“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 01 April 2019 00:00

Residui filmici nel cinema di Antonioni

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Quanto la realtà quotidiana vissuta dal fruitore cinematografico risulta influenzata dalla realtà filmica, quella a cui co-partecipa durante la visione di un film? A partire da tale interrogativo, Stefano Usardi, nel suo libro La realtà attraverso lo sguardo di Michelangelo Antonioni. Residui filmici (Mimesis, 2018), indaga “la presenza di una residualità filmica che permane all’interno dello spettatore, e ne condiziona la percezione della realtà circostante, dopo aver assistito alla proiezione di un film all’interno di una sala cinematografica”.

Ad interessare l’autore non è tanto il permanere nello spettatore di qualche semplice ricordo, quanto piuttosto verificare in quale misura la fruizione di un film funzioni “come agente condizionante sulla percezione del circostante”. Insomma il film non si esaurisce nel suo trasmettere storie, tematiche, ideologie, ma “diventa elemento attivo per la formazione dell’esperienza del fruitore” e ciò avviene soprattutto attraverso la visione collettiva in una sala cinematografica.
Intrecciandosi problematiche filmiche, modalità percettive, presenza di residualità e livello di condizionamento del fruitore, è inevitabile il ricorso ad una ricerca multidisciplinare coinvolgente filmologia, antropologia, psicologia, sociologia della conoscenza e così via. A ciò, essendo il lavoro di Usardi focalizzato sull’opera cinematografica di Michelangelo Antonioni, si aggiungono gli studi relativi all’opera del grande regista “in relazione alla tematica dello sguardo e della relazione personaggio/ambiente”. In particolare, per quanto riguarda il panorama italiano, sono stati privilegiati i lavori di: Lorenzo Cuccu (La visione come problema, forme e svolgimento nel cinema di Antonioni, Bulzoni 1973), Aldo Tassone (I film di Michelangelo Antonioni, Gremese 2002), Carlo Di Carlo (a cura di, Il cinema di Michelangelo Antonioni, Il Castoro 2002) e Giorgio Tinazzi (Michelangelo Antonioni, Il Castoro 2013). Tra gli studiosi di altri Paesi presi in considerazione dall’autore figurano: Pierre Leprohon (Michelangelo Antonioni, Seghers 1969), Ana Melendo (Antonioni, Un compromiso ético y estético, Consejería de Cultura 2009), David Bordwell e Kristin Thompson. (trad. it. Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a oggi, Il Castoro 1999).
“Lo spettatore, nella sua relazione con l’opera, risulta l’oggetto principale della ricerca [...] anche nella sua personale relazione con gli altri spettatori. La fruizione all’interno della sala cinematografica ha determinate caratteristiche, ed effetti, che la semplice fruizione privata, per quanto dotata di media paragonabili al cinema, non può veicolare, proprio per la sua principale caratteristica di esclusività. La fruizione pubblica, invece, implica delle conseguenze sociali e culturali, altrimenti ridotte durante una semplice proiezione privata per quanto similare come dimensioni dello schermo ad una sala cinematografica. L’interesse quindi, è proprio l’influenza, anche della tipologia di fruizione, che l’atmosfera cinematografica può avere sullo spettatore”.
L’indagine circa la “residualità filmica” non può che basarsi sulle “testimonianze dirette”, o “supposizioni analitiche”, in quanto legate a una fruizione che, seppur influenzata dall’ambiente, resta individuale. L’attenzione di Usardi è rivolta principalmente alla relazione tra “l’utilizzo della messa in scena, analizzata prettamente dal punto di vista tecnico, e la persuasività possibile sullo spettatore, indagata nella sua potenziale residualità condizionante”.
La scelta di indagare l’efficacia della “fruizione cinematografica in funzione di una sua residualità all’interno dello spettatore” nel cinema di Antonioni è dovuta all’evidente presenza nella sua opera di “interstizi” di cui lo spettatore deve colmare l’apertura (Roland Barthes) e all’adozione di una messa in scena richiedente l’interpretazione attiva dello spettatore (Umberto Eco). Lo stesso Antonioni ha dichiarato in più occasioni di “voler descrivere il reale senza utilizzare termini realistici, lasciando al pubblico, quindi, la capacità di coglierli come tali”.
