“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 16 March 2015 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Giuseppe Fernando Palagano

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La presenza della figura, specialmente muliebre, quasi sempre inserita in un contesto naturale o antropico e comunque posta in relazione, nello spazio, con aspetti ambientali e oggetti significativi, offre spunti narrativi di discreta allusività, talora persino concatenazioni simboliche nelle quali si esprime, con modi sottili, una riflessione ora pungente ora la sua parte tenera e poetica, intorno alla vita e ai suoi nodi e snodi (Nicola Miceli).


Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Sostanzialmente mai (o forse sempre, a livello inconscio). Ho iniziato a disegnare, dipingere e modellare fin da ragazzo; in età giovanile ho continuato a farlo, parallelamente agli studi di storia dell’arte, estetica e linguistica generale, coltivando quello spirito autocritico che mi ha aiutato a cimentarmi in un contesto, sebbene autoreferenziale,  del tutto libero da qualsiasi vincolo, lasciando largo spazio alle componenti ludiche ed edonistiche, in assenza delle quali il mio agire avrebbe subito inaccettabili condizionamenti.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?

Nel continuum temporale della mia attività non ritengo di essermi posto obiettivi specifici; è più esatto parlare, retrospettivamente, di lenta e graduale acquisizione, affinamento e autoverifica delle competenze, dall’autoapprendimento dei fondamentali ai successivi periodi di piacevole sperimentazione e ricerca, nell’arco di un’esperienza pluridecennale, intensificatasi negli ultimi anni, per maggiore disponibilità di tempo, ma pur sempre intesa come otium privo di aspirazioni professionali o commerciali. Non a caso ho avviato la pratica espositiva molto tardi,  a seguito di insistenti pressioni della ristretta cerchia dei pochi amici ed estimatori partecipi della mia attività.
Parlare di arte, nel mio caso, mi condiziona e mi imbarazza parecchio. Certamente rifuggo dalla rischiosa  definizione di cosa è arte e cosa non lo è,  pur convinto dell’imprescindibile distinzione tra arte ed espressione. Mi è facile, comunque, rispecchiarmi e riconoscermi nel molto lusinghiero saggio, presente nel catalogo di una mia recente mostra, dello storico dell’arte Ilario Luperini, di cui riporto la parte iniziale:
"Per Aristotele 'l’anima non pensa mai senza immagini' e,  per la filosofia della natura di Goethe, la fantasia e il ricorso alle immagini, alla visibilità della forma, sono condizione necessaria d’indagine.
Se queste concezioni sono valide per comprendere a fondo il ruolo di transizione tra sensibile e intelligibile che nella storia del pensiero è affidata all’immagine, lo sono tanto più se ci guidano nell’analisi del lavoro che da anni Fernando Palagano conduce sul piano estetico. Si potrebbe affermare che la sua opera procede per concetti: il concetto è una specie di nodo mentale, un tentativo di connettere e rintracciare un ordine tra le impressioni sensibili, grazie a un libero gioco di pensieri. Vi è, dunque, un elemento di libertà costruttiva nella creazione di un concetto e ciò è reso possibile dal ricorso a uno stile di pensiero visivo, a un’immaginazione mentale capace di spingersi al di là della pura capacità di riproduzione e rispecchiamento della realtà sensibile. [...] Le opere di Palagano appaiono il frutto di un lungo lavorio interiore - insieme di sensazioni, suggestioni, pensieri – nel quale sono state provate tutte le possibili combinazioni degli elementi in gioco, in un sistema cognitivo che ha consentito anche a quelle più inaspettate di emergere. Il risultato finale è opera di selezione: l’autore passa al setaccio le varie combinazioni per conservare solo quelle che meglio esprimono il senso di armonia del cosmo (in quanto composizione dei contrari) che, in definitiva, appare la più alta aspirazione cui Fernando tende. In questo suo peculiare modo di operare, Palagano è ampiamente sostenuto da una notevole perizia tecnica che gli consente di procedere per successive sperimentazioni. Le stesure del colore, la ricercatezza delle varianti cromatiche, i raffinati rapporti tra i toni, il vibrare dei raccordi luminosi, l’utilizzo di modi dinamici e scompositivi sono frutto di un defatigante lavoro con i pennelli e le spatole su supporti attentamente e scrupolosamente da lui stesso preparati, con la stessa intensa meticolosità di un’antica bottega d’arte.
Anche il riferimento alla matrice culturale, non è pedissequo accademismo. Tutt’altro. La partizione spaziale secondo ampie e avvolgenti linee curve che creano piani intersecati, scomposti e ricomposti secondo il fluire di quel continuum spazio-temporale a cui si accennava, non è teso alla rappresentazione del movimento e tanto meno alla esaltazione della velocità: Palagano se ne serve
per immobilizzare la figura in uno spazio universale che travalica ogni riferimento al contingente".

