“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 03 November 2013 05:36

Dove sta il folle?

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Noir comico in salsa napoletana, lo spettacolo di Peppe Celentano garantisce quasi due ore di risate attorno ai racconti di Arturo Scamardo, serial killer (ha commesso la bellezza di venticinque omicidi) che uccide per un impulso irrefrenabile simile al capriccio ostinato del bambino, definito 'nziria in napoletano, che fa di lui piuttosto uno 'nzirial killer.

Prima che tutto cominci, nel buio, spiccano le calze bianche e la coulotte di un personaggio di spalle, che suggeriscono un che di XVIII secolo. Scopriremo più tardi che si tratta di Alibrando Spinetti, tenore, il detenuto B04 (Francesco Luongo), che accompagnerà e sottolineerà ogni snodo del racconto con le più celebri arie d’opera, da La donna è mobile a Vincerò, da Brindiamo nei lieti calici a Figaro. Surreale e stralunato, anche se non perfettamente integrato nel meccanismo scenico, o almeno non abbastanza perché la trovata si trasformi in geniale espediente narrativo.
Dopo l’uscita di scena del tenore uno sguardo alla scena, dominata da rosso e nero. Nere le sedie, rossi i cuscini. Una struttura in metallo con sbarre verticali, sulla sinistra, suggerisce in maniera semplice ed efficace l’idea della cella. Dal soffitto pendono una treccia di aglio, una di cipolle e una di peperoni. Probabile omaggio alla tradizione, ma non ne verrà mai fatta parola nello spettacolo. Dalle luci sul fondo pende un pupazzo bianco, impiccato si direbbe, ma anche di questo sembra non esserci traccia nella struttura narrativa.
Finalmente invece in scena il vero protagonista, il detenuto B04, dietro le sbarre, con la camicia di forza. Dall’altro lato il personaggio della psicologa, nordica, pingue, con i capelli rosso rame, le labbra come rifatte, la voce impostata, assolutamente insensibile alla realtà umana della persona che ha davanti, per lei solo un caso da trasformare in un articolo scientifico, un intervento ad un convegno. E Arturo Scamardo racconta, uno dopo l’altro, i suoi delitti. Tutti diversi, nella causa e nelle modalità esecutive. Tutti accomunati da un sostanziale rifiuto della società così com’è, come si evolve. Ha un tono bonario mentre racconta, la voce bassa e roca, impastata di tabacco, carezzevole e ipnotica come quella di un anziano collega che racconta i suoi trascorsi nella marina mercantile. Come lui Scamardo è figlio di un tempo che non c’è più. Più concreto, meno effimero, meno legato all’apparenza. Non lo accetta questo mondo. Non riesce a conformarsi. E mentre racconta le parti si invertono, i ruoli si invertono, le posizioni si invertono, à tour de rôle. E così alternativamente la psicologa, il direttore del carcere (Amedeo Ambrosino), la guardia (Diego Sommaripa), sono loro a trovarsi dietro le sbarre, per un rovesciamento di prospettiva, certo, come se la scena la vedessimo, cinematograficamente, dal lato opposto, ma anche per un rovesciamento di ruoli. Folle è Scamardo, che uccide per 'nziria, per un impulso momentaneo. Ma è forse davvero meno folle la psicologa, avvinghiata al suo telefonino che squilla in continuazione, per futili motivi, con una suoneria bitonale capace di mandare chiunque al manicomio? Convegni, appuntamenti di lavoro, forse incontri galanti, tailleurs da stirare... piccoli orpelli di vite altrimenti vuote, davvero sono così importanti? Tali ci appaiono, riempieno le nostre vite, ossessionate dalla connessione perenne, dalla impossibilità di staccare il cordone ombelicale con il resto del mondo.
Arte semplice e complessa la cucina. Servono gli ingredienti, ma non basta. Si possono avere pessimi ingredienti e accostarli con mirabile artificio tale da produrre una pietanza apparentemente ottima (salvo poi a produrre inconvenienti successivi...). Si possono avere ingredienti dalla qualità ineccepibile che, tuttavia, non riusciranno a tramutarsi in festa per il palato. Perché questa digressione alimentare? Forse per un’affinità con il prodotto teatrale, anch’esso fatto di molteplici ingredienti che concorrono alla realizzazione dello spettacolo, che non deriva dalla semplice ed automatica sommatoria delle parti. Prendi un ottimo testo, prendi un eccellente interprete, che ne è anche l’autore e quel testo lo ha scritto per sé, su di sé. Prendi dei bravi comprimari, che sappiano rendere con pochi gesti, atteggiamenti, toni, lo stereotipo umano assegnato. Prendi una bella voce tenorile, incarnata in una figura sufficientemente stralunata da apparire quale surreale elemento connettore tra un quadro e l’altro. Prendi una scenografia semplice ma efficace. Condisci il tutto con proiezioni in bianco e nero che suggeriscano il racconto di eventi passati, alternandosi alla voce narrante e rimembrante del protagonista. Tutti ingredienti di prima qualità, o comunque genuini, ma non basta mescolare il tutto. Manca il cuoco che faccia della pietanza un manicaretto.

 

 

 

'Nzirial Killer. vol. 2 – Noir napoletano
di e con
Peppe Celentano
con la partecipazione di Gabriella Cerino, Amedeo Ambrosino, Diego Sommaripa, Francesco Luongo, Noemi Coppola
lingua napoletano, italiano
durata 1h 40’
Napoli, Circolo Teatro Arcas, 31 ottobre 2013
in scena dal 31 ottobre al 03 novembre 2013

 

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