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Monday, 14 October 2013 02:00

Eterna Nora

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Rischiamo di ripeterci, pertanto non si darà contezza della difficoltà nel trovare il Teatro 99 posti. Teatro pieno per il grande classico di Ibsen. Confortante in tempi di crisi per il teatro. Rassicurante per un teatro che non gode di contributi pubblici, ma va avanti grazie all’affezione del pubblico e alla qualità delle proposte. Ma veniamo subito a noi e alla rappresentazione.

La storia è più che nota, ancora emblematica per qualche vecchia ragazza, che si compiace di vedere ragazze a teatro e ci addita Nora come esempio luminoso di autonomia e nascente consapevolezza femminile. Consolidata la Compagnia dell’Eclissi, che si vale di buoni caratteristi, che forse potrebbero lanciarsi con più fiducia, abbandonare la dizione impostata e dare corpo e vita ai personaggi. Sostanzialmente filologica la rappresentazione, con qualche adattamento per economia di scena. Dialoghi e valori sono quelli originali, abiti e suppellettili di scena hanno un vago gusto retrò, ma potrebbero essere in uso anche oggi. Nora è vestita di nero, uniche note di luce una lunga collana di perle e il biondo dei capelli corti. Anche l’amica, la signora Linde, è sobriamente vestita di nero, con una cravatta bianca che sembra evocare il suo ruolo di donna lavoratrice, quasi a rimarcare, attraverso un accessorio così maschile, la sua differenza rispetto alla frivola amica. L’immagine di casa Helmer è quella di un salotto borghese, decoroso e non veramente elegante. Domina la scena un manichino, con il costume caprese per il ballo. Aspetteremo quasi fino alla fine per vederlo utilizzato, ma la sua presenza muta chiarisce dall’inizio i termini del problema, la condizione di minorità di Nora. Il suo potenziale evocativo esploderà tutto alla fine, quando la donna si sveste dei panni della tarantella, si sveste dei panni della moglie, non è più lo scoiattolo, il lucherino, la bella bambola, ma solo Nora, in sottoveste e a piedi nudi, una bambina che ha finalmente deciso di crescere. Nora si è resa conto di essere stata una bambola piccola per suo padre, lo specchio delle sue idee, e di essere diventata una bambola grande per suo marito, accondiscendendo alla volontà, ai desideri, al piacere di Torvald, facendoli suoi, senza preoccuparsi di sapere quali fossero i propri.
Molto efficaci alcune soluzioni sceniche, come la danza con lo scialle di Nora, che sostituisce la scena in cui lei prova la tarantella con Helmer, mentre il dottor Rank suona la musica al piano. Qui invece la donna è da sola in scena e inginocchiata a terra fa roteare lo scialle, sempre più vorticosamente, mentre ascoltiamo le frasi che echeggiano nella sua mente, quelle di Helmer, le minacce di Krogstad, le sue proteste, le sue paure. O il costume del dottor Rank, un malinconico Pierrot, che recita fino alla fine la sua parte di clown triste. La tenda di lustrini infine, da cui Nora esce, congedandosi da Torvald e dalla rappresentazione di se stessa che ha recitato fino a quel momento della sua vita.
Cosa ci aspettavamo da questa rappresentazione? Forse qualcosa di più. Nonostante il maschilismo di fondo delle nostre società, sono ormai lontani i tempi in cui c’erano lavori da uomini e una donna era considerato solo un grazioso uccellino che doveva trillare per casa e agghindare le sue piume (anche se, ancora oggi, forse più di un uomo la pensa così, più o meno palesemente...). Lontani i tempi in cui il matrimonio era indissolubile, le donne economicamente legate al marito, impensabile la possibilità di una formazione e di una crescita interiore femminile. Eppure ha ancora un senso rappresentare Ibsen, quelle pagine non sono morte, hanno ancora qualcosa da trasmettere, anche se forse le nostre domande e istanze sono un po’ diverse. Cosa direbbe oggi Nora? Come si rivolgerebbe al suo Helmer? sarebbe davvero così ingenua da non accorgersi della corte muta e disperata del dottor Rank? Non lo sappiamo. Le parole che abbiamo ascoltato sono quelle di Ibsen, i valori in gioco e la società quelli di allora. Come se il tempo non fosse passato. Come se la società non fosse cambiata. Come se non ci fossero stati il femminismo e il post-femminismo.
Resta ciò che è eterno, la sostanza di fondo del conflitto che riguarda qui, accidentalmente, una donna, ma potrebbe riguardare chiunque acquisisca la consapevolezza della necessità di crescere.

 

 

 

Casa di bambola
di
Henrik Ibsen
adattamento e regia Uto Zhali
con
Felice Avella, Viola Di Caprio, Marianna Esposito, Ernesto Fava, Roberto Lombardi
produzione La Compagnia dell'Eclissi
scenografie e costumi
Angela Guerra, Valeria Di Lorenzo
suono e luci Carmine Fedullo, Giuseppe Mancaniello
foto di scena Mary Cannaviello, Giulia Sonetti
musiche da D’Anzi, Davis, Metheny, Rodgers, Trenet, Yiruma
consulenza Antonella Iannone
lingua italiano
durata 2h
Mercogliano (AV), Teatro 99 posti, 12 ottobre 2013
in scena 12 e 13 ottobre 2013

 

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