“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Silvia Maiuri

"Aspettando Antigone": la poetica dell'antieroe

Aspettando Antigone: con questo titolo beckettiano Claudio Zappalà, giovane drammaturgo vincitore del Premio Cendic – Segesta 2015, chiude la stagione della sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo. Allestito per la prima volta al Festival Dionisiache, Aspettando Antigone torna nella sua città “natale”.

La rivoluzione di Delbono all’opera

Nel 2015 Pippo Delbono creava Vangelo. Opera contemporanea aspirando alla bellezza della musica. Nella Passione di Cristo ritrovava la sua passione personale, l’esperienza che aveva vissuto nei manicomi, negli ospedali e nelle terre straziate dalla guerra, quei non-luoghi fertili alla sua poetica. Qui, dove qualcosa sempre sta per compiersi senza fine, Delbono ha trovato, nel dolore e nella paura della morte, un nuovo motore di resurrezione. Oggi ritorna a parlare di Cristo con Passione secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach, nuovo allestimento del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Roma e il Teatro San Carlo di Napoli, diretto dal maestro concertatore Ignazio Maria Schifani che ha debuttato il 27 aprile.

Pièce per luce e voce firmata Finzi Pasca

Daniele Finzi Pasca prende in prestito dal circo Helena Bittencourt e Goos Meeuwsen per comporre uno spettacolo di rara delicatezza. Bianco su Bianco, in scena al Teatro Biondo di Palermo dal 31 marzo al 9 aprile, è uno di quegli eventi che si dicono per tutti: qui ci sono la mimica, il gesto, le clownerie a superare le parole per raccontarci la storia di Ruggero, sorrette da un esperto gioco di scena che svela più di ciò che non può essere detto dell’intimità del protagonista.

"Fratto X": sindoni a confronto con cartoni animati redentori

Il linguaggio di Antonio Rezza e Flavia Mastrella è stato spesso definito “surreale” perché si sviluppa come una miscela sconclusionata di parole e di gesti. Ma la specificità dello stesso linguaggio sta nell’ironia che si fa forte proprio della realtà: la più quotidiana, la più concreta. Di quella “tirannia del consueto” che il sognatore non vuole vedere e che, invece, il cinico eleva a regola della sua condotta.

Aldo e Rosemary, esseri umani fuori parte

Continua al Teatro Biondo una stagione segnata dalla produzione di drammaturgie contemporanee: è il caso di Nel nome del padre per la regia di Alfio Scuderi che ha debuttato il 15 marzo in Sala Strehler. Recuperando il testo che Luigi Lunari scrisse nel 1997, Scuderi affida a Paolo Briguglia e Silvia Ajelli i ruoli dei protagonisti: due figure storicamente esistite che mai avrebbero potuto incontrarsi in questa vita.

Aldo e Rosemary sono agli antipodi della storia dell’Occidente e, in effetti, hanno poco in comune: sono cresciuti all’insegna di due ideologie opposte che difendono fino all’ultimo respiro; sono diversi i valori in cui credono, le regole a cui si attengono, gli obiettivi che si sono posti. Hanno vissuto come due rette parallele senza mai incontrarsi. Da un lato Aldo, figlio intellettuale allevato nella Russia di Stalin, convinto sostenitore del comunismo, peregrino e rifugiato. Dall’altro Rosemary, figlia aristocratica istruita al rigido cattolicesimo e al perbenismo americano. Ma Lunari immagina di superare i limiti ideologici e geografici costringendoli insieme in una stanza: è un purgatorio, un luogo di espiazione e di passaggio all’eternità.
E, se Lunari li fa dialogare, Scuderi dirige il dialogo con sobrietà. Perché sono insieme in questo manicomio della coscienza? Sono due che hanno vissuto nel nome dei loro padri, un comunista e un capitalista. Nomi talmente altisonanti che hanno finito per porli nell’ombra. Entrambi schizofrenici, infatti, hanno subito la dimenticanza e il rifiuto da parte del padre. Ora devono trovare la redenzione comune: ma riusciranno, loro che hanno respirato sempre ai margini della storia, a ucciderli quei padri che la storia l’hanno fatta?
Il testo gioca su più fronti: da un lato l’ambiguità di queste due figure non dichiaratamente identificate, quindi la curiosità di scoprirle; dall’altro il conflitto tra la sfera intima, la loro, e quella pubblica nella quale siamo inclusi storicamente anche noi. Chiusi in quella stanza grigio perla, infatti, non ci sono solo due cavie della storia; ci siamo noi, coi nostri ideali, con quello che ne è rimasto. Privato e pubblico si mescolano per parlare di famiglia e di politica. E ogni parola si fa carico di un sentimento controverso e di un conflitto interiore che porta i protagonisti a un'incomunicabilità che si supera solo un poco mentre l’uno o l’altro parla di sé. Resta, alla base, un egocentrismo insuperabile che è sintomatico della malattia.
Paolo Briguglia e Silvia Ajelli hanno fatto un lavoro eccellente sui personaggi assumendone i tic e le manie, reiterati durante tutta la performance: Briguglia è un cinico-romantico non “attrezzato alla vita”. Sentimentale, logorroico, ossessionato dai suoi fantasmi, si muove sulla scena con nervosismo controllato, gli occhi strabuzzati, la frenesia della lingua. Ajelli è una Rosemary che ha paura di parlare: appiattita alla parete, tiene stretti tra loro i tacchi beige da pomeriggio, e non fa mai nulla di sbagliato.
Nella scena essenziale di Scuderi spesso un tappeto sonoro pop entra stonato a rompere il già precario equilibrio che i due protagonisti tentano di stabilire tra loro. Le parole che non si dicono le dice spesso la musica. Come le luci, che separano i ricordi dal presente: sono calde le luci dei ricordi, a voler dirci di nostalgia; ma variano in toni più accesi quando quei ricordi si riempiono di disagio. Diventano magenta, rosso, giallo acido. Quello che Aldo e Rosemary ricordano è un passato macchiato che ha lasciato segni profondi e di cui non si sono ancora liberati.
Nel nome del padre è una storia di riscatto e di autodeterminazione; è un’occasione per Aldo Togliatti e Rosemary Kennedy di rendersi liberi davanti agli occhi del pubblico.
Aldo e Rosemary sono arrivati in ritardo all’appuntamento con la vita, in anticipo a quello con la morte. Sono rimasti senza parte da recitare nello spettacolo della storia e si sono adattati a recitare fuori parte. Aldo e Rosemary hanno soprattutto una cosa in comune: sono figli di una storia sbagliata.