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?

Piero della Francesca e Federico Fellini. Il primo per l’assolutezza del rigore compositivo, lo straordinario uso della luce e la cristallina definizione  dei rapporti spaziali; il secondo per la fertilità creativa e  il consapevole sviluppo dell’immaginario (non va trascurato, per inciso, che il cinema, nella sua accezione più nobile, è fondamentalmente arte figurativa); in Fellini la “realtà” si pone sempre dietro e non davanti alla macchina da presa.

Cosa pensi del mercato dell’arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Il mercato dell’arte mi è sostanzialmente estraneo se non come aspetto sociologico e/o fenomeno storico e di costume. È innegabile che la vendita di un lavoro mi gratifichi moltissimo, pur nella convinzione che il successo di vendita concorra, senza essere l’unico indicatore,  alla definizione di una scala valoriale. L’acquisto di un’opera d’arte denota sicuramente una promozione culturale dell’acquirente, sempre che si prescinda dagli aspetti estetizzanti e modaioli. Senza considerare gli imbonitori di croste e patacche, il mercato dell’arte, per motivi economici o culturali, restringe il campo ad una fascia ristretta della popolazione. Non ravviso potenzialità, salvo che il mercante d’arte abbia competenze, formazione, spirito e intenti di un operatore culturale (il che, sic stantis rebus, lo porterebbe al fallimento).

Se tu potessi suggerire un’idea per valorizzare gli artisti contemporanei, cosa suggeriresti?

È necessaria una profonda rifondazione culturale e tanta formazione destinata ai giovani, che preveda  l’attivazione di stimoli motivazionali che possano contrapporsi all’attuale desertificazione dei valori.È ben noto a tutti il disastro in cui versano i nostri beni culturali e l’ottusa cecità dei governanti che si sono avvicendati. In epoca recente la storia dell’arte è praticamente scomparsa dai programmi scolastici e le giovani generazioni vivono nell’inconsapevolezza di quanto produce l’arte contemporanea. La prospettiva è sconfortante, sebbene sia  innegabile che la percezione del mondo in cui si vive è parziale se prescinde dalla “lettura” della visione del mondo elaborata dagli artisti coevi.

Qual è l’opera tua o di altri a cui sei più legato e perché?

Per quanto attiene ai miei lavori, il legame affettivo prevale su quello estetico e il discorso si chiude qui. Per quanto riguarda “gli altri” la risposta è forzosa e parziale: diciamo La pala di Brera di Piero della Francesca per i motivi esposti nella risposta numero tre. È perfetta e sublime, malgrado risulti in parte tagliata.

Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell’anno?

In qualunque posto accessibile ad un vasto pubblico, al fine di proporre il messaggio figurale interagendo coi visitatori. L’aspetto narcisistico, per quanto innegabile, è fortunatamente del tutto irrilevante. Mi preme rimarcare che ai miei lavori affido una intenzione e valenza culturale aperta al dialogo e al confronto.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?

"Carmina non dant panem" diceva Catullo, ma ogni regola ha le sue eccezioni, rappresentate sia da grandi personalità (poche) che da pataccari alla moda, promossi da critici corrivi o dalla globalizzazione del banale e dall’arte intesa come mercanzia.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro, quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?

