Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
Che giornata infernale! Un caldo bestiale, pressoché nessuno in giro. Dovunque andasse gli dicevano: è in ferie, ripassi dopo Ferragosto. In ferie sarebbe andato volentieri anche lui se la solitudine non lo avesse attanagliato talmente forte da impedirgli anche solo di immaginare un singolo giorno senza quel lavoro assurdo e sterile che si era tenuto stretto con la cocciutaggine di una piovra.
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Un fulmine
Grigio teso ed elettrico silenzio,
fragore interno di un urlo in sospeso.
L’attimo prima o dopo si fa caso,
un occhio è sgranato, l’altro chiuso.
Oggi è il giorno più bello della vita di mia sorella.
Sono stato io a presentarle Mark, quando era appena arrivato dalla Scozia. Gli scambi Erasmus sono una benedizione sia per chi partecipa sia per chi conosce qualcuno che partecipa. A noi è capitato così, per lo meno. L’avevo conosciuto una sera in pieno centro storico, durante un evento organizzato da un’associazione studentesca che si impegna ogni anno a favorire l’integrazione di chi arriva con la comunità locale degli studenti. Era un aperitandem, cioè un contesto in cui nessuno poteva parlare nella propria lingua con gli altri clienti del locale e beveva un drink dopo l’altro.
Di prima mattina, un cadavere spiaccicato sul manto stradale.
Una carcassa.
Le macchine in arrivo continuavano a passarci sopra, il vento e l’impatto agitavano le piume.
Dal sottotetto l’inquilina della mansarda si chiedeva se quel piccione ridotto a una sottiletta fosse uno dei suoi, che nutriva con tanta cura.
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Tu sei e non era dovuto,
non abbiamo motivo di credere
a una disposizione di stelle
che ci giustifichi, ci nobiliti.
La riunione sarà impegnativa. Ma poi... perché chiamarla riunione? Quando si tratta di un semplice incontro di tre amici che un sabato pomeriggio, di primavera, desiderano semplicemente ritrovarsi in un piano bar nel centro di Milano per scambiarsi opinioni su come vanno le cose nel mondo. Il tutto reso brioso e altresì fantasioso da bicchieri di buon vino che ci viene portato a tavola dal cameriere del quale, col tempo, siamo diventati amici.
Di lui conservava ancora una conchiglia che le aveva raccolto e donato presso Cramond Island. Era una conchiglia molto bella, malinconica come quel luogo e assai diversa da quelle che si potevano trovare sulle spiagge del loro Paese.
Era considerata la nuova mecca della felicità, ci andavano a vivere sempre più persone, italiani compresi, residenti da tempo a Lisbona, stufi e frustrati dalla capitale lusitana, diventata impossibile negli ultimi anni per chi non guadagnava abbastanza a causa dei continui rincari degli affitti, oramai eccessivi e folli.
Porta il tuo dolore al di là del fiume
Un doloroso momento
e il suo volto sorge dal vuoto.
Proprio la casa ora è il fronte dove una resistenza è impossibile
Si può solo attaccarsi l’un l’altro con un filo di refe.
I
Rumori lontani nel bosco,
fruscio di foglie a terra
e rami calpestati.
Intorno nebbia, mentre tenace
il sole non si arrende.
- Ricordando Lucio Battisti
- poesie
- Lucio Battisti
- Le luci dell'est
- I giardini di marzo
- La collina dei ciliegi
- Io vorrei non vorrei ma se vuoi
- La compagnia
- musica italiana
- cantautorato
- Rime e varianti per i miei musicanti
- poesia contemporanea
- Marco Saya Editore
- poesia
- La Fucina delle Scritture
- Alida Airaghi
- Il Pickwick
Sono stato preso in giro alle medie
Strattonato nell’imbarazzo di
Insegnanti esauriti troppo distratti
E compagni esaltati dalla vergogna
Al sesto squillo del campanello ci affacciammo alla finestra del salotto, dal terzo piano vedevamo con facilità chi fosse in strada davanti al portone del palazzo, centottanta secondi dopo era in casa nostra a fumarne una, la rullò in tempi record, “fa troppo ridere come le chiamano qui, galinhas, vi rendete conto? Galinhas!”, e a raccontarci che non era andato a Milano da suoi genitori perché non ne aveva avuto voglia, non era in buoni rapporti con loro. Questa era una parte di verità, l’altra è che si ritrovava sempre a corto di denaro, il suo stipendio, poco meno di mille euro mensili che percepiva come i suoi colleghi italiani assunti in uno dei tanti call center presenti in città, lo sperperava in divertimenti e vizi vari e l’acquisto di un biglietto low cost andata e ritorno non rientrava tra le sue priorità.
Immaginate questo. Io e i mei amici che abbiamo frequentato scuole pubbliche non ci siamo mai tolti dalla testa che a quei ragazzini costretti dai genitori a relegarsi in istituti scolastici privati fosse stata sottratta la capacità di esprimere liberamente sé stessi. Ed è andata così fino alla maturità. Poi ognuno di noi ha preso la sua strada. Da parte mia, in piena coerenza con l’orizzonte al quale non ho mai cessato di orientare il mio pensiero, ho rinunciato ad accedere all’università.