“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 24 November 2013 01:00

Ricorda con rabbia, ma senza esagerare

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Look Back in Anger, è titolo originale della commedia del drammaturgo e Premio Oscar britannico John Osborne, e dopo quasi sessant'anni dalla sua prima rappresentazione, il testo del portavoce dei 'giovani arrabbiati' (The angry young men) rispecchia ancora e con un'inquietante contemporaneità, sentimenti, disagio e rabbia dei giovani nei confronti di una società disumana lanciata nella corsa sfrenata al successo e divorata da una perenne sensazione di fame bulimica e insaziabile. Ricorda con rabbia è un potente urlo Ginsberghiano rivolto alla religione dell'economia, del progresso e dello sviluppo non più sostenibile; è una messa in scena che oggi più che mai ha un debito preciso con la realtà, la nostra. D'altra parte la finzione letteraria ben riuscita è sempre senza tempo.

Siamo nel teatro della mente che sprigiona rabbia primordiale con l'urgenza di una pentola a pressione, l'intento è far si che questa fuoriesca e pervada spettatori e l'intero teatro, un estintore caricato a cherosene puntato su piccoli fuochi, gli spettatori, che genera un incendio empatico "istigando il pendolo dell'indole mediante la spranga dell'eccesso" (geniale metafora di David Foster Wallace).
In un monolocale scabro e un po' peggio che minimalista, collocato in una grande città dell'Inghilterra centrale degli anni '50, si svolge una scena di quotidiano odio familiare resa ancora più efferata per la presenza di un testimone, potrebbe essere una scena da un matrimonio alla Bergman, poi l'obiettivo si allarga, la scena resta sempre la stessa in verità, ma sono i dettagli a cambiare, la prospettiva, e allora capisci che c'è un qualcosa di diverso e Bergman non c'entra più, ci sono in gioco problematiche e conflitti che vanno oltre il dramma personale e sentimentale dei protagonisti.  Le incomprensioni e l'incomunicabilità di questa coppia in crisi si svolgono sullo sfondo della lotta di classe tra due classi sociali che sono arrivate ai ferri corti: la borghesia medio/alta e la classe dei lavoratori, ai ferri corti come lo sono Jimmy ed Alison.
Dei due coniugi, sineddoche delle classi che rispettivamente rappresentano, solo uno, Jimmy, ha sufficiente consapevolezza di quello che sta succedendo, che si è arrivati ad un giro di boa dopo il quale niente potrà più essere come prima, l'altra, Alison, resiste a ogni cambiamento preferendo far finta di nulla e andando avanti col suo solito ménage.
È così che la consapevolezza di Jimmy si trasforma in rabbia vituperosa e cieca perché priva di un obiettivo preciso, dato che nemmeno lui, Jimmy, ha la soluzione e non può fare altro che scagliare il suo odio cieco e circolare come un boomerang che investe chiunque si trovi nella sua traiettoria, per poi tornare indietro, inevitabilmente, alla sua fonte, dalla sua origine. Jimmy provoca manifestando il suo disappunto, su tutto, si lamenta dei gesti con cui Alison provvede ai suoi 'doveri di massaia', lo infastidiscono l'indolenza e la goffaggine della moglie. Lo infastidisce lei nella sua totalità inclusa la sua genìa. Poi all'improvviso un'intuizione, una parola gli viene in aiuto, una sola parola che codifica la sua rabbia e che ripete come una folle cantilena, 'pusillanime': "per tutto questo tempo sono stato sposato a questa donna. Questo monumento di distacco. E improvvisamente ho scoperto che esiste una parola che la riassume tutta. Non è soltanto un aggettivo, è il suo nome!".