 

 

Nel nome del padre
di Luigi Lunari
regia e scene Alfio Scuderi
con Paolo Briguglia, Silvia Ajelli
produzione Teatro Biondo Palermo
Palermo, Teatro Biondo, 15 marzo 2017
in scena dal 15 al 25 marzo

"EOIKA": il corpo doppio

In EOIKA la percezione del corpo, visiva e identitaria, è soggetta a un gioco di doppiezza dove a fare un corpo sono due danzatrici, Sabrina Vicari e Federica Aloisio: le gambe di una e il busto dell’altra fanno vivere un unico corpo gigante sdraiato sul palcoscenico del Piccolo Teatro Patafisico che viene avanti verso la platea contorcendosi in movimenti innaturali e dichiarando la finzione del suo essere in scena.

Virgilio Sieni e la “Comunità del gesto” a Palermo

Con Insegnamento, di fronte agli occhi degli altri il coreografo Virgilio Sieni porta avanti un progetto iniziato alcuni anni fa quando volle inserire nel suo percorso artistico l’esperienza performativa a contatto con i “non danzatori” ovvero con tutti coloro che non hanno un rapporto con la scena della danza, né fondamenta tecniche di linguaggio del corpo. Lo fa a Palermo nell’ambito di Bam Biennale Arcipelago Mediterraneo che prevede una serie di interventi sulla città decretata Capitale della Cultura 2018.

La poetica 'bestiale' di Emma Dante

In più occasioni la Dante è ricorsa alla rinuncia: la sua poetica – quella che noi conosciamo oggi come la maniera, o che più ampollosamente ci piace definire il metodo Emma Dante – è cresciuta in bilico tra la volontà di mostrarsi e l’incertezza di fare passi falsi nel provarci. Su questo filo sottile la teatrante palermitana ha sempre camminato a passi pesanti che hanno restituito concretezza al suo lavoro.

Un tentativo di Tragedia, oggi

O come buco è il terzo spettacolo della tetralogia di Giovanni Lo Monaco sui rapporti parentali.

"Macbeth" di Emma Dante, un sabba verdiano

Il Macbeth è una storia di violenza dietro cui è malcelata la storia di un intero popolo assoggettato alla magia. Nella regia di Emma Dante, che con il suo Macbeth apre la stagione operistica del Teatro Massimo di Palermo il 21 gennaio, sono infatti le streghe il punto focale dell’opera: da loro spira la magia che riempie di sé ogni cosa. Queste, gravide di premonizioni, animali straziati da doglie demoniache, si cercano, proprio come le bestie, un posto in cui partorire. Portate dalla testa, che lotta contro il ventre rigonfio per stabilire l’andatura guidando gli arti, sono sgraziate e bestiali, e nella loro natura compromessa sta la ricchezza di questa regia. In ogni nascita c’è una nuova morte e in quel “Rimescete” il futuro è, senza imbarazzo, associato alla nascita.

Page 3 of 6

il Pickwick

Sostieni


Facebook