“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 14 September 2015 00:00

ART 3.0: Autoritratto di Maurizio Prenna

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L'incontro con Maurizio Prenna è avvenuto in sua assenza presso il Museo della Carta di Fabriano. Le sue sculture di carta popolavano il piano superiore e pur sapendo che erano presenze immobili, mi sentivo costantemente osservata. Ogni tanto mi voltavo a guardarle quasi per vedere se le avrei ritrovate nella stessa posizione o, se come avevo intuito, si muovessero non appena voltavo lo sguardo e mi concentravo altrove. Nonostante mi sia voltata molte volte non posso dire di averle viste muovere, eppure... sulla loro fissità non ci giurerei.
Tornata a casa ho contattato il direttore del Museo, Giorgio Pellegrini e ho chiesto come poter rintracciare tre artisti uno dei quali è appunto Maurizio Prenna che ha accettato la nostra intervista.
Di lui scrive Giovanni Anversa:

“Una foglia cade e prima di adagiarsi a terra compie un movimento che attraversa l’aria e sul ramo lascia un vuoto, un’impronta immateriale, un ricordo visivo. Un profumo si espande e sprigiona molecole che si muovono nell’etere e impattano con i nostri sensori olfattivi. Una vita è il ripetersi di quella circolarità che alterna generazioni di presenze e di assenze avvicinandoci al senso di quel vuoto infinito dove anche noi possiamo pensarci impronte. Siamo “materia” esistente? Abbiamo occupato “fisicamente” quello spazio molecolare? E la nostra anima è la traccia di chi o di che cosa?
Il turbamento cosmico dell’uomo incontra l’artista e si esprime in una oggettualità visiva dove la tecnica creativa risponde al bisogno espressivo di dare forma al concetto ma anche allo spazio. In una sequenza dove immagini naturalistiche si intrecciano a simbolismi astratti accomunati dal permanere di pieni e di vuoti. È un modo di condividere grandi domande interiori con chi guarda e coglie nella dimensione creativa della manifattura artistica il senso di un percorso emotivo personale. L’emozione e la scienza si sposano per offrire uno spunto “materiale” ai pensieri disordinati della mente alle prese con l’osservazione delle cose fisiche e metafisiche. Quasi un esperimento chimico dove la formula si sostanzia di elementi che producono una sintesi tra il pensiero che elabora, lo sguardo che osserva, la mano che crea. La realtà diventa rarefatta e solo la scienza può aiutare a comprendere un’intuizione creativa che ripropone anche in un’opera l’eterna collisione di atomi e molecole.”

 

Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
La definizione di artista mi lascia sempre perplesso. Tutti siamo un pò artisti, cioè in tutti noi vi è una forza e un moto creativo che è proprio dell'uomo. Bisogna stabilire quanto siamo artisti e se il sentire artistico è la parte più totalizzante della nostra vita. Inoltre è importante valutare il valore dell'atto creativo. Questi quesiti aprono la strada a diverse risposte. Ora sono i critici a dare la soluzione, a volte i guru dell'arte, molto spesso il mercato, qualche volta il pubblico, ai diretti interessati rimane l'ambizione di essere chiamati artisti e a questa domanda personalmente spesso non rispondo.
Per quanto mi riguarda l'interesse all'arte è nato inconsapevolmente in età adolescenziale, incentivato da piccoli riconoscimenti, forse anche compiacenti, e in particolare in occasione di una ex tempore di pittura nella quale mi è stato conferito il primo premio.


Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
La mia è una formazione eclettica: liceo scientifico, architettura con esperienze lavorative nell'ambito del design. Parallelamente ho sempre dato spazio e frequentato discipline quali pittura, acquerello, ceramica, restauro, doratura, costruzione maschere in cuoio, scenografie teatrali e televisive e ultimamente lavorazione di gioielli in argento. Fortunatamente, da molti anni a questa parte, ho avuto la possibilità di frequentare e riunire queste attività nel mio atelier romano che ho denominato "Plurale", dove attualmente opero e che nel corso del tempo tutte queste interessi sono diventati il mio lavoro.


Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Studiando la storia dell’arte ci sono state delle suggestioni riferite a grandi personaggi, tra tutti sicuramente Michelangelo. Mi colpiva quel suo essere artista “totale” capace cioè di parlarmi attraverso la pittura, la scultura, il disegno e l’architettura. La fascinazione derivava anche dall’impatto “fisico/erotico” della sua arte che a me adolescente comunicava l’idea di un artista trasgressivo, libero e attraversato da una intima sofferenza. Se devo pensare ad un altro riferimento che mi ha interessato più in età matura mi viene in mente Rodin con il suo pensatore. In questo caso la fisicità lascia il posto al pensiero e alla riflessione. Posso dire di essere stato interessato alle molteplici forme dell’arte, ricercando e praticando, ma che la scultura ha intercettato di più di tutte la mia indole e il mio interesse verso la “forma” e la “concretezza materica”.


