“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 29 October 2013 01:00

Non 'cosa' ma 'come'

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Eccellenza manifatturiera dell'epoca borbonica, San Leucio lega il suo nome e una fama bicentenaria all’impresa delle seterie; per tale motivo, non possiamo fare a meno di notare che, nel luogo degli opifici del tessile, in uno spazio teatrale che pure si chiama Officina, va in scena uno spettacolo intitolato #Tessuto (dove l’elemento tessile viene significativamente preceduto da un hashtag – il grafema in uso su Twitter – su cui torneremo a breve).

Sulle tavole di legno, a riproporre esperimento collettivo – così come collettivo fu per un verso l’esperimento di “socialismo ante litteram“ delle seterie leuciane nell’Ottocento – la compagnia Cascina Barà, che propone un lavoro in cui l’arte performativa di un’attrice s’interseca, interagisce, diventa sinergica, oltre che con la musica dal vivo, con una vera e propria installazione visuale progressiva.
In assito una donna di nome Mia, cui una sedia fornisce unico appoggio di scena; figlia di una colpa e di un abbandono, straniero il suo accento, un vezzoso fermaglio fra i capelli sembra far pendant col tono ingenuo della sua voce. Il fondale, protagonista inaspettato e dinamico, è come una tavola da istoriare, su cui regia occulta (ma neanche tanto) provvede mediante una tavoletta grafica a produrre disegni che interagiranno e s’integreranno con azioni e parole della donna che recita, l’ottima Daniela Scarpari.
Il risultato è che una storia semplice, come tante, che racconta in prima persona di una donna straniera, come tante, di emarginazione e del vuoto di un’assenza materna, divenga qualcosa di fuori dall’ordinario attraverso la commistione finemente amalgamata di differenti arti performative.
Non è il ‘cosa’, dunque, ma il ‘come’.
#Tessuto rappresenta la felicemente riuscita dimostrazione di come la lavorazione di un testo possa esplorare frontiere di comunicazione drammaturgica non convenzionali, dando luogo sulla scena a qualcosa che non solo impressiona piacevolmente lo sguardo dello spettatore, ma che colpisce per l’assoluta essenzialità, per la mancanza di fronzoli e orpelli che possano in una qualche misura evocare virtuosismi paratecnologici fini a se stessi.
L’hashtag del titolo dichiara preventivamente intento e forma comunicativa: nell’epoca della comunicazione tecnologica, il medium attraverso cui avverrà la comunicazione fra due anime – figlia e madre, l’una all’inseguimento dell’altra – sarà un drappo di stoffa su cui le parole, disposte in frastaglio, rappresenteranno un patchwork di tracce da seguire, istanze comunicative di una ricerca da perseguire, di un abbraccio materno da inseguire, “trame di tessuto che emettono parole”. E, come una tela da ricamare con finezza, lo sfondo prende corpo e s’istoria disegnando ora il percorso di un viaggio, ora colorando le tinte del filiale sentire, dal bianco candore dell’ingenuo abbandono, al rosso carnale di un abbraccio materno evocato, sognato ed alfine raggiunto nella splendida immagine di una simbiosi finale: “Un abbraccio per Mia, tutte le volte che ne avrà bisogno”.
Un foglietto di carta appallottolato, a un tempo oggetto di gioco e traccia scritta da seguire, rappresenta il legame con la comunicazione tradizionale; oltre ai supporti tecnologici, la grammatica teatrale s’avvale anche di stilemi tradizionali; e così, una valigia ed un paio di scarpe evocano l’idea del viaggio che, al contempo fluisce in proiezione sullo sfondo sotto forma di strade che s’intersecano.
Il plot si dipana omogeneo lungo il duplice binario della scena e dello sfondo che s’anima in simbiosi; il doppio binario si fa triplice con la presenza discreta ma calzante e puntuale dell’accompagnamento musicale dal vivo.
Il percorso lineare di un’anima raminga si compie nella poetica evocazione di una pacificazione, che si sancisce al suono d’una parola di perdono per il vulnus dell’amore negato: “assoluzione”.
Mia si fonde in un abbraccio col cuore materno diventando tutt’uno col fondale, il pubblico si fonde con Mia nel fragore dell’applauso.
#Tessuto, ovvero un ricamo di drammaturgia ed arte visuale.

 

 

 

#Tessuto
di
Alessandra De Luca
con
Daniela Scarpari
regia visuale e tag-tool idea Fupete
produzione Cascina Barà
produzione, diario in tessuto e disegno dal vivo
Alessio Trillini
colonna sonora Lorf, Alessandra De Luca
musica dal vivo Lorf
con la collaborazione di Erika Gabbani – Nasonero
lingua italiano
durata 40'
San Leucio (CE), Officina Teatro, 26 ottobre 2013
in scena 26 e 27 ottobre 2013

 

 

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