“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Ester Formato

Lo spazio e il tempo dell'evocazione. Sul teatro di Serra

Se c’è una riflessione generica da fare intorno al focus della Triennale di Milano, dedicato alle regie di Alessandro Serra nello scorso dicembre, e che ha visto nuovamente lo spettacolo Macbettu, seguito da Il giardino dei ciliegi, è che entrambi gli allestimenti  sono ormai percepiti di ampio respiro internazionale, dotati di un’intrinseca istanza, vale a dire quella in cui ricerca e riproducibilità di un classico universale convergono in modo virtuoso.

L'agonia del sopravvivere secondo Anagoor

Come le foglie. È la similitudine alla quale Andrea Marescalchi, protagonista del romanzo di Antonio Scurati − Il sopravvissuto − àncora la sua vita, ritrovando nella funzione dell’insegnamento un’essenza fisiologica, scevro di ogni retoriche definizioni. Siamo alla fine del romanzo; nel settembre 2001, la mattina del primo giorno del nuovo anno scolastico, il professore di storia e filosofia apre gli occhi e accetta nuovamente di far parte di questo naturale processo di nascita, morte e rinascita. Vitaliano Caccia, il suo allievo prediletto, ha sterminato nel giugno precedente la commissione degli esami di stato, lasciando lui solo in vita. Sopravvivere è paradossalmente, nel libro di Scurati, una morte lenta, atroce agonia; forse come quella del 399 a.c. quando Socrate bevve la sua cicuta dinanzi ai suoi più cari amici.

Roberto Latini e lo smembramento della tradizione

Leo de Berardinis e Giorgio Strehler. Sono i filtri (inevitabili) attraverso i quali Roberto Latini guarda al Teatro comico di Goldoni. Strehler, sappiamo tutti, ha votato parte delle sue regie e delle sue ricerche ai testi dell’autore veneziano, penetrando a pieno nei caratteri della sua riforma, nella pratica scenica cui Goldoni era già avvezzo prima di essere ufficialmente scrittore di commedie.

"Follìar": ai bordi di un evanescente crepuscolo

Se una delle più ampie ed angosciose suggestioni beckettiane – in Aspettando Godot – è lo spazio indefinito, privo di coordinate, che comprime e sbigottisce secondo dopo secondo le fragili esistenze dei protagonisti, nel lavoro della compagnia Asorri/Tintinelli è una strana sensazione di reclusione a sfinire progressivamente i due buffi personaggi, già perduti ai margini di un’esistenza come non pervenuta al mondo esterno.

Specchio esistenziale

Quella di Un quaderno per l’inverno è una scrittura lucida in cui ogni singola parola appare accuratamente cesellata e le pause in essa contenute non guastano il ritmo e la tenitura della drammaturgia. Abbiamo, dunque, un professore di letteratura che conduce una vita solitaria in un anonimo appartamento metropolitano. Nell’enorme spazio scenico del Teatro India di Roma vi sono un paio di sedie rosse attorno ad un tavolo rettangolare bianco, unici riferimenti che circoscrivono il perimetro entro il quale Alberto Astorri (attore della compagnia Astorri/Tintinelli) e Luca Zacchini (de Gli Omini) agiscono.

Preamleto o del Potere (mafioso)

Il luogo (o non-luogo) in cui Veronica Cruciani inscena il Preamleto di Michele Santeramo ha l’aria di essere un bunker che riusciamo ad intendere come una occulta camera del Potere, una cabina di regia nella quale – secondo la contemporanea sensibilità dell’autore − si annidano dei germogli “politici” che vengono ipoteticamente sottesi all’opera shakespeariana. Non siamo sicuri, a dire il vero, che Preamleto sia soltanto un semplice assioma, un precedente episodio all’Amleto. Se ragioniamo solo in termini di pura sequenzialità è probabile che la prospettiva non sia del tutto esaustiva e che, forse, si ha l’impressione di essere dinanzi ad un tentativo di asportare da un classico una cellula essenziale: per renderlo opera aperta e, nella relativa (non) conclusione, lasciarci con domande più che con nuove risposte.

Edipo marginale e "Scarrozzato"

Un sipario semitrasparente verde e azzurro retto da un bastone per tende, più lungo rispetto allo stesso drappo  che cala di sghembo sulla scena, fatto da un insieme di stracci di “camise, de gipponini, de sottane, de calzette, de pezze, de reggitette, de mudande smangiate su tutte dai vermeni, dalle camole e dalle piattole de ‘sta vagina de coiti e de morte che ha da essere e sarà in eternis la latrina teatralica!”. Dietro di esso una serie di fantocci in fila, parrucche e abiti di scena malandati s’intravedono grazie alla tenue luce di soli quattro grandi fari che dall’alto illuminano l’assito del Piccolo Eliseo.

Tra i detriti, vive l'Ubu di Roberto Latini

Può sembrare assai banale trovarsi davanti ad un palcoscenico a quinte laterali leggermente oblique, completamente bianco, mentre “ominidi” vestiti del medesimo colore si stagliano sulla parete di fondo. La scena è come una superficie lattea sulla quale Padre Ubu (Francesco Pennacchia), Madre Ubu (interpretata, con tanto di baffi, da Ciro Masella) e i futuri “consiglieri”  stanno silenziosamente pescando, ascoltando i suoni di una qualsiasi alba.

il Pickwick

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