“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 29 June 2015 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Piero Ardenghi

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"Nell'analisi della pittura di Piero Ardenghi elemento fondamentale è la volontà di conferire all'insieme dell'espressione l'impronta sostenuta e dinamica della massa plastica. Essa è identificata dal colore ed in primo luogo dalla sua pregnanza fìsica, l'orchestrazione interpretativa di equilibrio formale segue un orientamento costruttivo che si alterna e si innesta in nuclei figurativi (seppur di estrema sintesi), oppure procede verso risoluzioni di gusto astratto; tuttavia al di là delle effettive testimonianze visive, il linguaggio dell'artista mantiene la sua unità, la sua coerenza, sino al punto di qualificarsi come organica "cifra" di stile, personale ed acclarata.
Ardenghi, pertanto, perviene ad una particolare e libera articolazione della forma, conseguenza dell'energica sintesi segnica a cui è sottoposta la figura. In questo senso l'espressione pittorica deve la sua forza al raffinato lavoro di ricerca delle "masse di colore" che egli sostiene con lucida introspezione. Per questo i suoi lavori non hanno nulla della tradizionale veduta, ma sollecitano con efficacia la diretta partecipazione dell'osservatore; da queste considerazioni emerge chiaramente il carattere non formalista "del suo linguaggio" il suo pronunciamento contro ogni forma di seducente pittoricismo.

La sua pittura è aspra, intensa, affidata alla sorprendente mutevolezza del colore e ad un "agitato" ritmo rivelatore di un tenace e robusto telaio pittorico, che sostiene e guida le sue composizioni nel brutale ed al tempo stesso ordito sviluppo. Reale e fantastico interagiscono nelle sue energiche atmosfere in cui i volumi assumono lo slancio di piani luminosi e vibranti in una dimensione che accoglie il simultaneo svolgersi dell'emozione, prima sotto la mano dell'artista poi sotto l'occhio dell'osservatore. L'espressività di Ardenghi è nuda, priva di ingenuità o intellettualismi, egli è pienamente consapevole del ruolo della pittura nel gioco della vita, evidenzia anche un temperamento artistico di profonda intuizione pittorica, capace di porsi oltre inutili schematismi, cercando momenti di vivo e coinvolgente confronto foriero di quella meravigliosa emozione ovunque si trovi".
(Vittorio Notarangelo, La Gazzetta dell'Arte)


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Credo di avere avuto da sempre il bisogno di esprimermi attraverso le immagini e se questo significa voler essere artista allora lo sono. Premetto però che non sono mai stato in grado di dare una definizione precisa su quello che faccio ed invidio tantissimo chi ne ha la capacità. La mia pittura non vuole essere ne politica ne di denuncia sociale: questi argomenti li esprimo giornalmente in altri modi.
Detto ciò mi ritengo un pittore anticonvenzionale, in quanto nel mio percorso artistico non ho mai tenuto o cercato una linea precisa. La pittura è per me una valvola di sfogo: con essa cerco di superare gli ostacoli della vita, non sono legato a correnti o movimenti, dipingo in piena libertà, non cristallizzo le “immagini” in un linguaggio oracolare o pretestuoso, cerco di non cadere nell’ovvio descrittivo o dell’illustrazione, medito quotidianamente sul mio lavoro con pudore creativo cercando di varcare il limite del figurativo, lasciando al colore l’impulso del momento per “narrare” un luogo, una situazione, un personaggio, il colore padrone dello spazio che (a volte) azzera ogni preoccupazione compositiva e fa superare l’anestesia delle convenzioni sociali.
Dipingo soggetti dettati da semplici dettagli o studiati per molto tempo dipende sempre dallo stato d’animo, senza presunzione ne finalità particolari.
Parto sempre da un disegno che resta la mia “pezza d’appoggio”, qualcosa “che si rivela”, dalla quale parte la mia esigenza di comprendere le cose oltre l’apparenza, ciò mi impone di scomporre la “realtà” e ricomporla con macchie di colore, credo sia una specie di distorsione visiva.
Per me il dipingere è “dipendenza”, bisogno interiore, una forma di comunicazione che non saprei come esprimere altrimenti, uno sfogo fisico, mentale, intimo, personale, e uno può dire (giustamente), allora perché fai le mostre?
La mostra… la mostra, mi stimola, ascolto i giudizi di tutti, in particolare degli altri artisti, sapendo bene che quando parlano di te parlano sempre di loro stessi.


Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
La cosa più importante per la mia crescita è stata l’amicizia e la frequentazione del maestro Pietro Annigoni.


Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
I  modelli per l’ispirazione? Chi lavora con serietà e in silenzio.


Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Anche senza un Ordine − come gli architetti, i medici, gli ingegneri, i giornalisti − ma attraverso la considerazione operativa di un Comitato scientifico-culturale, a livello regionale, che verifichi il numero di personali e di “presenze” accertate e la loro qualità. Il metro? C’è, esiste. Inoltre servirebbe un programma di supporto all’attività espositiva dei singoli artisti, come in Francia, dove gli operatori dell’arte non sono abbandonati a se stessi, dove l’allestimento di una personale non è l’equivalente dell’impiccagione finanziaria, e dove se si ha la partita IVA, non si corre il rischio di essere massacrati di tasse.


Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?
Alcune opere di Edward Hopper, con le quali queswto straordinario artista “interroga” la luce e il tempo.

 
Secondo te si può vivere di arte in Italia?
Vivere d’arte? Devi accettare compromessi che la maggior parte delle volte non riguardano l’arte. 


Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?

Penso che solo con la definizione dello status di "artista operatore" si potrà pretendere di gestire in proprio, i beni culturali di cui si ha la paternità. Si potrà cancellare la vergogna della inesistenza di un piano assicurativo (se non quello privato) e previdenziale, per chi ha trascorso la vita davanti ai cavalletti, lavorando per la "pappagorgia" dei galleristi.
Si potrà cancellare la vergogna di vedere all’insegnamento delle discipline artistiche nelle scuole di ogni ordine e grado, degli “educatori” che non sanno tenere in mano un pennello, mentre fior di artisti potrebbero essere dei veri insegnanti di sostegno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratto
Piero Ardenghi
in collaborazione con Accademia dei Sensi
website http://www.pieroardenghi.it             https://www.facebook.com/piero.ardenghi

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