“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandra D’Ottone

Spettri riflessi, in una sera d’inverno

Al fuoco di un camino, tra un ambrato tepore e un croccante bagliore, un racconto d’inverno accomoda l’anima stuzzicando impressioni che nel brivido trovano rifugio, casa. Un racconto che dica di storie fantastiche, se poi di fantasmi si tratta. Questi finiscono per nascondersi nelle suggestioni di un’immagine, di una voce che soffia, di un lamento strozzato: la storia si conclude ed i fantasmi restano nel luogo livido della fatica di allontanarli. Per non cedere alla tortura delle catene dei ricordi ingombranti, delle altrettante paure  di ritrovarsi faccia a faccia con gli ignoti spettri riflessi. Da soli, in fondo, può accadere.

Quaesivi et (non) inveni

Fredda la luce che trattiene il corpo, come ad ingabbiarlo, come a chiedergli conto di una verità che fa male. Fredda se intorno, tacendo, tutto è buio. Fredda se la verità è il sasso di una piena risposta urlante lanciata in uno stagno di vuote domande silenziose. Eppure il chiassoso mondo strilla, infinite le sonore voci sparse in un caotico spazio deviante. Si devia. Per non vedere. Per non chiedere. Per non sentire. Per non rispondere.

(R)Esistere, in memoria di Lenuccia

Ouverture resistente, tra Le nuove resistenze della stagione d’esordio, per il Nuovo Teatro Sanità. Il sipario si alza e nuove luci tornano a restituire a Napoli la memoria di una sua figlia-coraggio. In scena, la storia di Lenuccia (Maddalena Cerasuolo), giovane partigiana della Resistenza napoletana, medaglia di bronzo al valore militare.
Lenuccia e Napoli, l’una figlia, sopravvissuta (tra centinaia di figli martiri); l’altra madre di una libertà conquistata tra le mine senza pietà dell’ennesimo dominio. Quattro giornate, scivolate nel sangue per dire − per prima − ‘no’ all’orda nazista. Nel sangue e nel sole.

La figlia del re

Leggera è la brezza estiva, risale lenta dalla tavola d’acqua alle spalle della scena. Nuda in tutta la sua bellezza, quando si fa teatro. Non più Napoli, dunque, ma Tebe. Con il suo palazzo, il suo popolo, il suo tiranno. Con il suo fatto politico da difendere, evidentemente ad ogni costo.
Come se il popolo avesse davvero sete di questa giustizia, di quest’esempio di probità e di doverosa coscienza: nel rispetto del nomos, uguale per tutti, a partire dalle figlie del re.

Erranti storie di imperituri respiri

Pièce d’esordio per il Golem Teatro che, per la rassegna Dis…continua… , debutta con Janara.
Mistero, ricerca, tradizione, leggenda, pregiudizio, in una storia in(de)finita. Una storia senza tempo, che nel tempo stesso va cercando antichi respiri, vagiti di una verità che esiste dall’era della vita. Vita, ergo bene/male. L’uno esiste, se ugualmente accade per il suo esatto contrario. Imprescindibile catena ontologica: quale umanità, senza? Un’umanità che conosce il male, esige dialetticamente di (ri)conoscere il bene. Ugualmente, appunto, al contrario.

Contro i mulini a vento

Un armadio se ne sta solo, in un angolo, sul fondo della scena. Altro non c’è che un bagliore di luce ad illuminarne la trasparenza delle ante, quasi che dietro di queste, nel soffice biancore di verticali vesti ivi riposte, forme sparse di vita chiedessero di farsi riconoscere.
Silenzioso custode di esistenze erranti, di ieri e di domani, dell’uno e dei tanti alle prese con la (non) ricerca dell’altro e del sé. Erranti vite sconosciute o sognate, rifuggite o incomprese, rinnegate o ricercate.

Ricercati dalla memoria

Succede che la vita è un viaggio, e in ogni sosta c’è il tempo per crescere. Attendendo i giorni futuri, ricordando quelli passati. Mentre quel burattinaio del presente tira i fili, ora intrecciandoli ora sciogliendoli. Eppure li tira. Al punto che l’umano sentire ne avverte lo spostamento d’aria: molecole di emozioni in lotta per la vita, ancor più quando l’Io si accorge di esistere.

Fenomenologia del sonno: nell’assenza, l’essenza

Un condominio. Case, famiglie, identità diverse costrette a coesistere sotto lo stesso tetto, al limite tra dinamiche di inciucio e di sopportazione. Eppure, nel groviglio di insofferenza a questa pur intricata coesistenza coatta, una presenza spettrale s’insinua turbando la quiete di ognuno e rendendolo parte di uno stesso, drammatico, tutto. Se lo spettro è l’insonnia, la quiete è l’evidente torpore dei corpi incoscienti, così come delle menti.

Go-dot. Oggi, no. Domani, chissà

 

Chiara e leggera è la luce del giorno, in fondo la notte è ancora lontana. Il pubblico attende, così come Vladimiro ed Estragone: in un velo sottile, il filtro dell’eterna incomunicabilità tra finzione e realtà. Mondi che si sfiorano, l’uno con l’illusione di inglobare l’altro. Illusione non metafisica ma tutta, dolorosamente, umana.

Accade, in un'Italia 'perbene'

In un’Italia ‘perbene’ certe cose accadono. In un’Italia ‘perbene’ accade di vedere e far finta di niente. Di sentire, e convincersi di aver ascoltato male. Di capire, e di sottomettersi all’ipocrisia del fraintendimento. Ne va del pane, della tranquillità, talvolta della pelle.
In un’Italia ‘perbene’, si fa e non si dice. Si dice quel che non si fa.
E si sorride perché, se i tempi sono questi, è sempre colpa degli altri. Come se il libero arbitrio, e la libera responsabilità civile, fossero un gioco a batteria.

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il Pickwick

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