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Tuesday, 21 January 2014 00:00

Di mamma per fortuna ce n'è una sola

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"Chi è amato dalla propria madre è un 'conquistador'"
Sigmund Freud

 

"Non ci sono madri snaturate perché l'amore materno non ha niente di naturale"
Simone de Beauvoir

 

Due grandi verità, se le uniamo ci dicono che l'ambivalenza della natura contempla la luce e le tenebre, il bene e il male, entrambi ne sono i figli prediletti, tra loro non fa distinzioni ed è 'naturale' che questa ambiguità si ripercuota sulla donna che attraverso la sua capacità riproduttiva ne diventa il tramite, il corpo, mediante il quale la natura garantisce la sua sopravvivenza. Questo non vuol dire che il prevalere dell'uno o dell'altro aspetto non comporti conseguenze.

Quando in una madre prevale l'amore, colui che lo riceverà sarà un 'conquistador'. Ma il percorso dell'amore materno è da sempre minato dalla natura, forse da Dio, e di sicuro da una modernità materialistica e ingannatrice che spinge fuori strada alla minima distrazione. Basta un niente e un intento può trasformarsi nel suo esatto contrario, perché il fine può essere troppo faticoso e allora diventa più comodo sottrarsi a sé ripiegando su di una simulazione. Un surrogato. Bambino mio volevi il mio amore? Bene, in verità adesso sono troppo occupata per dartelo, però posso comprarti tutto quello che la pubblicità mi assicura e rassicura ti renderà felice, poi, ora che sei piccolo potrai accontentarti di tanta bella televisione, ma aspetta di crescere un po' che un mondo di meraviglie fatto di videogiochi, social network, telefonate gratis su tutti i cellulari e internet illimitato, si aprirà a te e della tua mamma non ne sentirai mai il bisogno perché anche tu non avrai tempo, un piccolo prezzo in cambio del bendidìo che ci offrono. Già lo vedo, il tuo account, che col nome meraviglioso che abbiamo scelto per te non potrà che essere una calamita che colleziona 'mi piace'.
Questo, in una prospettiva galoppante che si sforza a star dietro ad una realtà in continuo rilancio, è il tema sotterraneo di Mamma. Piccole tragedie minimali, l'opera in cui Annibale Ruccello, già negli Ottanta, aveva messo perfettamente a fuoco le inevitabili influenze e ripercussioni che la presa rapace dei mass media, e della televisione in particolare, cominciava a causare sulla realtà nella sua interezza. Un inarrestabile processo di abilissima manipolazione alla quale non ha saputo e potuto sottrarsi nemmeno la letteratura, dalla quale, in quanto sua nemesi, ci si sarebbe aspettati forse un affilare le armi per un corpo a corpo finale tra il cigno nero e quello bianco. Ma il cigno bianco, vista la 'mala parata' ha deposto le armi per suggerire un sodalizio. È un po' quello che sta accadendo, crisi o non crisi della cultura e della letteratura, "Per gli scrittori più giovani, la tv fa parte della realtà tanto quanto le Toyota o gli ingorghi. Non possiamo letteralmente immaginare una vita senza televisione" (David Foster Wallace). Quindi, come avremmo mai potuto pensare e sperare che ad affrontare e vincere la sua personale battaglia contro la corruzione dei costumi e la sostituzione dei numi familiari fosse l'angelo del focolare, la madre? Ora non è che mi voglia mettere a fare della catechesi, però, insomma, non si può ignorare il fatto che, dai tempi del paradiso terrestre, quando si tratta di farsi indurre in tentazione, l'angelo in questione sgomita e spintona, come fosse il primo giorno di saldi da Harrods, per stare in cima alla fila. Inoltre, c'è da dire che col tempo anche il tentatore si è fatto più scaltro e le poverine, ancora prima di completare l'atto del generare, se lo ritrovano dappertutto, trasmissioni televisive, pubblicità, corsi pre-parto sponsorizzati, e perfino da Chicco.
