“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Letteratura

Letteratura La bottega dei libri

«Narravano che la più misteriosa tra le botteghe fosse la bottega dei libri: da essa pare venisse un diabolico miscuglio di trame e vicende che contagiava i passanti più frettolosi tramutandoli in lettori accaniti».

Friday, 27 April 2018 00:00

La filosofia come stile di vita: Pierre Hadot

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Pierre Hadot (Parigi, 1922 − Orsay, 2010), cresciuto a Reims in una famiglia di fervente fede cattolica, dopo gli studi di filosofia e teologia, prese i voti nel 1944. Dieci anni dopo lasciò il sacerdozio, si sposò, impiegandosi dapprima come bibliotecario e in seguito come ricercatore al CNRS. Direttore della École pratique des hautes études dal 1964 al 1986, fu poi  nominato professore (per iniziativa di Michel Foucault) al Collège de France nel 1982. I suoi campi di interesse furono rivolti soprattutto alla filosofia antica, all’orfismo e al neoplatonismo, ma si occupò anche di letteratura (Goethe) e di pensatori novecenteschi (Bergson e Wittgenstein).

Friday, 20 April 2018 00:00

L'Alba epigrammatica di Beppe Fenoglio

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L’epigramma, di cui Leopardi indicava i tratti fondamentali nell’arguzia e nella brevità, ha una tradizione millenaria nella nostra letteratura. Il termine deriva dal greco ἐπί-γράφω (“scrivere sopra”) e originariamente indicava la breve formula posta sulle lapidi funerarie. In età classica, i pochi versi che lo caratterizzavano si indirizzarono verso composizioni poetiche di vario genere, assumendo toni burleschi, licenziosi, celebrativi o di aspra critica civile e politica.

Confesso di non avere letto Open, l’autobiografia di Agassi, ma in molti me ne hanno parlato come di un bel libro. E confesso di avere mantenuto un atteggiamento snob di fronte al consiglio di cimentarmi con esso. Credo per una sorta di rifiuto nei confronti di chi racconta la sua vicenda di atleta sportivo. Che finisce per essere autoreferenziale.

Monday, 09 April 2018 00:00

L'altrove poetico di Federico Hindermann

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L’editore milanese Marcos y Marcos ha pubblicato all’inizio di quest’anno un’antologia dell’opera di Federico Hindermann (Sempre altrove. Poe­sie scel­te 1971-2012), curata da Mat­teo M. Pe­dro­ni e in­tro­dot­ta da Fabio Pu­ster­la.
Hindermann, poeta coltissimo e appartato quanto pochi, nacque in provincia di Biella nel 1921 da padre svizzero-tedesco e madre piemontese, passò la sua prima infanzia a Torino e si trasferì poi a Basilea. Qui e a Zurigo studiò romanistica e letteratura comparata, intraprendendo la carriera giornalistica. Dal 1950 divenne lettore all'università di Oxford e, conseguito il dottorato, ricoprì la carica di professore di filologia romanza all'università di Erlangen. Tornato in Svizzera, si dedicò all’attività di traduttore e di direttore editoriale per la casa editrice Manesse. Morì ad Aarau nel 2012. La sua produzione letteraria iniziò nel 1941 con la pubblicazione di poesie in tedesco, ma dal 1978 proseguì servendosi principalmente della nostra lingua.

Wednesday, 04 April 2018 00:00

Dalla “Casa” incantata, attraverso il tempo

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 ... proietta ricordi sfiniti di vecchi bambini
                                                                                        
(F. Guccini, Acque)

 



La casa dei bambini
, di Michele Cocchi, è uno stupefacente romanzo che racchiude al suo interno tre veri e propri romanzi diversi legati fra di loro dal tempo e dal ricordo. La “Casa dei bambini” che dà il titolo al libro è un orfanotrofio al quale vengono affidati i piccoli rimasti senza genitori. Siamo infatti in un periodo non definito che prelude ad una guerra, in cui un regime dittatoriale sta combattendo duramente contro i ribelli. La “Casa” è un universo a sé stante, quasi una specie di “montagna incantata” separata dal mondo esterno, del quale i bambini non conoscono nulla.