“Antonioni si presenta adatto per una disamina delle dinamiche fruitive, e rafforza ulteriormente la ricerca, perché il tema della sua analisi del circostante, della sua idea di cinema, ha una stretta relazione con la realtà, e come quest’ultima è comunicabile attraverso lo sguardo della macchina da presa”.
La trilogia di film presa in esame dallo studioso è composta da L’avventura (1960), La notte (1961) e L’eclisse (1962); opere caratterizzate da una maniacale “attenzione per la struttura interna dell’immagine, nella quale pieni/vuoti, linee orizzontali/verticali e oggetti/personaggi interagiscono costantemente per affascinare lo sguardo dello spettatore”, costringendolo a una non facile attività interpretativa.
Antonioni, con la sua abilità di “rendere centrale l’assente” (lo spazio vuoto e il personaggio mancante), mira a coinvolgere attivamente lo spettatore. I tre film proposti risultano, pertanto, esemplificativi di una “compromissione del pubblico nel suo dispiegarsi comunicativo, nel suo circolo creativo coinvolgente e condizionante”.
Dall’analisi è stato escluso Il deserto rosso (1964), che pure spesso è associato dagli studiosi ai primi tre film, in quanto, argomenta l’autore, la presenza del colore, nonostante il suo uso non mimetico, ha comunque reso l’immagine più “realistica”, compromettendo “una possibile indagine delle caratteristiche prettamente formali dell’inquadratura associabile ai film realizzati in bianco e nero”.
Dallo studio di Usardi emerge come la trilogia antonioniana esemplifichi “la possibilità di un’opera di essere partecipativa, di poterne, da parte dello spettatore, condividerne la significazione e rinnovarne costantemente il potenziale espressivo, proprio nella partecipazione all’interno dell’atmosfera cinematografica. Inoltre, ad esclusione del colore e dell’uso dello zoom, anche dal punto di vista tecnico, questi tre film presentano, seppur con caratteristiche diverse, elementi che li rendono emblematici di tutta la produzione antonioniana, sempre alla ricerca di un’indagine originale del mondo circostante, di una possibile profondità delle cose, e sopratutto delle persone”.
Nel corso del libro sono individuati nei film di Antonioni quegli elementi “che concorrono a modificare lo sguardo sul circostante da parte del fruitore, il suo concetto di realtà”.
In particolare, al primo capitolo (Una o molte realtà) è affidato il compito di definire cosa si intenda con realtà in ambito cinematografico e “quanto la personale costruzione della realtà possa essere condizionata anche dalla proiezione cinematografica”.
Al secondo capitolo (Residui filmici) spetta invece la disamina del ricorso al termine “empatia” nel cinema e di quanto esso risulti funzionale a “una residualità filmica, soprattutto nell’immedesimazione da parte del fruitore con il protagonista, e se ciò costituisca una condizione fondamentale per una partecipazione attiva all’interno del circolo creativo”.
Nel terzo capitolo (Antonioni visionario) vengono presi in esame i film di Antonioni ricercando in essi caratteristiche (comuni alle tre opere e, più in generale, alla più estesa produzione cinematografica), atte a ottenere il “coinvolgimento da parte dello spettatore, che ne coinvolgano l’esperienza personale e ne mettano in discussione le convinzioni”.
I film del regista ferrarese vengono analizzati, dunque, “nella loro costante ri-attualizzazione da parte dello spettatore, che ne ripercorre evidentemente una storia, ma che riesce anche a partecipare creativamente ad un evento oggettivo, all’interno di un circolo creativo, che fa del film il suo primo, e indispensabile, propulsore”.
Infine, con un occhio di riguardo alla messa in scena, sia dal punto di vista tecnico che narrativo, il quarto capitolo (I film della trilogia) affronta specificatamente L’avventura, La notte e L’eclisse “come possibili referenti per una personale costruzione della realtà da parte dello spettatore, e quanto siano adatti per veicolare una specificità cinematografica atta a lasciare una permanenza residuale, di carattere filmico, nella sua intimità”.





Stefano Usardi
La realtà attraverso lo sguardo di Michelangelo Antonioni. Residui filmici

Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018
pp. 292

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