“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 18 December 2013 00:00

Tra donne sole

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Una scrivania con libri sulla sinistra, davanti a un letto con baldacchino di assi di ferro e teli di plastica. Al centro un tavolino a fungere da desco improvvisato. A destra un letto a castello assemblato alla meno peggio, e dietro un lavabo e un attaccapanni. Sullo sfondo fogli di plastica trasparente a separare il luogo da un “fuori” in cui si riverberano, ogni tanto, i riflessi dei fari di chi sosta all’imbocco del tunnel senza però addentrarvisi. La scena è completata da cavi di acciaio a forma di arco che suggeriscono una realistica costruzione dell’ambiente. Irrompono tre figure e si è subito introdotti nel “dramma” che nasce dalle loro storie.

Tre donne diverse per estrazione sociale, età, aspettative, ma assimilate dalla comune scelta di fuggire dal mondo e rintanarsi nel luogo eponimo. Franca è la borghese fuggita dal marito che la opprime, che la rèlega in casa costringendola al ruolo passivo di moglie devota e madre attenta del loro bambino: ma è tanta la disperazione da non impedirle di abbandonare persino suo figlio. Rosalia invece è stata abbandonata dal suo uomo e la delusione la rende furiosa, rabbiosa, isterica, aggressiva. Quando è apparentemente calma scrive le sue memorie di ragazza spensierata, felice di vivere in quartieri pieni di luce, mentre adesso anela solo al buio, anzi all’invisibilità. La professoressa è una donna matura intenta a correggere pacchi di compiti dei suoi alunni ed si mostra come la più riflessiva delle tre, dotata di quella saggezza che solo i vecchi maestri sembrano possedere. Suo unico rimorso, non essere riuscita a capire suo figlio Piero, cosa lo abbia spinto al suicidio a soli ventotto anni. Unico contatto con l’esterno, una radiolina da cui si apprende che le tre donne sono scomparse da alcuni giorni senza lasciare tracce.
I personaggi si dividono i compiti: a turno escono a recuperare l’occorrente per vivere e arredare il loro rifugio, preparano da mangiare o riassettano l’ambiente. Tendendo sempre l’orecchio per timore di essere scoperte. Ma la loro esistenza è scossa dall’inatteso arrivo di Milena, giovane estranea che sembra capitata lì per caso. E se non fosse così? Se fosse una persona mandata dall’esterno, dalle autorità, a stanare le fuggitive. Forse una “spia” inviata dal marito di Franca? In fondo il mondo di fuori non è bello come sembra, e Milena pare quasi convincersi di non rivelare agli altri la sorte delle altre tre.
Sembra quasi un omaggio al teatro dell’assurdo questa prima prova di scrittura teatrale di Franco Festa, apprezzato autore di romanzi e racconti polizieschi e di costume (celebre la serie del commissario Melillo in cinque romanzi, tutti editi dalla Mephite, oltre ai racconti incentrati sul più giovane commissario Matarazzo), che qui si cimenta con un atto unico senza protagonisti maschili. E del resto la storia può ben dirsi storia di donne anche se si presta a più interpretazioni metaforiche. Sicuramente una di queste riguarda la condizione delle donne (oltre che più generalmente umana). Sono ritratti realistici che ben riassumono una situazione di disagio e sottomissione, di discriminazione, descrizione di esseri che subiscono fino a non poterne più, fino a cercare uno spazio di vita autonomo, lontano da condizionamenti e compromessi, in un esilio volontario. Del resto cos’altro sono la rabbia di Rosalia, l’apprensione di Franca, la rassegnata ostinazione della professoressa? Dimensioni in cui può scivolare e rinchiudersi ognuno di noi – indipendentemente dalla condizione di genere – ognuno di coloro i quali non reggono agli urti della vita e non hanno i mezzi materiali e caratteriali (la furberia di chi siede nei palazzi giusti, di chi aggredisce per vocazione di classe, di chi specula sui sentimenti e le ricchezze altrui) per sentirsi vincenti.
Nel dramma i rimandi al mondo di fuori, alla realtà contemporanea, anche locale (il tunnel è l’ultima vergogna di una città che ha “subìto” la ricostruzione quasi più del terremoto) costruiscono una cornice realistica che contribuisce ad introdurre un elemento narrativo e affabulatorio che esula dalla stretta metafora. Ci si appassiona ai dilemmi delle protagoniste e ai drammi da cui fuggono, così come alle quotidiane complicazioni per organizzare la sopravvivenza, e mal si comprende, in fine, il motivo per cui non siano ancora state scoperte (il motivo c’è, ma rimane nel gioco metaforico). Anche l’accenno alla presenza di una barbona, poco fuori del loro rifugio, sembra un elemento narrativo realistico e non allusivo al triste destino di escluse dal consesso sociale.
La regia di Federico Frasca si conferma essenziale e funzionale al testo, per una messa in scena concreta rispettosa. Le musiche si limitano alla ripresa di Un giorno dopo l’altro di Luigi Tenco, cantata in scena da Rosalia e suonata alla chitarra dalla professoressa, chiaro segno dell’impossibilità di una svolta, di una risoluzione in positivo delle nostre esistenze. In generale una prova che le produzioni originali sono ancora possibili nei teatri estranei al grosso circuito commerciale, in cui il lavoro dei tecnici e degli attori (in questo caso attrici, tutte degne di nota) sopperisce alla mancanza di grandi budget.

 

 

 

 

Tunnel
di Franco Festa
regia Federico Frasca
con Ilia Caso, Roberta Gesuè, Maria Irpino, Fiorella Zullo
scene Antonio Ippolito
luci Giovanni Di Nardo
sarta di scena Caterina Vitale
foto di scena Costantino Mauro
produzione Co.C.I.S./Teatro 99 Posti
durata 70’
Mercogliano (Av), Teatro 99 Posti, 14 dicembre 2013
in scena 14 e 15 dicembre 2013

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