Wednesday, 28 March 2018 00:00

Quando i figli presentano il conto

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Nel buio della notte rotto soltanto da qualche lampione dalla luce fioca e traballante, nel desolato parcheggio di palazzoni di periferia di una città emiliana che si ostina per pudore e per miopia a non prendere atto di come le fondamenta su cui si crede e si racconta costruita siano in realtà  sempre meno stabili, si incrociano le tragedie di due uomini di mezz'età che non hanno più notizie dei rispettivi figli.
I due, seppur in epoche diverse, sono approdati in questa cittadina del Nord con la speranza di aver finalmente raggiunto un luogo ove, pur a costo di tanti sacrifici, il lavoro avrebbe potuto garantire loro se non la felicità almeno la tranquillità economica. È nella periferia di questa città che vengono a contatto le vite di Pasquale, un migrante “interno” giunto dal Sud, che ha vissuto la fabbrica a testa alta dandosi da fare nel sindacato, e Mustafà, arrivato più recentemente dal Marocco, che ha dedicato l’esistenza alla sua piccola attività di ristorazione. Due migranti considerabili “integrati” da una comunità locale storicamente tendente a fare del lavoro l’unico orizzonte di vita tanto da rendere non di rado difficilmente distinguibili gli immaginari operai da quelli dei piccoli imprenditori, spesso provenienti dalle fila dei primi.

Gabriella Caramore ci introduce, con sapienza e rigore, alla poesia di Endre Ady situandola storicamente e socialmente nel cuore dell’Ungheria di inizio ‘900, Paese dilaniato e sottomesso, in perpetua lotta contro gli oppressori austriaci e lacerato da contrasti interni.
L’accurata ricostruzione biografica effettuata dalla curatrice (che insieme a Vera Gheno si è occupata anche della traduzione dei testi) viene accompagnata da un commento che ne ricollega gli snodi fondamentali ai nuclei più rilevanti della produzione poetica, a partire dalle origini familiari, e poi attraverso gli studi, i viaggi, gli amori, la malattia: soprattutto esplorando evoluzioni e involuzioni del credo ideologico e spirituale dell’autore.

Tuesday, 13 March 2018 00:00

L'ascesa del nazismo nei racconti di Isherwood

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I sei racconti che compongono Addio a Berlino di Christopher Isherwood (1904-1986) sono stati scritti tra il 1930 e il 1933, e pubblicati per la prima volta in un unico volume nel 1939. Lo scrittore inglese dopo la laurea a Cambridge si era trasferito per alcuni anni nella capitale dell’allora Repubblica di Weimar, un po’ per sfuggire alla plumbea e intransigente atmosfera britannica, un po’ per approfondire le sue conoscenze linguistiche, e più probabilmente perché attratto dalla fama di anticonformismo e libertà sessuale della città tedesca. Dagli anni del liceo, Isherwood aveva stretto una relazione con il poeta Wystan Hugh Auden, con cui condivise poi un intenso legame affettivo e intellettuale, viaggi e collaborazioni editoriali, e il definitivo trasferimento in America nel 1939.

L’originalità di questo piccolo volume appena riedito da Abscondita è costituita dal fatto che il più grande poeta francese della seconda metà del ’900, Yves Bonnefoy, rilegge qui un eccezionale protagonista dell’arte americana del secolo scorso, Edward Hopper.
Lo rilegge e ce lo presenta come solo può fare un poeta: poeticamente.

Di Raymond Carver ("il Čechov americano", secondo una definizione del Guardian di Londra) abbiamo letto, con commozione e stupore, i racconti agili, veloci, ironici e assolutamente privi di retorica, associandoli istintivamente al suo essere un cittadino statunitense nato nel ‘38, vissuto con rabbia e disperazione tra alcol, droga, drammi familiari e povertà nella temperie culturale e artistica che ha contraddistinto l'America del dopoguerra. La sua voce ci è sembrata però distinguersi per una mai del tutto rinnegata, e quasi pudica, ingenuità e tenerezza: soprattutto quando descriveva la morte di un bambino, lo spaesamento adolescenziale, la sofferenza del tradimento, l'abbrutimento delle dipendenze, l'immersione nella natura ‒ con i suoi boschi, i fiumi, il rito disintossicante della pesca.