Cosa pensi del mercato dell’arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Se penso al mercato dell’arte mi sembra di essere un piccolo pesce che si muove nell’oceano perdendomi in una dimensione che mi supera anche se sono consapevole che questo è il mio habitat. L’altro pensiero prevalente riguarda una specie di attesa di essere riconosciuto da altri – critici, galleristi, ecc – che definiscano il mio lavoro e lo trasferiscano in una sfera di scambio economico. In quello che ho detto sono racchiusi sia i limiti che le potenzialità. Nel mio caso i limiti sono legati ad una sorta di pudore che mi rinchiude in una dimensione più appartata.


Se tu potessi suggerire una idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Sicuramente far crescere una maggiore consapevolezza collettiva dell’importanza dell’arte attraverso piani educativi e campagne di comunicazione. Insomma convincere lo Stato ad investire sull’arte come elemento di promozione e sviluppo del Paese. Da qui possono discendere tutta una serie di grandi e piccole iniziative che facciano crescere interesse intorno all’arte e al suo valore sociale. In questo senso smetterla di ritenere l’arte un atto volontario non remunerato ma un ambito dove premiare e sostenere la qualità, l’impegno e la professionalità.


Qual è l’opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
L’opera nel mio caso si riferisce all'ultimo progetto espositivo: “Carta fuoricornice”. In particolare la scultura che riproduce il quadro di Modigliani: Ragazzo con giacca blu. Esprime in maniera tenera quella timidezza, quella insicurezza e quella malinconia tipiche dell’età adolescenziale che ognuno di noi conserva pudicamente nella propria memoria personale.


Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell’anno?
Il sogno si è realizzato. Le mie sculture in “cartonnage” hanno trovato casa al Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano dal 13 giugno al 12 settembre 2015. Il luogo “ideale” dove l’origine della materia (la carta) si è incontrata con l’elaborazione artistica e creativa valorizzando le capacità manuali ed espressive in forma scultorea. Se penso ad un altro sogno molto ambizioso è quello di fare il viaggio a ritroso nella storia della carta: dall’Italia alla Cina passando per il Medio Oriente.


Secondo te si può vivere di arte in Italia?
In generale no. C’è una svalutazione diffusa del lavoro artistico che viene ritenuto inessenziale e per un mercato ristretto. Il vecchio adagio “con l’arte non si mangia” continua ad essere attuale finché non crescerà il livello culturale complessivo. Posso dire che non si vive di arte con la “A” maiuscola ma si può sopravvivere puntando ad un mercato dove arte e artigianato si fondono per valorizzare il talento e alimentare il gusto e la bellezza.


Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro, quali sono le difficoltà che più spesso incontra un artista?
Farsi conoscere e riconoscere dal mercato. Questo significa risolvere un problema di fondo: dedicarsi al proprio lavoro o diventare manager di se stessi. Le due cose sono spesso inconciliabili, per indole e attitudine. A questo, molte volte, si aggiunge la indisponibilità di spazi e luoghi deputati alla creazione artistica e alla sua divulgazione. Per esempio tempo fa mi sono adoperato, nel mio piccolo, a sostenere alcuni artisti che non disponevano di risorse economiche per affittare luoghi espositivi. Ho denominato questa iniziativa 'Invisibili – Artisti in mostra' offrendo liberamente lo spazio del mio atelier per piccoli eventi.


Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell’arte?
I social network stanno dando una grande mano a far uscire dai cenacoli ristretti il lavoro degli artisti e connetterli nelle varie community. Le trasmissioni televisive delle tv generaliste e delle tematiche hanno contribuito a rendere più fruibile il consumo di arte così come programmi radiofonici dedicati. Quindi stiamo assistendo ad una maggiore diffusione di informazioni, di appuntamenti, di approfondimenti senza nulla togliere ai circuiti specializzati e di settore. Questa quantità comunicativa avrebbe forse bisogno di essere maggiormente organizzata per orientare meglio e di più il popolo dell’arte.


Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d’arte?
Se per critica si intendono commenti e scritti sulle opere d’arte il linguaggio avrebbe bisogno di essere meno autoreferenziale e più diretto nel guidare alla fruizione. Insomma meno artificioso e più accessibile. Il pregio maggiore è quello di offrire più informazioni e conoscenza oltre ad aggiungere significati nascosti che una fruizione superficiale rischia di ignorare.


Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Spesso non si conosce la fatica, il lavoro e il percorso che sta dietro la realizzazione di un'opera. Soprattutto per me che lavoro un materiale “diverso” come la carta e il cartone, è difficile far passare l’idea che il risultato finale ha lo stesso valore di un opera in materiali più convenzionali. La fatica, la ricerca, l’atto creativo sono gli stessi.


Infine che domanda vorresti ti venisse rivolta durante un intervista?
Recentemente un network televisivo giapponese mi ha chiesto: “Che cos’è che ti fa felice?”. La domanda mi ha sorpreso e ho risposto: “Un po’ di felicità me lo dà rendere visibile e tangibile il moto dell’anima”.

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Maurizio Prenna
in collaborazione con Accademia dei Sensi
elenco opere nelle immagini La milanese; In cammino verso la luna; Sylvie; Grandi riflessi
immagine di copertina Migrazioni (part.)

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