Antonella Morea ha portato in questi giorni sul palcoscenico della Sala Assoli l'opera del grande autore contemporaneo scomparso prematuramente, dove le sue madri, sempre interpretate da un sensazionale e metamorfico Rino Di Martino, si raccontano come in una filastrocca partorita da un Poe partenopeo in una delle notti allo stesso tempo più fulgide e scure della sua anima. Il racconto favolistico si accende come un bengala trascinando il pubblico in un'ilarità contagiosa e incontenibile per poi spegnersi all'improvviso lasciando che una tinta nero sacchetto della 'munnezza' scenda a smorzare il riso in un'altalena di emozioni. Già, perché il secondo prepotente aspetto di questo spettacolo è l'ironia, ingrediente sapientemente utilizzato da Ruccello nelle sue opere e che il connubio alchemico Morea/Di Martino ha saputo esaltare con una rappresentazione che sprigiona vapori di gas "esilarante".
Le fiabe che hanno accompagnato la nostra infanzia vengono raccontate da uno specchio delle mie brame che fornisce la sua personale versione dei fatti, e Cenerentola, la regina cattiva, Barbablù e il del re dei topi, diventano Catirinella, Miezuculill' e Il re dei piriti e dato che gli uomini, alla lunga, finiscono per diventare simili ai nomi che portano, ecco che anche i destini e quindi le storie subiranno un generoso e inaspettato stravolgimento, con grande compiacimento dello specchio nel vedere come il suo pubblico se la rida senza ritegno proprio sui climax più drammatici. In una dissolvenza di luci, lo specchio cede il posto a Maria Esposito, madre di Salvatore e che vive nella convinzione di averlo generato per opera dello Spirito Santo dato che, a seguito di una caduta, in ospedale ha finalmente preso coscienza di essere la Madonna "Nàcqui a Nazarèth vicino a Caivàno". Così di giorno intrattiene conversazioni con le suore dell'ospedale, secondo lei le vere pazze, e con Marlon Brando, e di notte, invece, aspetta che lo Spirito Santo, o a volte Lucio Battisti, le vengano a fare visita. A seguire una madre afflitta dal suo mal di denti che reagisce in modo non troppo british alla tempistica confessione con cui la figlia, che frequenta la terza magistrale e tra un anno diventerà maestra, le apre il suo cuore confidandole di essere stata ingravidata da Sandro apprendista meccanico, figlio di idraulico e nipote di 'cartonaro'. Magari, se la creatura avesse scelto un altro giorno per le sue confessioni avrebbe anche potuto evitare di buttarsi poi dalla finestra. Tutta colpa del mal di denti.
In chiusura 'la telefonata' logorroica e interminabile tra una mamma e un'amica, dove l'abile trasformismo di Di Martino ci mostra un presente dal quale è possibile scorgere un futuro (il nostro presente) nel quale verranno raggiunte nuove e inesplorate vette di insania. La telefonata è 'inattaccabile', nonostante sullo sfondo si percepisca una masnada di figli, a turno evocati e che rispondono ai nomi di Luis Antonio; Mariana; Andrea Celeste; Deborah con la H e possibilmente pronunciata infierendo sulla B; Morgan; Ursula e Veruschka (Dio solo sa come è stato scritto quando l'hanno dichiarata), intenti in atti di autodistruzione a cui le mamme, immerse nel loro traffico telefonico, rivolgono minacce da far venire un colpo apoplettico a tata Lucia di SOS Tata. Solo il terremoto potrà dove i figli hanno fallito, e la telefonata si interromperà, ma giusto per il breve intervallo delle scosse; riprenderanno non appena la terra smetterà di farsi venire le convulsioni: "ti richiamo appena finisce il terremoto".

 

 

 

 

 

Mamma. Piccole Tragedie Minimali
di Annibale Ruccello
regia Antonella Morea
con Rino Di Martino
aiuto regia e ideazione scene Giovanni Piscitelli
realizzazione scene Up Stage
costumi I Dominorosa
lingua italiano e napoletano
durata 1h10'
Napoli, Sala Assoli, 18 gennaio 2014
in scena dal 16 al 19 gennaio 2014

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