Tuesday, 27 February 2018 00:00

Il Dio “non Dio” di Gilberto Squizzato

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Introdotto dalle empatiche prefazioni di Christian Raimo e Andrea Ponso (due tra i nostri più impegnati intellettuali quarantenni, credenti “non allineati” e critici nei riguardi di alcune derive del cattolicesimo contemporaneo), il volume di Gilberto Squizzato Il Dio che non è “Dio” è uscito nel 2014 per le edizioni veronesi Gabrielli, che qualche settimana fa hanno pubblicato un nuovo lavoro dello stesso autore, ancora di tema religioso: Se il cielo adesso è vuoto.

Saturday, 17 February 2018 00:00

I malesseri congeniti della Mitteleuropa

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Qui sul Pickwick sono oramai abituato, e spero di avervi abituato, a seguire un percorso altalenante: o le città, se volete gli spazi, della narrativa americana o il cuore della Mitteleuropa. Lo stanco incedere della provincia, vite semplici, campi di mais, binari rugginosi da una parte, il cupo avanzare della tragedia, o se va bene della solitudine, dall’altra. Così torno al vecchio mondo, ma non chiedetemi dove ci stiamo per collocare. Anche perché, Agota Kristof lascia solo intendere e presagire. Limitandosi a una lettera: “K”. Che più mitteleuropea non si può. Stavolta non è l’inizio di un cognome ma di una città. Ungherese? Può essere. Ceca? Può essere. Tedesca orientale? Può essere. Non è necessaria una mappa del continente, tanto non la troverete mai. O la troverete ovunque.

Far rivivere Giacomo Leopardi a Trieste? C’è riuscito Virgilio Giotti (1885-1957), poeta di “sommessa, ritrosa e assoluta grandezza”, secondo Claudio Magris; “vittima silenziosa, non mai arreso, non mai piegato”, secondo Pier Paolo Pasolini.
In un prezioso e attento volume, quasi devotamente ammirato nei riguardi della voce pacata, sobria, ma consapevole dei propri mezzi di questo schivo e trascurato autore, Anna De Simone ci accompagna alla riscoperta di una città raccontata in dialetto, con uno stile che sembra cullarsi nell’eco dei canti leopardiani. Lo fa commentando temi e toni dei versi di Giotti, e confrontandoli con i temi e i toni dell’illustre recanatese: non imitato, ma assimilato nel profondo e fatto proprio, forse perché (come scrisse Biagio Marin) lo sentiva a lui “consustanziale”.

Friday, 02 February 2018 00:00

Una testimonianza mistica e sofferta della Shoah

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L’editore Einaudi pubblicò nel 1971, riproponendole poi nel 2006, le Poesie di Nelly Sachs (1891-1970), nata a Berlino da una famiglia ebrea colta e benestante, che la crebbe con austera severità, educandola all’arte e alla musica, e proteggendola amorevolmente dalle intemperie storiche e da ogni frequentazione sociale che potesse turbarne la sensibilità e la salute cagionevole.

Wednesday, 31 January 2018 00:00

Il sublime modernista in Eliot, Joyce e Woolf

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C’è ancora spazio per il sublime nella letteratura del modernismo? Questo è l’interrogativo che si poneva Ezra Pound nel 1920 e che si pone ai nostri giorni la studiosa Elena Munafò nel suo recente saggio Il sublime e il modernismo. Eliot, Joyce, Woolf, (Carocci editore, 2017). A differenza di Pound che ne decreta la morte, la ricercatrice in Letterature comparate presso la Sapienza di Roma ne individua la presenza in altri autori a lui contemporanei − T.S. Eliot, James Joyce e Virginia Woolf − in una forma nuova che definisce “sublime modernista”.

il Pickwick

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