“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 14 December 2013 00:00

Aida: come immaginare il vero

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"Copiare il vero può essere una buona cosa, ma immaginare il vero è meglio, molto meglio". Giuseppe Verdi.
Questa frase inchiostrata di rosso sangue e passione è proiettata nel buio della sala sul sipario chiuso. Mentre esso si apre, la scritta si fonde in un punto luce che si ingrandirà, proiettato su un disco sospeso per tutta la prima parte composta dal I e II atto. È un sole rosso che gira velocemente su se stesso. Sulla scena ci sono anche quattro colonne sospese poste diagonalmente a mezz'aria, che spesso si muoveranno accompagnando i gesti salienti dell'opera. Ovunque vi sono delle funi: fungono da secondo sipario, poi da sfondo, anche trattenute dai servi possono sembrare fluide colonne dei palazzi egizi dove la storia è ambientata. Una scenografia mobile, aerea, fluttuante giocata su questi pochi elementi della scena e su un sapiente e ricco disegno luci che enfatizza i corpi, taglia il buio, colora la luce. Spesso un occhio di bue illumina i protagonisti isolando tutto il resto nell'oscurità. Sul palcoscenico figuranti di piccola ed alta statura, vestiti di stracci, si muovono spesso carponi, velocissimi ragni sempre presenti, umanità in schiavitù costretta a muoversi con la schiena piegata.

