“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 30 December 2013 00:00

A Scrooge!

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Luci natalizie pendono dal soffitto. Anche due bambolotti pendono dal soffitto, come impiccati. Al centro della scena un grosso bancone, o forse un letto a baldacchino. Scopriremo poi che si tratta di un geniale elemento scenico polifunzionale: una cassa di legno provvista di botole e colonnine laterali che funge da catafalco, banco di lavoro, letto. A sinistra si vede una sorta di albero di Natale minimale, fatti di lucine blu. Speculare, sul lato destro della scena, un altro alberello, altrettanto minimale, fatto di lucine bianche. Una serie di sedie sul fondo completano la scena, prima che l’azione cominci.

“Marley era morto, tanto per cominciare”. Si trattava dunque di un catafalco, con tanto di cadavere in scena. Il narratore è alto e allampanato, pantaloni grigi di taglio classico, White Christmas di sottofondo. “Dev’essere ben chiaro a tutti che Marley era morto”. Il narratore si toglie il maglione rosso, indossa una cravatta nera e una giacca scura. Il catafalco nel frattempo si trasforma in una scrivania. Da una botola spuntano due boccali, fogli di carta, la penna, il timbro, il tampone dell’inchiostro e un piccolo impiegato con i capelli folti e neri e una camicia color cachi.
Le sedie sul fondo sono occupate da cinque figure, sedute al buio e in silenzio.
Il narratore descrive Ebenezer Scrooge e la sua arida vita, intanto l’impiegato, il signor Cratchit, continua a lavorare, a testa bassa, muto e febbrile. Un uomo abituato a schiacciare gli altri Scrooge, metaforicamente, come viene materialmente mostrato in scena quando firma un documento sulla schiena dell’impiegato, piegato in due come un’asse, come un tavolo. Nulla sembra allietare l’amarezza di Scooge, nemmeno l’arrivo del nipote, povero e ridanciano, esultante per la vita e imbevuto di spirito natalizio. La sua risata insopportabile non addolcisce la piega amara della bocca, non ammorbidisce il suo tono burbero e arcigno, a tratti marcatamente partenopeo. Eppure quest’uomo duro e autosufficiente sembra arretrare spaventato davanti alla risata del nipote. Finalmente va via e anche l’impiegato, mentre gli attrezzi da scrittura sono ritornati nella botola, per cedere il posto ad una torcia elettrica. Fischia il vento. È buio. Una massa di straccioni cerca di vendergli qualcosa, calzini, rose, repertorio da strade napoletane in qualsiasi periodo dell’anno. Ancora White Christmas. Finalmente l’incontro che dà la svolta all’azione. “Chi sei?” domanda spaventato Scrooge alla misteriosa figura che turba il suo cammino. “Chiedimi piuttosto chi ero” risponde una voce profonda e spettrale mentre guardiamo in scena il fantasma di Marley, un po’ grottesco a dire il vero, prigioniero del suo rimorso, che gli pende materialmente dal collo nella forma di una catena di metallo, che tuttavia, associata agli occhiali da sole a goccia, gli conferisce piuttosto l’aspetto di un metallaro. Ancora più grottesco Scrooge, che cerca di negare a se stesso la visione dello spettro, attribuendola al purè di patate liofilizzate. Il catafalco intanto si trasforma nel letto a baldacchino, con tanto di cortine laterali, ove il vecchio sarà visitato dagli spettri dei natali passato, presente e futuro.
Il primo spirito (la stessa attrice che sostiene il ruolo di Cratchit) arriva come un’ombra leggera e briosa, danzante, che guida con il semplice movimento delle dita il corpo del vecchio Scrooge, come in balìa di un sortilegio. Apre una alla volta le botole e noi vediamo, o meglio, vediamo attraverso le parole di Scrooge e dello spettro, il suo luogo di nascita, l’infanzia solitaria, il primo amore, abbandonato per l’amore che ormai dominava la sua vita, quello per il guadagno. “Hai troppa paura del mondo” lo rimproverava la ragazza. Ma quel tempo è ormai lontano, quella ragazza si è sposata, ha avuto dei figli, il suo ricordo, materializzato in un abito blu che Scrooge cincischia tra le mani, stringe, lo soffoca quasi come una corda. Lo lancia via, straziato dal ricordo: “Maledetto spirito, ti piace torturarmi!”.
Lo spirito del Natale presente è corpulento e gioviale. Il palco è bordato di luci colorate intermittenti. Lo spirito potrebbe lavorare sulla dizione, un po’ stucchevole, ma l’ariosità saltellante dei suoi movimenti comunica leggerezza alla scena buonista del Natale in casa Cratchit, povero ma felice e generoso, tanto da dedicare un brindisi a Scrooge, nonostante tutto, così come a Scrooge, nonostante tutto, rivolge un pensiero affettuoso e divertito il ridanciano nipote e la sua allegra combriccola.
Infine lo spirito del Natale futuro o futuribile. Come già nel caso di Marley lo spirito, dalle dita meravigliosamente adunche e lo sguardo ceruleo e sinistro (anche se vagamente richiamante l'Igor di Frankenstein Junior...), è muto, mentre le sue parole sono affidate ad una voce che sussurra grave.
La storia sappiamo come va a finire. Lo scenario futuribile è troppo tristo e anche il vecchio avaro, non troppo in fondo, sembra avere buon cuore. E allora anche noi, piacevolmente intrattenuti, brindiamo a Scrooge!

 

 

 

 

La notte di Scrooge
liberamente tratto da A Christmas Carol
di Charles Dickens
regia Marco Mario de Notaris
con Francesca De Nicolais, Anna Rita Ferraro, Giuseppe Fiscariello, Gabriele Gigante, Nicola Narciso, Danilo Piscopo
con l’aiuto di Francesca Amitrano, Livio Montanaro, Davide Mastropaolo
lingua italiano
durata: 45’
Napoli, Sala Assoli, 27 dicembre 2013
in scena dal 26 al 29 dicembre 2013

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