“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 01 September 2014 00:10

ART 3.0: AutoRiTratto di Piero Gensini

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Piero Gensini, sessantanove anni, fiorentino, ha esordito come pittore e a metà degli anni ‘70 si è dedicato alla scultura. Ha tenuto ventisette personali, e partecipato a ventidue simposi internazionali e a più di duecentotrenta collettive. Le sue opere sono custodite nei maggiori musei. È vicepresidente della Classe di Scultura dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.


Quando hai cominciato a percorrere questa strada?
Da bambino giocavo con la mota e la terra. Avevo una forte attrazione per la materia. Il Campanile di Giotto e la Cupola del Brunelleschi, che guardavo dalla finestra di casa mia, mi incuriosivano ogni giorno di più. C'erano ancora i ponti distrutti dai tedeschi quando ho capito di voler seguire questa mia passione. Non è stato semplice convincere la mia famiglia che non erano perditempo coloro che dedicavano la vita all'arte. Così sono arrivato a fare i primi passi all'Istituto d'Arte di Porta Romana. All'epoca, in quella scuola, c'erano grandi personalità che conoscevano tutti i segreti della materia che insegnavano. Ho seguito i corsi di disegno di Onofrio Martinelli, marito di Adriana Pincherle, sorella di Alberto Moravia, e di Emanuele Cavalli all'Accademia delle Belle Arti di Firenze. Successivamente ho approfondito teoria e pratica dell'arte orafa con Enrico Serafini, il più grande maestro italiano della sua epoca.

Quali sono stati i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Ho cominciato come pittore figurativo. E ho fatto la mia prima mostra personale a ventiquattro anni, nel 1969. Venni presentato in catalogo dal professor Antonio Berti. Avevo lo studio in piazza del Duomo 1. Questa volta la mia finestra si apriva sulla Porta della Mandorla, la più bella della Cattedrale di Firenze, dove avevano lavorato Nanni di Banco e anche Donatello. Due grandissimi artisti. A Firenze c'era una grande tradizione di scultori che erano anche orafi: Ghiberti e Cellini, per esempio. Ho portato avanti contemporaneamente pittura e arte orafa. Nel 1974, infatti, sono stato invitato a esporre le mie creazioni all'Elefante Bianco di Roma fra i sei "Maestri italiani dell'arte del gioiello". Ancora nel 1978 sono stato fra i "14 protagonisti dell'arte orafa" che hanno esposto al Palazzo del Turismo, in piazza del Duomo a Milano, presentati da Bruno Munari.
Nel 1973 avevo conosciuto il maestro Gualtiero Nativi, uno dei fondatori dell'Astrattismo Classico insieme a Vinicio Berti e autorevole esponente del gruppo Espace di Parigi. Con lui, nel corso del tempo, si è instaurato un solido rapporto di amicizia e stima reciproca, risultata determinante per la mia formazione artistica.
Sono state molte le mostre dove abbiamo esposto insieme. La scuola della vita con le conoscenze, le frequentazioni, le amicizie aprono mondi nuovi e fanno crescere.
Per me il nuovo è il "non figurativo" che con Nativi, Vinicio Berti e Marcello Guasti, mi ha stimolato a portare il mio discorso verso un linguaggio più interiore: prima in pittura e poi progressivamente dal 1975 in scultura. Quindi piano piano divento un astratto. È stata una scelta controcorrente, in piena indipendenza e libertà, sempre valida nel tempo e non destinata a consumarsi nell'attualità. Oggi analizzo l'interiorità e le forme che esprimo sono razionali e essenziali. Essenziale come certa poesia rispetto a certa letteratura. Con questo nuovo percorso l'impegno è aumentato. Porto avanti studi e ricerche, utilizzando sempre il disegno, molto disegno. Il pensiero diventa segno, il segno diventa forma, l'idea sulla carta diventa la base per poi lavorare la materia.
(scolpendo il legno, ad esempio).
Il mio studio si trova alle Gualchiere di Remole, lungo la riva sinistra dell'Arno, antico opificio medievale per la lavorazione della lana. Il borgo, oggi quasi completamente disabitato, era in attività già alla fine del Trecento.
Lavoro materiali diversi conservati in collezioni pubbliche e private: ceramica (Castelli, Teramo, Raccolta internazionale di ceramica); marmo (Galleria d'Arte Contemporanea di Arezzo);  pietra serena (Parco urbano di sculture in pietra, Fanano, Modena, opera di due metri e quaranta); pietra forte (Impruneta, opera di due metri e settanta);  trachite (Museo all'aperto di Caorle, Venezia); ardesia (Fontanabuona, Genova); ferro (Magi ‘900, Museo delle eccellenze artistiche e storiche, Pieve di Cento, Bologna, opera di un metro e sessantaquattro).
Sono uscito dalle Gualchiere solo per lavorare in Italia e all'estero. Sono stato invitato dalla Fondazione Ronchi a lavorare a Casa Malaparte, a Capri, dove ho lasciato una nutrita serie di grandi tempere.
Mie opere sono conservate nella Collezione di Cesare Zavattini, e al Museo Nazionale del Bargello. Sul lago Balaton, precisamente a Balatonfured, ho realizzato in travertino la Vela di un metro e sessantadue. A Sennori, Sassari, davanti all’ingresso del Palazzo Comunale è installata Omaggio alla terra madre in trachite di due metri e quattordici. Le autorità hanno voluto dedicare questo monumento ai caduti di Nassirya.
Per la Raccolta Pubblica di Arte Contemporanea di Irdning, Austria, ho eseguito in marmo Vela 9 di un metro e novanta.
Ad Acquasanta Terme, Ascoli Piceno, ho realizzato Acqua, origine della vita, opera di due metri, installata vicino al Municipio.


