“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Eliana Vitiello

Limiti e risorse profondamente umane

Pinocchio, la celebre fiaba italiana di Collodi è stata presentata all’edizione del Napoli Teatro Festival al Mercadante con la firma di Joël Pommerat, una delle voci più interessanti del teatro internazionale. Il tocco del regista dona una forma particolare alla storia che nella messa in scena è stata riadattata pur mantenendo le componenti essenziali della fiaba originale: egli la anima del suo senso personale. Si avverte la sensazione infatti di essere catapultati all’interno di un universo sorprendente e nuovo pur mantenendo i tratti della fiaba primitiva.

Il ciclo della vita e della morte

Passage Through the World: un progetto site-specific focalizzato sul tema del viaggio attraverso territori diversi tra loro alla ricerca di significati, in uno spostarsi che assume le sembianze di un rito catartico, purificatorio rispetto alla perdita. Passaggio attraverso il mondo come inevitabilità della fine di una condizione transitoria di cui facciamo esperienza nel mondo legata in modo imprescindibile con la morte. Passaggio come punto di transizione da un punto ad un altro nella credenza e nella speranza di un potenziale rinnovamento che viene alimentata dalla spiritualità.

La magia del teatro

Broduei, casi umani in teatro di Maurizio D. Capuano è un racconto sull’esperienza di alcuni possibili retroscena e ostacoli che precedono una rappresentazione teatrale. Nello spazio intimo Zona Teatro Naviganti è come se si facesse ingresso dietro le quinte diventando parte del cast.  L’interazione degli attori con il pubblico supera le classiche aspettative, iniziandosi a creare già mentre si fa la fila per il biglietto. Si stabilisce un contatto sin da subito che non si esaurirà per tutta la durata dello spettacolo: talvolta gli spettatori verranno invitati direttamente ad applaudire, saranno coinvolti e proprio lì vicino a loro, nella platea, è collocata la cabina di regia.

Senza troppe parole

La compagnia Il Teatro nel Baule porta in scena lo spettacolo vincitore del bando “Avviso Pubblico” dedicato dal Nuovo Teatro Sanità alle compagnie under 35. E lo fa con una semplicità e una dolcezza coinvolgenti. Uno spettacolo che si avvicina a quello che accade nel teatro in cui il protagonista della scena è il dramma trasmesso in uno scambio di condivisione con lo spettatore e con la forza di un linguaggio visivo incisivo e predominante. Il contrasto tra la vita e la morte, il senso di colpa e di impotenza, il desiderio (da de e sidera: mancanza ma anche moto verso le stelle) sono temi affrontati con poche parole, evocati in uno spazio intimo con l’attenzione premurosa di non invadere mai troppo.

Confessione dolorosa

Palco vuoto cosparso dal terreno, vetri rotti, tre lampadari agli angoli gettati a terra, due sedie, sei sfere contenenti palline da ping pong. Uno specchio al centro della parete beige in fondo, tre corde che penzolano con pezzi di specchi e a penzolare anche un orologio simile a quelli molli di Dalì: la sensazione che il tempo si sia fermato e non restano che specchi rotti e deformanti che non restituiscono immagini fedeli alla realtà, ma solo frammenti. Le luci illuminano la scena per un po’, poi si abbassano, si spengono. È in questo momento di buio che fa la sua comparsa Elena Arvigo, e lentamente si accende una luce fioca: è seduta a terra che maneggia da sola grandi carte da gioco, gettandovi sopra con forza specchi che fanno rumore. Le luci scandiscono i diversi momenti della rappresentazione alternandosi tra il buio totale e la luce soffusa. 4:48 è l’orario secondo cui le pulsioni suicide si fanno più pressanti ed è anche qui il momento in cui l’attrice decide di porre fine alla sua esistenza.

Sempre più giù

Si apre il sipario e un uomo entra in una camera, posa la valigia, sistema le sue cose e indossa una vestaglia di un verde lucente. Ha l’aria rilassata e a primo acchito sembra si trovi in una stanza d’albergo. Un ritornello musicale accompagna l’inizio e si ripeterà costantemente ad ogni cambiamento di scena e sul finale, imponendosi nella mente dello spettatore. “Un caloroso benvenuto. La direzione, Professor Dati”: il signor Corte legge queste righe sorridendo e si compiace dell’ottima scelta del posto. In realtà ci accorgiamo subito dopo che si trova in una clinica specializzata nella cura del male da cui è affetto: una forma lieve, come tende a sottolineare all’infermiera che viene ad accoglierlo.

Spogliarello emotivo

Pietro è prigioniero in un corpo che non sente suo, non gli appartiene, non l’ha scelto. “Io mi sento una femmina” afferma scrollando le spalle in un moto del corpo e del viso che mi trasmette impotenza mista a rassegnazione per essere contenuto in un involucro che non combacia con le sue pulsioni, i suoi desideri, il suo sentire più profondo. Aggiungiamo la provenienza geografica e il contesto socio-culturale di cui è figlio: una Sicilia che si è trasferita in provincia di Napoli ed una famiglia dalla mentalità “tradizionale” con principi morali avversi al diverso: “c’hann' fa' i masculi con i masculi; i masculi stanno con le femmine”.

Ottimismo per tutti

Candide: vita di un giovane ottimista. Di un sognatore che crede che ogni cosa che accade avviene comunque “nel migliore di tutti i mondi possibili”. Ma questo mondo subisce un collasso all’interno della storia delle sue avventure attraverso i tempi e i luoghi. Come sarà l’incontro dell’ottimismo di Candide con la realtà dell’epoca attuale? È un personaggio che incarna il nevroticismo della vita dei nostri giorni, sospeso e incerto nel procedere tra principi e valori che hanno perso consistenza. “Candide è il poema dell’esistenza fortuita, poema amaro e durevole”: crudo e ironicamente tragico, si perpetua nel tempo e si presta ad una rivisitazione in una fusione con il mondo a cui apparteniamo.

Nevrosi pestilenziali

Il primo concetto che cattura la mia attenzione è quello di “peste emozionale” secondo Reich ovvero la “malattia” che si manifesta nella convivenza sociale. L’appestato emozionale si distingue dall’individuo sano poiché pretende che l’appagamento delle sue esigenze non sia una sua precisa responsabilità ma del mondo circostante. I pareri, i meccanismi messi in atto dagli altri non vengono imitati o presi come spunto ma rifiutati categoricamente con rabbia e ciò deriva dalla pulsione di piacere non soddisfatta. È un meccanismo irrazionale che abita in ognuno di noi, esplodendo in taluni nei rapporti sociali. Il suo significato non è negativo in senso assoluto bensì corrisponde alla reazione adattiva sviluppata verso forme di privazione subite dal soggetto.

"Pigmalione": fiori di lusso

Nella rivisitazione di Pigmalione di George Bernard Shaw, Manlio Santanelli viaggia da Londra per atterrare a Napoli al Teatro Stabile in due atti. Le inflessioni dialettali calcate sono il primo indicatore che ci troviamo in un riadattamento di un testo anglosassone, nonché la prima scelta indispensabile per rendere la commedia riuscita e vicina alle corde del pubblico.
In questo viaggio il bagaglio è l’illusione di libertà che si avverte nel provare a diventare qualcosa di diverso ed estraneo da sé, considerato come migliore dalla società ma distante dalla propria natura e dalle condizioni socio-culturali di cui si è figli.

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