“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 01 December 2013 01:00

Tante parole dal sapore di poco

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Formule matematiche complicate affastellate su una lavagna che sormonta la scena e una radio che gracchia cercando (e trovando) la frequenza sono i primi segnali che si offrono alla decodifica. Ai quattro angoli della scena, quattro donne incorniciano il perimetro d’una camera d’albergo spandendo in terra rossi petali di rosa; emerge dalla penombra, di spalle, l’uomo che sarà epicentro nevralgico di Some Girl(s), commediola incentrata sul tema delle dinamiche sentimentali.

E ci appare già ben chiara la plausibile decrittazione di cui sopra: imperscrutabili sono i meccanismi che sottendono alle dinamiche di coppia, estremamente complesso è estrapolarne formule universalmente valide, arduo riuscire a trovar sintonia su lunghezze d’onda compatibili.
Il nostro uomo, modesto professore ed aspirante scrittore, in procinto di convolare a nozze con una donna che palesemente non ama – e che senza mai apparire sarà solo evocata come mero accidente nel corso dell’azione – ha deciso di rimettere a posto i conti col passato, come schiacciando il tasto rewind d’un registratore, ripercorrendo a ritroso le tappe significative della propria – alquanto movimentata – vita sentimentale. Così, quattro camere d’albergo in quattro città di quattro Stati diversi d’America (segnalati da un fondale che s’illumina a mo’ di gigantesco cartellone stradale) divengono altrettanti luoghi di convegno con altrettante donne che riemergono dal passato, convocate per una resa dei conti fino ad allora lasciata in sospeso.
Quattro donne che incarnano altrettante tipologie umane, ciascuna con le proprie rimostranze da esibire, ciascuna con la motivazione di un abbandono da rivendicare; si va dalla provincialotta dal destino scontato da madre di famiglia alla femme fatale che trasuda erotismo e senso d’indipendenza indomito, dall’algida donna sposata coinvolta nel torbido d’una relazione clandestina alla ragazza sbarazzina e sfuggente.
Ognuna ha accettato l’invito al redde rationem, con ciascuna il dialogo è serrato, nessuna riesce a cogliere davvero il senso di quegli appuntamenti seriali messi in agenda col passato da quest’uomo farfallone ed inaffidabile; nemmeno dal di fuori (ovvero dalla platea) se ne comprende il senso, fino al coup de théâtre finale, che tutto rivela ma poco sorprende.
Il dialogare che dicevamo serrato è in realtà ellittico, gira intorno alle dinamiche interpersonali, ma è ben cauto a non sviscerare alcunché, in maniera tale da avvolgere in una pletora di chiacchiere tutta l’azione per condurla al suo fisiologico epilogo.
Teatro degli incontri è sempre una camera d’albergo, il cui arredo sempre uguale muta di senso ad ogni cambio di scena – corrispondente ad ogni cambio di partner e di città – cosicché la disposizione dei letti diviene simbolicamente allusiva delle differenti tipologie di donna e delle diversità specifiche di ciascun rapporto: un letto matrimoniale nella stanza che accoglie la madre di famiglia, due letti separati nella camera dove l’uomo incontra la vamp dalla fiera indipendenza, ancora un talamo nuziale nella stanza in cui riceve la fedifraga livorosa ed infine un lettino singolo laddove a fargli visita è l’ultima − la più disincantata – delle quattro partner “riesumate”.
Il viaggio alla ricerca del sé rifratto nello sguardo altrui si conclude con l’effimera leggerezza di una bolla di sapone; ci arriva però dopo un percorso piatto e parolaio, sovraccarico di verbalità cui non corrisponde altrettanta densità di senso. La verve umoristica che qua e là punteggia gradevolmente la messa in scena riesce a regalare qualche momento di divertimento leggero, senza però conferire sostanzialmente alcun valore aggiunto allo sviluppo drammaturgico.
Se Some Girl(s) fosse commedia che avesse pretesa di parere sofisticata, sfugge all’intento appesantita da un gravame verboso cui difettano profondità speculativa e capacità introspettiva.
Se Some Girl(s) fosse commedia che ambisse semplicemente ad essere brillante, raggiunge l’intento solo a tratti, in quelle parti in cui il guizzo graffiante ed il motto salace riescono ad elevare d’un tono un ritmo altrimenti monocorde.
Si preannuncia nelle note di regia un’appendice multimediale dello spettacolo, uno sviluppo ulteriore con un ulteriore personaggio femminile: facciamo ammenda, non siamo riusciti a rintracciarlo a zonzo per il web e a farlo entrare in asse con le nostre già infoschite pupille (colpa nostra). Ci tocca quindi sospendere il giudizio in merito, o quantomeno circoscriverlo a ciò che ha abitato la scena. Ed è giudizio, il nostro, opinabile e potenzialmente fallace come ogni umana valutazione, appesantito dal gravame verboso che dal proscenio ci ha raggiunti in platea.

 

 

Some Girl(s)
di
Neil LaBute
regia Marcello Cotugno
con Martina Galletta, Rachele Minelli, Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo, Gabriele Russo, Guia Zapponi
scene Luigi Ferrigno
costumi Annapaola Brancia D’Apricena
lingua italiano
durata 1h 35’
Napoli, Teatro Piccolo Bellini, 28 novembre 2013
in scena dal 28 novembre al 15 dicembre 2013

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