultimo dei passaggi fondamentali è stato l'incontro con Alfredo Castelli a Lucca Comics, l'inventore storico della Bonelli, mi fece la proposta di collaborare con loro e iniziai nel 2003.

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Ce ne ho troppi di modelli, le riviste di cui parlavo presentavano maestri impressionanti e molto diversi tra loro. Jordi Bernet mi ha segnato sicuramente, ha un tratto carogna, sporco estremamente efficace nella sua comunicazione con pochissimi segni. Ce ne sono altri comunque che guardo con ammirazione.
Apprezzo molto gli autori che a rischio di sbagliare provano sempre nuove strade. Fumettisti che hanno una dignità da artisti ce ne sono: Pazienza è stato coerente con la sua vita e con le sue opere, Mazzucchelli che ha sfruttato e rinnovato il linguagigo, Gipi che per me è un artista oltre ad essere il miglior autore italiano, anche se mi costa fatica dirlo perché è pisano.
Se dovessi dirne uno su tutti però direi Jordi Bernet.

C'è un mercato dell'arte dei fumetti?
C'è e ci sono quotazioni altissime ad esempio Enki Bilal che credo veleggi sui venti-trentamila euro a tavola. Ci sono diversi livelli, quelli come me che fanno una tavola cedibile per cifre irrisorie all'affezionato oppure quelli che interessano i galleristi e poi ce ne sono pochi che raggiungono vette altissime.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare i fumettisti contemporanei cosa suggeriresti?
Uscire dal nerdismo più sconcertante, il fumetto è considerato il cugino povero delle varie forme di comunicazione e non voglio dire che si debba essere seriosi e tromboni, ma è necessaria la professionalità. In un festival cinematografico o letterario, si parla dell'argomento e non ci sono contaminazioni, invece il mondo del fumetto, spesso per sopravvivere, è contaminato da altri linguaggi e troppo spesso associato a forme carnevalesche. Il fumetto è una nicchia e non muove una massa ampia come quella che riesce a muovere il cinema. Ma è un discorso molto lungo che attiene alla cultura (anche mancante, a riguardo) di un'intera nazione. In Francia, alla premiazione del miglior fumetto al Festival di Angoulême, l'altra manifestazione europea di fumetti, il premio lo consegna il ministro della cultura.
Noi siamo i primi a sottovalutarci. Lo stesso Festival di Lucca, ad esempio, si chiama Lucca Comics and Games, e include da diversi anni un sacco di altri linguaggi; è il festival dell'intrattenimento, non è più da molto tempo (solo) il Festival del Fumetto. Recentemente quando hanno candidato al premio Strega due graphic novel di Gipi e Zerocalcare, molti hanno parlato di momento storico perché finalmente si dava dignità al fumetto, ma secondo me è sbagliato, il fumetto non deve aspettarsi un riconoscimento da altre forme espressive e comunicative, da altri ambiti culturali, piuttosto dovrebbe cercare i suoi riferimenti in seno a se stesso, emancipandosi.
In realtà poi è anche molto più complesso dato che il mondo è in continua trasformazione e sul fumetto come sull'editoria in generale grava il peso della distribuzione, che è il vero cancro da curare. Per questo molti gruppi di autori bypassano le case editrici autoproducendosi. Io ed Emiliano Pagani lo facciamo, anche perchè al di là di Panini e Bonelli e pochissime altre realtà, in genere le case editrici medio-piccole non riescono a garantirti un compenso adeguato per mesi e mesi di lavoro.
E poi viviamo in una fase di transizione che offre misteri, pericoli e affascinanti nuove idee.
Se ci pensi quando venne inventata la fotografia con i primi esperimenti del 1939 vennero sostituiti tutti gli acquafortisti soppiantati da un click; alcuni di questi dovettero reinventarsi. Perfino Gustave Dorè fece anche il fumettista disegnando tra le altre cose le dodici fatiche di Ercole.

Qual è il personaggio a cui sei più legato e perché?

Non ce n'è uno, se devo vendere delle tavole le vendo senza problemi, però se mi chiedono di vendere le tavole che ho fatto negli anni per Il Vernacoliere come Luana la bebisitter, Fava di Lesso e Don Zauker, quelle no, non le vendo.


