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Saturday, 04 January 2014 00:00

Cielo e Terra

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Il sipario si apre su un sipario dipinto. Entra la Madonna in processione, su un trono d’argento guarnito di foglie di palma. “Dio ti salvi bella signora”. L’incontro con una zingara predice il futuro, la nascita del bambino e le prove che dovranno superare per la salvezza dell’umanità. Parole antiche, dal suono semplice, rime baciate, pose statiche. Una lingua antica e fiorita.

Si spengono le luci e partono le percussioni. L’inferno è rosso di rocce dipinte sulle sagome di cartone ritagliato. Fumo. I diavoli danzano nei loro splendidi costumi. “Cieli oscuratevi, Stelle eclissatevi”. Plutone è fatale e quasi mirabile nel suo costume nero e argento, dalle ali fiammeggianti di lingue colorate e lucenti come fiamme. I corpi dei demoni sembrano un prolungamento delle sue ali.
Per la scena con i pastori il fondale è dipinto di mondi lontani e mentre Aurora dita rosate cede il passo al chiarore pieno del giorno, Benino, il pastorello, dorme il suo eterno sogno che condivide con il padre: “Ma questi sono sogni o son misteri?”. Sono maschere teatrali i pastori. Stereotipati abiti e frasi. Ma così dev’essere.
L’ombra di Razzullo/Peppe Barra compare sul fondale scuro. Marsina e tricorno. Polsini di pizzo bianco, scarpe con la fibbia. “I’ song’ de Palepoli, ca mo’ se chiamma Napule”. Grazia e levità da pastore del ‘700, come il Cacciatore e il Pescatore del resto.
Sarchiapone arriva in scena e sembra il Pazzariello, con un ombrello a frange di mille colori che sembra il riverbero, in chiave comica, degli ombrelli di Victoria Chaplin. Pantaloni a righe bianche e nere e sopra una improbabile marsina chiara a quadroni. “Nui simm’ sett’ frat’ e i’ song’ o’ cchiu’ bellill’”... e scatta la risata della platea... e replica Razzullo: “Sient’, ma tu, a quala categoria 'e quadrupede appartiene?!”.
Cielo e Terra si scontrano attorno alla nascita dell’infante divino. I toni e i colori sono netti. Di qui il bene, di là il male. Netti i protagonisti della vicenda, della sacra rappresentazione. Netti e definiti come i pastori del presepe, in cui colori e pose sono fissati da secoli di rappresentazioni. I gesti sono fissi, rituali, quasi da maschera, da marionetta, da statuina di terracotta. L’angelo è avvolto nel fumo di una luce irreale. Il demone Asmodeo è circonfuso del fumo d’inferno. L’angelo tuona dalla sua nuvola di luce.
Infine la varia umanità che popola la terra, così infarcita di peccato e salvezza, furbizia e generosità, avarizia e solidarietà. Colori e pose sono variati come le giacche di Sarchiapone e i balletti di Razzullo.
Il classico della tradizione colta napoletana rivive nelle sonorità contemporanee, che si scatenano nelle danze indiavolate delle creature di Lucifero.
Siamo a teatro e non c’è nessuna volontà di mimesi naturalistica. Il teatro proclama se stesso e viene celebrato in ogni piega. Un teatro antico, che sa di fondali di cartone, di ali di stagnola. La barca e le onde sono sagome di legno in movimento. I fondali dipinti hanno la delicatezza dell’acquarello e si modificano grazie a sapienti giochi di luci.
Un teatro che richiama la sua più antica funzione religiosa. Teatro cristiano che si abbevera alle fonti dell’antichità, trasfigurandola nel nuovo linguaggio. Un teatro che affonda le sue radici nel Medioevo, nel mondo delle sacre rappresentazioni. Tale La Cantata dei Pastori. Ardita operazione culturale, filologica e raffinata e al tempo stesso viva di comicità vera e di musica che contamina sonorità antiche e moderne, capaci di parlare anche all’orecchio non educato dello spettatore contemporaneo. Il collante miracoloso che tiene insieme Cielo e Terra, umano e divino, sacro e profano, serio e faceto è l’inarrestabile comicità e la potenete presenza scenica di Razzullo e Sarchiapone. Il gioco di parole che stimola la risata di pancia senza che diventi basso-ventrale. La lingua fiorita che gioca su se stessa e con se stessa. le sonorità del dialetto antico, che invano cercheremmo nella parlata “stretta” contemporanea. “'E gguardie t’anna guardà... Si nun te guardano 'e gguardie...”... ”'O sparaie 'nfaccia, mmiez’ 'a fisionomia...”. Mille gli esempi e solo la visione diretta ne potrebbe rendere tutto il gusto. Uno per tutti il battibecco sul censimento, nel quale pretenderebbe di essere impiegato Razzullo: “Vaco add’o 'e viv’ e dimando chi v’è muort’?”. Ecco, la comicità degli intermezzi di Razzullo e Sarchiapone, quasi come gli intermezzi dell’opera buffa, o magari, per cercare di restituire qualcosa del piacere fisico che dona una sana risata, sono come un dolce elaborato e al tempo stesso semplice che arricchisce di gusto un pranzo già ricco e complesso. Una meringa lieve e miracolosa. Un’apoteosi di bianco d’uovo e zucchero, di semplicità e costruzione scientemente e magistralmente cercata e compiuta.

 

 

 

La Cantata dei Pastori
di
Peppe Barra e Paolo Memoli
libero adattamento dall’opera di Andrea Perrucci
regia Peppe Barra
musiche Roberto De Simone, Lino Cannavacciuolo, Paolo Del Vecchio, Luca Urciuolo, Max Sacchi
con Maria Letizia Gorga, Francesca Marini, Gino Monteleone, Giacinto Palmarini, Peppe Barra, Patrizio Trampetti, Sandro Tumolillo, Teresa Del Vecchio, Andrea Carotenuto, Ciro Di Matteo, Marianna Iacopino, Anna Mangani, Imma Pedaci, Annalisa Pistone, Cristina Rinaldi, Imma Tammaro, Amanda Trulio, Mariapia Verona, Teresa De Rosa
orchestra Luca Urciuolo (direttore d’orchestra), Paolo Del Vecchio (chitarra/mandolino), Agostino Oliviero (mandolino/violino), Giorgio Mellone (violoncello/chitarra), Massimiliano Sacchi (clarinetti), Luigi Pelosi (contrabbasso), Salvatore Pelosi (basso acustico), Ivan Lacagnina (percussioni), Luca Urciuolo (tastiere)
scene Emanuele Luzzati
costumi Annalisa Giacci
coreografie Erminia Sticchi
disegno luci Gianluca Sacco
direttore tecnico Luciano Quagliozzi
direttore di scena Elio Romano
capo macchinista Fabio Barra
1° macchinista Nicola Grimaudo
2° macchinista Giuliano Barra
fonico Daniele Chessa
microfonista Gaetano Cirillo
datore luci Gianluca Sacco
sarte Adele Romano, Evelin Cacace
fonica e luci Megaride s.a.s. di Salvatore Caccia
lingua italiano e napoletano
durata 2h 30’
Napoli, Teatro Trianon, 30 dicembre 2013
in scena dal 25 dicembre 2013 al 6 gennaio 2014

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