La tensione raggiunge il limite e Jimmy trova un pretesto per uno sfogo corporale, oltre che verbale, e si azzuffa con Cliff, il terzo incomodo, il testimone, spingendolo addosso ad Alison che si ustiona col ferro da stiro, conseguenza che Jimmy aveva previsto, perché lui, a differenza di Alison, ha consapevolezza anche dei suoi gesti, non sbatte e tira gli oggetti come è convinto che faccia lei, con la stessa volgarità con cui fa uso del suo piumino da cipria "flip flop". Lui sa come trattare le cose per ottenere da loro quello che vuole, l'unica cosa che non sa come maneggiare è Alison, più cerca di provocarla per ottenere da lei una qualche reazione, anche se negativa, più lei ostenta un'indifferenza letargica, ma Jimmy vuole uno scambio, perché qualsiasi interscambio, anche il più stridente ed efferato, è meglio di niente, di quando una delle parti si ritira o si richiuda in se stessa: "Dio mio, quanto ho bisogno di un po' di normale entusiasmo umano. Solo un po' di entusiasmo, nient'altro"; "niente di ciò che posso fare riuscirebbe a smuoverla".
Ad aiutare la coppia a raggiungere un climax drammatico subentra Helen, una vecchia amica di Alison, un'attrice giunta in città per una rappresentazione, una donna che ancora più della moglie rappresenta per Jimmy tutto ciò che odia. L'arrivo di Helen sconquassa ulteriormente gli equilibri e dà ad Alison il coraggio di abbandonare il marito.
Nell'ultimo atto si vede Helen nello stesso monolocale che stira con indosso la camicia di Jimmy, ha preso il posto si Alison. Ma Alison riapparirà, bianca come un fantasma e annuncerà a Jimmy di aver perso il figlio che aspettava da lui. Helen uscirà di scena e la coppia, per la prima volta sola, troverà una catarsi sorprendentemente sentimentale. Ma il vero finale non è quello che si legge entro i confini dell'apertura e chiusura del sipario, il vero finale è quello che ognuno si ricava da sé unendo le rette oltre la cornice del palcoscenico, perché ormai conosciamo bene Jimmy e qualcosa ci impedisce di tirare un sospiro e di credere a questo happy end, un segnale antincendio lampeggia dentro di noi e ci dice che quella non può che essere una tregua pretornadica, la calma prima di una nuova tempesta, un finale che risolve non risolvendolo.
Un testo non facile da rappresentare in maniera convincente, il rischio di snaturare questo dramma socio/politico ad una love story tormentata e tormentante con lieto fine è dietro l'angolo. Ed è quello che, purtroppo, è accaduto a questa coraggiosa compagnia di giovani attori, alcuni dei quali chiaramente alle prime armi. Sarà stata la marcata cadenza da parlante nativo (per nativo intendo partenopeo, non anglosassone) di tre degli interpreti, uno dei quali veniva più volte appellato come 'gallese', e che avrebbe consigliato un'adattamento che decontestualizzasse e allontanasse il più possibile da un ambito strettamente britannico; sarà stata l'indole poco predatoria di un Jimmy che più che arrabbiato risultava petulante come un'anziana e bonaria zietta, e che, nei pochi sussulti reazionari di Alison, veniva da lei sovrastato di parecchi ottavi e di svariati gradi di rabbia; sarà stato il sottofondo musicale del secondo atto che anticipa il lieto fine con le note di una sdolcinata e quanto mai inappropriata Nothing’s Gonna Change My Love for You; purtroppo però, spiace dirlo, ma per quanto armati di buona volontà e intenzioni, la rappresentazione suonava un po' come la versione moderata ed edulcorata dell'originale.

 

 

 

 

 

Ricorda con rabbia
di John Osborne
regia Antonio Lepre
con Antonio Lepre, Laura Pagliara, Stefano Aloschi, Valentina Mesca, Luca Sangiovanni
scene Roberto Minichini
foto di scena Rosa Sanzone
lingua italiano
durata 1h 30’
Napoli, Te.Co. – Teatro di Contrabbando, 22 novembre 2013
in scena 22 e 24 novembre 2013

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