Gli spazi espositivi sono scarsi o collocati in aree marginali che scoraggiano l’afflusso di visitatori. Troppo spesso, salvo rare eccezioni, l’artista o l’aspirante tale viene identificato, dagli organizzatori di eventi, come mucca da mungere. I costi richiesti per la partecipazione a una decina di mostre collettive (che troppo spesso si risolvono in terrificanti ammucchiate prive di senso e di identità) equivalgono, più o meno, al nolo di una galleria d’arte ove organizzare una mostra personale, certamente più adatta per la conoscenza e diffusione del proprio lavoro. Il resto è affidato a eventi contingenti e alla capacità individuale di saper proporsi o di saper bussare alle porte giuste.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell’arte?

È auspicabile il superamento della semplice condizione appercettiva o del mi piace\non mi piace. D’altro canto, come tutti ben sanno, la teoria della comunicazione presuppone che il comunicatore e il ricevente dispongano di un linguaggio in qualche modo condiviso e intellegibile. Tutto ciò è possibile solo in virtù di una certa formazione del fruitore, a partire dalle basi che dovrebbero essere impartite durante il percorso scolastico di ciascuno. In ogni caso il discorso è tutt’altro che semplice. La sola sensibilità emozionale non porta molto lontano. Le forme espressive che, al primo approccio, possono apparire come risultato di immediatezza istintiva, si collocano nell’ambito artistico allorquando, generate da un progetto, filtrano e, successivamente, estrinsecano quanto è decantato nel ribollente magma dell’interiorità a cui non è estranea l’esperienza e la formazione culturale di ciascuno. Susseguente azione volontaria e consapevole, insomma, dell’evoluzione concettuale del pensiero che si manifesta come forma letteraria, musicale, figurale, architettonica, coreutica, teatrale, scultorea, fotografica, cinematografica, televisiva e tutte le altre potenziali possibilità espressive, ivi inclusi i videoclip, gli eventi, le “performances”,  i situazionismi concettuali, le installazioni eccetera. Sempre che non si accetti supinamente di stazionare sul  corto respiro dell’arbitraria improvvisazione che, pur nel rispetto della sua piena legittimità sul piano della ricerca, non di rado ingenera confusione e disorientamento, tramite la proposizione di  effimere originalità a tutti i costi, promosse dalla complicità di un settore irresponsabile della critica,  compiaciuto e paludato, volto spesso a inibire (salvo essere qualificati come  retrogradi e parrucconi) la constatazione che spesso “il re è nudo”.
Folli teofanie da accettare, basiti, senza poter capire, in assenza di elementi filologici ed epistemologici in grado di permettere di riconsiderare criticamente  un percorso.

Puoi indicare un pregio e un difetto della critica d’arte?
Critica − frutto di rigorosa ricerca scientifica e filologica − come missione facilitatrice della comprensione o critica come mestiere (fatta anche  di incompetente improvvisazione per non dir di peggio)? Basta così o rischiamo la stesura di un trattato.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Il mio quotidiano ed emozionato amore per il bello, nelle sue varianti, con le sue contraddizioni, con le sue negazioni, con i suoi furori o con la serena e distaccata speculazione filosofica, perenne manifestazione d’amore nei confronti dell’esistenza e della sua continuità tramite la vita dello spirito.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un’intervista?

Mi accorgo che si tratta della tredicesima domanda, ebbene: il numero tredici porta sfortuna, per cui preferisco non rispondere.

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Giuseppe Fernando Palagano
in collaborazione con Accademia dei Sensi
elenco opere nelle immagini Senza ritorno (acrilico su tela); Omnia vincit amor et nos cedemis amori (olio su tavola); Le donne di Gaza. Orgoglio e rabbia (olio su tela); ... È una tempesta anche la tua dolcezza (mista su tela); Il crepuscolo della saggezza (mista su tela);

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