Hai dei modelli a cui ti sei ispirato?
Le fonti di ispirazione sono molte. La natura mi stimola enormemente. Mentre lavoro sento il soffio del vento e lo scorrere dell'Arno. L'acqua è la vita. Presto molta attenzione al momento della nascita-germinazione. È l'attimo in cui il mondo prende a vivere. Il vento muove tutto, cambia le forme, modifica la natura, trasporta la vita. Il vento mi emoziona, mi trasmette stimoli creativi, nati da un sogno profondo. Questo impegno che metto nel cogliere pulsioni che vengono dall'ampio respiro della natura, attivano la mia percezione dell'assoluto e mi spingono a tradurre le sensazioni in opere concrete. La mia ricerca affonda nelle antiche civiltà che continuano a vivere nelle opere giunte fino a noi. Ma è nell'inesauribile lezione del Rinascimento, sbocciato proprio a Firenze, che si trovano le radici della classicità, ripercorsa alla luce del contributo delle avanguardie storiche.
Il Novecento, poi, ha dato grandissimi scultori che hanno portato avanti ricerche innovative. Il nostro paese ha contribuito con i maggiori artisti. Per me Constantin Brancusi è stato un personaggio geniale per come è riuscito ad elaborare nella sintesi certi concetti e forme.

Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
La mia immagine simbolica nasce da un sogno per diventare realtà oggi, anche in questo periodo storico assai avverso ed estraneo al lavoro creativo, frutto di un rispettoso rapporto etico/estetico. Oggi tutti vogliono fare alla svelta, tirano via. Non c'è più attenzione per i molteplici aspetti dell'esistenza, la tendenza è a non costruire qualcosa che duri, o che richieda molto impegno nella sua esecuzione ed altrettanta attenzione per la sua conoscenza e lettura. È dominante l'apparire sull'essere.
Questo è il tempo dell'ansia che divora tutto quanto prima di diventare pienamente maturo, senza permettere il suo naturale accrescimento, il suo ideale momento compiuto. Tutto è consumato in fretta e per moda, per poi essere abbandonato e dimenticato, sostituito da altro: la nuova idea seppellisce quella precedente. Il nostro tempo è riuscito in un breve periodo a sciupare e dissipare quell'immenso tesoro di sapienza artistica e artigianale che era stato costruito nei secoli. Lascio che il tempo scorra con il suo normale ritmo che permetta ai pensieri di maturare, di sedimentarsi per poi distaccarsi e poi confluire nel lavoro, lontano da ogni contingenza del gusto corrente. Posso dire che un'attenta manualità e un'intima sensibilità si possono unire nella compostezza della ragione, nell'intento di dare ampio respiro ad un profondo pensiero che sviluppa il concetto uomo-natura.


Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Suggerirei la conoscenza dell'uomo-artista, del suo quotidiano lavoro, del suo atelier, degli ideali che lo animano e che sono alla base del proprio operare.
Importante è conoscere gli studi preparatori delle opere, così si potrà avere una visione onesta del suo reale spessore e potenziale artistico.


Qual'è l'opera tua o di altri a cui sei più legato e perchè?
Tutte le mie opere sono come figli. Le ho cresciute con lo stesso impegno e affetto.
La più grande, per dimensione, è l'opera Verso lo spazio superiore, eseguita nel 1990 su incarico del Comune di Firenze e installata nello spazio pubblico di Firenze Sud. L'opera è in acciaio inox ed è alta quattro metri e sessanta. È composta da cinque elementi con tre moduli sovrapposti che convergono in alto con un'apertura centrale. Le superfici di acciaio sono ben definite, levigate o incise e si concatenano in triangolazioni dal sottile ritmo e cambiano in rapporto alla luce il cui gioco chiarifica e varia i rapporti fra i piani. Le superfici incise sono create per esaltare la vibrazione della luce ed è un richiamo al mare, corpo liquido, che con il vento leggero vibra e increspa l'acqua.
L'opera fa parte del ciclo emotivo-razionale che porta all'ispirazione di forme la cui impostazione in verticale evoca la stele. La scultura nasce dal collegamento tra le culture del Nord e del Mediterraneo. Nutro lo stesso affetto anche per opere di dimensioni molto più piccole. Penso alle medaglie che ho realizzato nel 1975 per la riapertura del Canale di Suez e quella dell'Anno Santo, mentre nell'87 e nel '90, per conto dell'amministrazione di Palazzo Vecchio, ne ho modellate due che sono state le ambasciatrici di Firenze nel mondo. Pur essendo opere piccole queste medaglie sono oggi conservate in un grande Museo Nazionale, il Bargello.
(opere)


Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché in quali periodo dell'anno?
Non ho particolari preferenze per lo spazio: è importante che l'esposizione sia qualificante per le opere esposte e che l'allestimento sia decoroso in modo da poterne rendere chiara la leggibilità. Neppure il periodo è rilevante. Le opere non devono essere trattate come qualsiasi altra merce più o meno accattivante.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?
Provo disagio. Certo, si può anche vivere di arte in Italia, anche se è un paradosso perché siamo il Paese che ha il maggior numero di opere artistiche nel mondo. Purtroppo gli investimenti in questo settore sono ridotti all'osso. Se si vuol lavorare con coerenza di principi si va avanti a costo di enormi sacrifici e rinunce, rispetto a quasi tutti i paesi dell'Europa Occidentale. Coerenza vuol dire anche rifuggire da facili compiacimenti e dalla moda dell'effimero. Se poi ci mettiamo qualche imprevisto, come mi è capitato quando improvvisamente sono stato avvolto dalle fiamme in Corsica, il gioco è fatto. Quella volta rimasi in prognosi riservata per dodici giorni, dopo essere stato trasportato in elicottero in ospedale. Mi è andata bene, ma ho ripreso a lavorare alle Gualchiere dopo cinque lunghi mesi. Non è stato facile.
L'impegno quotidiano talvolta apre nuovi orizzonti. È successo così che la direttrice di un importante galleria di Melbourne è approdata da me alle Gualchiere, dopo aver visionato le opere di altri scultori europei. Ero unico, fra gli italiani. Le mie opere sono state quindi trasportate in Australia e lì sono rimaste. Qualcosa di analogo è accaduto durante la conclusione della costruzione della nuova chiesa dei santi di Assisi, Chiara e Francesco, di Firenze. L'incarico, anche quella volta, è arrivato al termine di una selezione di artisti. Il parroco e il cardinale si sono mostrati particolarmente aperti alle soluzioni innovative del mio linguaggio astratto. Nella chiesa ho realizzato l'altar maggiore in travertino e il ciborio in bronzo.


Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che più spesso incontra un artista?
Sono un uomo che ha scelto da tempo una vita austera e sono uno scultore che ama la solitudine dello studio, accompagnato dal mormorio del fiume, e che porta avanti la propria ricerca artistica. Lavorare in solitudine non vuol dire isolamento. Tanto è vero che nel 2011 nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, mi è stato conferito il premio alla carriera artistica della Presidenza del Senato. Insieme a me è stata premiata la scrittrice Dacia Maraini. E nello stesso anno sono stato invitato a esporre alla 54° Biennale di Venezia, padiglione Italia, Sala Nervi, a Torino. Il processo di crescita è un fattore individuale in costante mutazione secondo la propria sensibilità e capacità di arricchimento culturale.
La parola artista mi mette a disagio e mi dà un po’ noia, da noi in Italia è molto spesso un termine abusato e usato a sproposito. Io sono solamente uno scultore, parola questa di grosso impegno e di grande responsabilità.
Le difficoltà che incontra uno scultore sono tantissime a Firenze e in Italia in generale, a cominciare dall’enorme sacrificio per mantenersi uno studio (i cui costi sono assurdi), ai difficili rapporti con la critica, alla ristrettissima cerchia operativa di mercato. Questo da noi è penalizzante e sproporzionato se confrontato alle situazioni che affrontano i miei colleghi di Spagna, Francia, Olanda, Germania ecc.
Lo stato e gli enti locali li hanno sostenuti, valorizzando esclusivamente il merito e la serietà d’impegno, la ricerca e non i rapporti amicali.


Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell’arte?
Le cose che potrebbero essere migliorate nella comunicazione sono moltissime, però richiedono grande volontà e seria capacità d’analisi da parte di molti soggetti. Ripeto che il fattore determinante, è la conoscenza dell’autore, del suo impegno, del suo mestiere, del suo linguaggio, della sua essenza.
Come sempre chi vale davvero non ha bisogno di esibirsi e di mostrare le proprie opere in scenografie ingannevolmente accattivanti, per convincere se stesso e gli altri delle proprie capacità.


Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d’arte?
Questa domanda può avere due tipi di risposta, una adulatrice e l’altra costitutiva di inimicizie. A me interessano il critico e lo storico molto attenti ai concetti estetico-formali al di fuori delle mode.
Ho conosciuto critici e storici molto seri che hanno capito le mie motivazioni e il mio lavoro e sono riusciti a costruire delle interessanti analisi interpretative della mia ricerca.


Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
La storia insegna che la funzione dello scultore è sempre stata e sempre sarà quella di dare un nuovo apporto creativo, vero e preciso testimone del proprio tempo. Mi interessano le persone culturalmente aperte che si avvicinano al mio pensiero e al mio lavoro. La mia soddisfazione maggiore consiste nel disegnare e nello scolpire.
È l'intimo dialogo che comincia nel pensiero e finisce nelle mie mani quando trasformo la materia.

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Piero Gensini
in collaborazione con FiorGen Onlus, Accademia dei Sensi
elenco opere nelle immagini Forme nel vento 21 (2009, antico castagno); Acqua, origine della vita (2010, Acquasanta Terme); Vela 9 (2009, Irdning); Verso lo spazio superiore (1990, Firenze); Omaggio alla terra madre (2003, Sennori); Altare (2008, Firenze)
website www.pierogensini.it




 

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