Come nasce Don Zauker?
Nasce in un momento particolare. Sia io che Emiliano Pagani avevamo esaurito le rispettive serie sul Vernacoliere così, dato che ci conoscevamo da tempo e avevamo lo stesso tipo di ironia, ci siamo trovati per parlare. Lui stava in Via della Madonna, erano gli anni del Giubileo, avevano dato da poco L'esorcista e concordammo che non se ne poteva più di questa presenza clericale dal cinema, al giornale alla tv, ai quotidiani. Per ogni cosa c'era l'opinione di un curato, un papa, un vescovo. Questa ingerenza eccessiva nella vita degli italiani ci fece sbroccare e qui nacque l'idea di metterci dentro un prete, un esorcista per attaccare chi rinuncia ad avere uno spirito critico davanti a chi porta la tonaca. Pagani mi disse, “me lo vedo spigoloso, cattivo, con grosse sopracciglia, assassino e ignorante” e così mentre lui parlava io lo disegnai.
Alla fine della serata lui mi disse “secondo me funziona” e da allora lui prepara la sceneggiatura e io disegno, capita a volte che dia dei suggerimenti, magari gli posso dare qualche idea, ho licenza di integrazione o di battuta, ma è lui che prepara la storia.
A quel punto, io disegno tutto quello che dovrebbe venire fuori da decine di professionalità che normalmente nel cinema si occupano di una serie di lavori. Ad esempio se ci sono scene ambientate nella Germania dell'Ottocento è necessario studiare tutto costumi, abitudini, ambientazioni. La cosa che sfugge ai più è che il disegnatore si deve fare carico proprio di una decina di mestieri perfino quello della segretaria di scena perché se riprendi i dettagli di una decina di pagine prima non devi fare errori nel riprodurre.

Se p
otessi scegliere, per quale editore vorresti pubblicare?

In realtà io sono contento perché ho potuto lavorare per gli editori al top nell'ambito italiano del fumetto: Panini e Bonelli, ma ho, anzi abbiamo con Emiliano Pagani, la tenacia di ritagliare una fetta di tempo per pubblicare le cose più folli che poi vendiamo in fiera o on line sul sito donzauker.it.

Secondo te si può vivere di fumetti in Italia?

Sì, certo. Io sono un esempio.
La tenacia è fondamentale per arrivare anzi forse io ho dormito un po', adesso a vent'anni ci sono ragazzi che sono pronti a pubblicare per grandi case, io ci sono arrivato a trent'anni. C'erano i mezzi, ma io sognavo di fare da grande l'autore di fumetti, senza rendermi conto che grande lo ero già e che dovevo impegnarmi di più per la realizzazione del mio sogno.
A Etnacomics ho visto ragazzi che vengono dalla scuola di Palermo che sono straordinariamente bravi, però hanno tutti un'impostazione simile tranne rare eccezioni, dovrebbero un po' emanciparsi dai modelli ricevuti e cercare una loro via perché gli artisti che hanno fatto la storia dell'arte sono quelli che avevano comunque una marcia in più. Purtroppo ho avuto l'occasione di conoscere persone che o per scrivere o per disegnare erano dei mostri, bravissimi, ma sono timidi, non hanno sufficiente considerazione del loro talento e restano lì fermi proprio perché non si propongono.

Cosa può essere migliorato nella comunicaizone dell'Arte?
Forse può essere migliorato l'uso delle nuove tecnologie, è vero che i social, youtube rischiano di minare l'esistenza del fumetto, ma potrebbero anche rappresentare la nuova opportunità che molti aspettano. Oggi un ragazzo di quattordici anni può proporre il suo lavoro attraverso una vetrina sul mondo, quando io avevo quattordici anni, dovevamo passare con una cartellina sotto il braccio a mostrare i lavori e a chiedere attenzione.

Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Purtroppo, la critica per il fumetto è fatta a livello amatoriale, ci sono anche semiologi ad esempio Daniele Barbieri che si occupa di fumetto, ma su un blog suo. I portali più importanti di fumetto molto spesso sono incompleti, vivono grazie alla passione, ma un critico deve essere un professionista invece qui lo fanno in modo amatoriale, ma non si può lavorare senza qualifica perché il risultato sono lavori mediocri. Mi ricordo quando Gipi venne ospitato da Concita De Gregorio. Lei lo intervistò e durante l'intervista, parlando del lavoro di Gipi, non riusciva a chiamarlo fumetto e quando chiese “come possiamo chiamarlo, album... raccolta...” e Gipi rispose: “Fumetto, si chiama fumetto”.
Comunque spesso, nonostante il vizio del mercato, in genere è in primis un critico che decreta la bontà di un artista, ma poi è la società che gli concede il successo.

Cosa vorresti che i lettori sapessero di te e della tua arte?
Sono sul campo da trent'anni e i lettori mi hanno visto spesso alle fiere e li ho anche incontrati nuovamente perché è in un mondo piccolo sono favoriti i rapporti umani. Con i social poi si possono tenere contatti diretti, però vorrei che conoscessero un po' la mia personalità. Per la verità un vero autore si dovrebbe comprendere guardando il suo lavoro, e solo tramite le opere, poter sentire quale è il suo sguardo sul mondo. Il disegnatore puro è un ottimo artigiano invece, che fa un po' il lavoro impiegatizio.
L'autore ha bisogno di dire la sua e io questo bisogno ce l'ho.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
Ma poi me la chiedi? Ma questa è una "Marzullata" alle spalle!

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Daniele Caluri
in collaborazione con Accademia dei Sensi
website www.danielecaluri.com
             
www.donzauker.it

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