La storia musicata da Verdi su libretto di Antonio Ghislanzoni si divide in quattro atti che scandiscono la storia d'amore tra Aida (la soprano Lucrecia García) − schiava etiope di Amneris (la soprano Ekaterina Semenchuk) figlia del Faraone (il basso Carlo Cigni) − e Radamès (il tenore Jorge De Leòn), capitano delle guardie reali egizie. Siamo a Menfi, poi a Tebe, nel palazzo del Faraone. Un messaggero (il tenore Massimiliano Chiarolla) informa il Faraone e Radamès che gli Etiopi sono pronti a scatenare una nuova guerra e che la dea Iside ha già designato il capitano alla guida delle falangi egizie. Radamès vuole la vittoria per offrirla ad Aida, ma Amneris, anch'ella innamorata di Radamès, intuisce un legame tra la sua schiava ed il capitano e medita vendetta. 
Come previsto dal sommo sacerdote Ramfis (il basso Ferruccio Furlanetto), Radamès vince. Il Faraone, per ricompensarlo, nella cerimonia del trionfo, gli concederà anche la mano di sua figlia. Amneris, per avere la certezza che i suoi sospetti non siano vani, in un duetto intenso di penetrazione psicologica, fingendo di confortare Aida per la sconfitta del suo popolo ("Pure hanno un confine i mali di quaggiù"), la invita a confidarsi con lei e con l'astuzia le fa ammettere il suo amor per Radamès. Aida potrebbe competere con Amneris perché anche lei è di stirpe reale poiché è figlia di Amonasro, re degli Etiopi (il baritono Marco Vratogna), ma riesce a celare il suo segreto.
Nella seconda scena del II atto, la famosa marcia trionfale vede sulla scena tutti i personaggi della vicenda, gli Etiopi in ceppi e gli Egizi trionfanti di bianco e rosso vestiti. Alla vecchia iconografia monumentale che vedeva in questo momento sulla scena piramidi, sfingi e talvolta anche elefanti, la regia di Franco Dragone prevede la splendida coreografia di Alessandra Panzavolta con il corpo di ballo del Teatro di San Carlo e il coro, dolce e possente al tempo stesso, diretto da Salvatore Caputo. Scene acrobatiche, passi a due, ballerine dai costumi colorati. Non monumentale, ma sicuramente d'effetto. Amonasro ed Aida si ritrovano. Lui, scoperto, ammetterà di essere suo padre, ma non il re per preparare meglio la vendetta. Ramsès ottiene dal Faraone di poter esaudire i suoi desideri ed egli chiede per i prigionieri etiopi la salvezza della vita e la libertà. Contro di lui il coro dei sacerdoti assetati di sangue per volere degli dei. Amonasro canta:” Se l’amor della patria è delitto/ siam rei tutti, siam pronti a morir!”
La seconda parte, composta dal III e IV atto, vede il momento di massima tensione della storia. È notte e sulle rive del Nilo Aida ha un incontro con Radamès. Lei pensa che sia l’ultimo giacché lui dovrà sposare Amneris, ma suo padre Amonasro, sapendo dell’incontro, lo precede e chiede alla figlia un atto di patriottismo sfruttando a suo vantaggio l'amore ch'ella prova per Radamès. Le chiede di farsi rivelare il punto in cui gli Egizi hanno teso un agguato agli Etiopi. Aida è riluttante, è disperata, è combattuta tra passioni che hanno fini così diversi tra loro, ma cederà. Nell’incontro con Radamès gli propone di fuggire insieme:“ Fuggiam gli ardori inospiti/ di queste lande ignude;/ una novella patria/ al nostro amor si schiude…/ Là… tra foreste vergini,/ di fiore profumate,/ in estasi beate/ la terra scorderem”. Là, in Etiopia.
Radamès dunque rivela ad Aida il suo piano contro l’esercito nemico ed il padre di lei irrompe sulla scena. Il duetto doloroso tra i due è contrappuntato dalle parole d’amore di Aida, ma la tragedia ancora deve compiersi. Amneris, dal tempio lì vicino, ha sentito tutto. Aida ed il padre fuggono all’arrivo del sacerdote e Radamès si consegna alla giustizia che − nel quarto atto, nel palazzo del re − è incarnata in una schiera di sacerdoti che chiederanno al capitano di discolparsi per avere salva la vita. Anche Amneris lo supplicherà, ma invano.
La vita non è vita senza la sua Aida.
In un crescendo di battute tra il sacerdote Ramfis, gli altri sacerdoti ed Amneris, la condanna sarà eseguita. Radamès il traditore sarà chiuso vivo nel sotterraneo del tempio, murato vivo. Aida, tornata indietro, approfittando della distrazione delle guardie, è penetrata nel sotterraneo per morire con lui. Il duetto tra Radamès ed Aida che insieme danno l’addio alla vita è uno dei momenti musicalmente più dolci e tra i più romantici dell’opera. Il pathos tocca ogni possibile corda. Il sipario si chiude sull’ingresso dei due amanti nelle tenebre, mentre Amneris sulla tomba si dispera:  "Pace ti imploro, pace, pace, pace”.
Il pathos di questa tragedia ha fortissimi legami con le opere di Shakespeare, che Verdi amava molto, opere dove il tema dell’amore si legava con l’amor di patria che poteva trasformarsi in furore vendicativo, brama di potere e di sangue. C’è l’amore puro di Romeo e Giulietta in questa Aida, echi di Riccardo III, di Re Lear. Le voci dei protagonisti sono calde e rendono alla perfezione questo pathos sottolineato ed enfatizzato dalla musica verdiana. Peccato solo per la rigida gestualità di Aida e Radamès, ai quali, ci si rende conto, non si può chiedere anche questo. Sicuramente più “attoriale” è Ekaterina Semenchuk, Amneris.
Il mondo rovesciato proposto dalla regia di Franco Dragone e dallo scenografo Benito Leonori, dunque, offre una versione atemporale dell’Aida, lasciando la massa, l’imponenza e lo sfarzo egizio della tradizione quasi nelle ombre create ad arte da Michel Beaulieu, scavando nelle anime dei protagonisti della vicenda, riportando con un’operazione destruens l’autenticità delle passioni umane che sono, appunto, atemporali, non ascrivibili ad un'epoca o ad un luogo preciso. Anche i costumi di Giusi Giustino − composti da lunghi pepli, da veli, dove il bianco e le sue sfumature dominano − ricordavano nei triangoli e nei simboli l’Egitto, ma poteva essere qualunque terra. In questo l’operazione è stata sicuramente un successo. Se qualche dissenso ci fosse stato, la magnifica e superba musica di Verdi ha superato anche quelli. Applauditissimo il direttore Nicola Luisotti.

 

 

 

Aida 
di Giuseppe Verdi
libretto di Antonio Ghislanzoni
direttore Nicola Luisotti 
maestro del Coro Salvatore Caputo
regia Franco Dragone
con Lucrecia Garcìa, Jorge de Leon, Ekaterina Semenchuk, Marco Vratogna, Ferruccio Furlanetto, Carlo Cigni, Valeria Sepe, Massimiliano Chiarolla
produzione Teatro di San Carlo Napoli
durata 3h, con intervallo
Napoli, Teatro di San Carlo, 10 dicembre 2013
in scena fino al 17 dicembre 2013

 

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