“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Paola Spedaliere

Giuseppe e la Madonna

Nella sala Fringe di Castel Sant’Elmo, sotto un’imponente volta tufacea, un uomo solo gira in tondo a piedi nudi sul palco spoglio con un’espressione quasi catatonica, claudicante. Il pubblico entra nella sala, getta uno sguardo a lui, alla madonna di gesso che non arriva al metro di altezza, messa al centro, verso il fondo palco. Quasi non badando a lui, prende posto, continua a chiacchierare mentre l’uomo, in pantaloni verdi e camicia bianca, continua a girare.

Fiat Lux!

La misteriosa e affascinante Cappella Sansevero è trasformata in un insolito teatro per la messa in scena de Lo spettacolo della fisica – Light Mystery – Storia di un leggero mistero della luce condotta dal trio Carpineti Giliberti Ludwig, scienziati del dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano. I tre docenti interpretano il ruolo di due professori di una scuola elementare che stanno organizzando una lezione di fisica quando irrompe sulla musica di Guerre Stellari, all’improvviso, un terzo personaggio, un marziano completo di tuta scura con grandi triangoli argentati, sconvolgendo la normale attività didattica.

Five Pounds

La professione della signora Warren è un testo di George Bernard Shaw del 1894, andato in scena per la prima volta nel 1902. È un testo che mostra con lucida sgradevolezza lo spaccato di una società borghese ipocrita dell’epoca vittoriana che la regia di Giancarlo Sepe legge come uno spartito che può essere suonato ancora oggi, di una sconcertante ed impressionante attualità. La professione a cui si fa riferimento nel titolo è quella più antica del mondo che ha permesso alla signora Warren di arricchirsi, ma non le ha concesso l’onorabilità in società che, invece, lei ha voluto costruire per la figlia.

Carote e manganello

Dici Ascanio Celestini e pensi al teatro detto di “Parola”. Un teatro di impegno dove il testo soverchia l’attore che lo interpreta. In Discorsi alla Nazione, Ascanio Celestini porta in scena un monologo affidandosi solo al suo testo e alla sua capacità attoriale, affrontando uno o più temi di attualità, scegliendo un punto di vista coinvolgente con uno sguardo lucido, disincantato. La scenografia perciò è essenziale nella sua funzionalità al testo. Sul lato destro del palco ci sono diverse lampade a piantana, sulla sinistra vi sono due amplificatori metallici che emettono delle lucine rosse e verdi di accensione. Al centro vi è una serie di oggetti messi uno sull’altro senza un disegno definito o definibile, sono pedane dalle varie dimensioni.

Le regole della libertà

Il sipario rosso è chiuso, il limitare del proscenio è sottolineato da una scritta grigia che sembra scalpellato nel marmo: 'Ospedale Psichiatrico'. Quando il sipario si apre il pubblico già si aspetta ciò che vedrà sul palco: la sala dell’accoglienza diurna a forma circolare del Manicomio di Aversa con un gabbiotto a vetri in secondo piano a destra, due tavoli rotondi con delle sedie a destra e a sinistra, due enormi porte-vetrate ai lati delle quinte, una che conduce verso l’esterno e l’altra all’interno dei reparti. La parte superiore è formata da un corridoio su cui si affacciano delle piccole celle quasi sempre buie: sono i ricoveri dei malati cronici, quelli resi completamente incoscienti da metodi brutali come l’elettroshock e la lobotomia.

Come Tolstoj partorì Anna Karenina

Come nasce un personaggio nella mente del suo autore? Come viene posto il seme che lo fa diventare lo specchio nel quale si riflette un’intera società e un’epoca? Come si fa a essere eternati, a diventare un archetipo? In conclusione, come nasce Anna Karenina?

Nessuno tocchi Caino

In una profonda semioscurità si staglia netto il cerchio bianco al centro del palco composto da tante mele, pere, ananas e altri tipi di frutta tutta bianca e un albero stecchito che pende dall’alto, capovolto, dello stesso colore degli altri oggetti. Al centro di questo cerchio vi è un uomo sdraiato ed un altro in piedi al di fuori della candida circonferenza. Indossano entrambi la stessa maglietta bianca e dei pantaloni blu al ginocchio. Sembra una divisa da bambini. L’uomo entra nel cerchio, si accoccola alle spalle dell’altro, poi inizia a muoversi carponi a terra come gli animali emettendo suoni gutturali: sembra stia cercando di svegliarlo.

Quel tunnel cieco chiamato Italia

La scena rappresenta l’interno del bar Italia, come si deduce dall’insegna luminosa con i colori della bandiera, con un lungo tavolo verso il fondo e delle sedie su cui sono appoggiati vari abiti, poi vi sono una grossa cassa sulla sinistra dell’assito e un’altra più piccola sulla destra. Entrambe sono coperte da cartoline di luoghi di vacanza, dalla foto di una grossa palma e perfino dallo stemma dell’Inter. Il bar è gestito da una donna di mezza età un po’ svampita che si chiama Italia e dal suo giovane socio, che è anche il suo compagno, Tiresia, non vedente, che è subito in scena sulla prima cassa a sinistra con indosso solo un logoro giubbotto di pelle e delle mutande rosa come le scarpe da ginnastica.

Il punto improprio

Mentre il sipario si apre, si sente un forte scroscio di pioggia, poi uno sparo. La scena presenta una grande stanza grigia dalla quarta parete posizionata storta con i muri laterali che si restringono e convergono verso una parete di fondo aperta su un esterno dove si vede scendere la pioggia in una notte buia. Molte scritte su questi muri e queste due aperture fanno somigliare questa stanza a una grotta angusta e soffocante. Due scrivanie sono poste quasi una di fronte all’altra. Un inquietante orologio senza lancette si trova sopra una di esse sulla sinistra del palco. In seguito verranno aperti due pannelli laterali pieni di libri e di carte.
Su tutto predomina il grigio, il rumore della pioggia e dei tuoni.

"Heroes" salentini

Che cosa potevano fare dei giovani negli anni Ottanta che vivevano ad Erchie, provincia di Brindisi? E a Oria, a Latiano, sempre nella stessa provincia? Mentre il mondo in quegli anni sembrava stesse mordendo la vita consumandone tutti gli appetiti, in quei paesini del Salento, che più di una volta il protagonista definisce come il “buco del culo del mondo”, l’esistenza è piena di niente. Solitudine e il nulla. Con se stessi a fare i conti tutti i giorni.

il Pickwick

Sostieni


Facebook