“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 06 October 2013 02:00

Ultimo saluto a Carlo Lizzani, signore del Neoralismo italiano

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Una triste notizia, un fulmine a ciel sereno che ha lasciato tutti senza fiato è stato l’avvenimento che ha visto come protagonista un padre del cinema italiano: Carlo Lizzani si è suicidato all’età di novantuno anni saltando dal balcone della sua casa romana. Una grande salto nel vuoto, lo stesso vuoto che ha lasciato nel mondo del cinema: attore, regista, sceneggiatore e critico, Carlo Lizzani ha dedicato la sua vita al servizio della Settima Arte ripercorrendo la storia del nostro Paese attraverso i suoi occhi, la sua penna, il suo sguardo attento, i suoi film.

Lizzani era un uomo di cinema a trecentosessanta gradi. Siamo quasi agli albori degli anni '50 quando debutta come attore in Il sole sorge ancora, di Vergano, accanto a Gillo Pontecorvo, poi in Caccia tragica di De Santis. Nel frattempo aveva cominciato a lavorare anche come sceneggiatore per Vergano, per De Santis, per Lattuada e per il disperato capolavoro rosselliniano Germania anno zero.
Nel 1951 in piena atmosfera neorealista fa il suo esordio dietro la macchina da presa con Achtung! Banditi, un episodio della resistenza ligure con cui inaugura la sua esplorazione della storia recente che continuerà sino a Hotel Meina, quasi sessant'anni dopo, raccontando la tragica strage degli ebrei in fuga.
Carlo Lizzani era un uomo del suo tempo, nel senso più alto dell’espressione: attento e partecipe alla vita del Paese, la sua curiosità e il suo impegno civile trasudano in tutta la sua produzione cinematografica. Un perfetto neorealista e un uomo curioso, che indagava la realtà proprio inseguendola passo passo ma sempre con la calma e la pacatezza che lo contraddistinguevano.
Il suo testamento cinematografico è anche un testamento del nostro Paese: Lizzani aveva sempre indagato la storia dell’Italia, specie quei capitoli tanto dolorosi e cruenti del passato tra fascismo e della Resistenza: Cronache di poveri amanti (1954) e Il gobbo (1960), L'oro di Roma (1961) e Il processo di Verona (1963), Mussolini ultimo atto (1974) e Fontamara (1977), Un'isola (1986) e, appunto, Hotel Meina nel recente 2007.
Intimamente legato alla vita politica, Lizzani era stato da sempre un convinto comunista, entrando nel PCI e facendone parte fino al 1957, ma la sua è stata sempre una militanza educata, mai sopra le righe: un tipo di impegno e idealismo dei quali oggi si avrebbe un gran bisogno.
Un osservatore della realtà che lo circondava e che poi raccontava attraverso i suoi film. Ma Lizzani era anche un profondo conoscitore e difensore del cinema nel senso più stretto e critico del termine: aveva avuto il grande onore (e onere) di essere il direttore, tra il 1979 e il 1982, di alcune delle più belle edizioni della Mostra del Cinema di Venezia, ricostruendola dopo la contestazione sessantottina. Nel 1998 ha pubblicato la raccolta di suoi scritti di vario genere Attraverso il Novecento, in cui trovano posto anche interessanti aneddoti sul mondo del cinema neorealista italiano, e nel 2007 la sua autobiografia Il mio lungo viaggio nel secolo breve.
Mai stanco e sempre in piena attività nonostante il passare del tempo, era stato tutor del corso di Filmmaker della Accademia Act Multimedia di Cinecittà, a testimonianza della sua grande apertura e disponibilità anche verso i giovani.
Il mio ricordo di questo protagonista del cinema italiano mi porta un po’ indietro nel tempo, ad almeno tre o quattro anni fa, quando fui coinvolta, senza molta possibilità di scelta, in un incontro da un mio docente universitario: sarebbe servito per il mio esame ma è uno di quegli appuntamenti obbligati dei quali sarò sempre grata.
Vedendo la sagoma alta e magra di questo signore di una certa età che raccontava in maniera così semplice e genuina la storia del nostro Paese che veniva sovrapposta alla sua produzione cinematografica, fui rapita e mi fece molto riflettere. Molti aneddoti e “storielle” che mi facevano assaporare da lontano l’atmosfera di quegli anni e su come fosse così apparentemente semplice avere degli ideali e voglia di cambiare la realtà. Un uomo estremamente gentile e ironico, pacato.
La sua improvvisa morte, scelta da lui stesso, stupisce non poco ed è quasi automatico il collegamento ad un altro suicidio celebre degli ultimi anni, quello del regista Mario Monicelli, con la differenza che quest’ultimo è sempre stato sopra le righe e dotato di un carattere anarchico.
“La speranza è una trappola”, disse proprio Monicelli in un sua intervista e, forse, era proprio la speranza che Lizzani aveva perso negli ultimi tempi: a volte ci sono malesseri gridati, urlati, altre volte si è stanchi di sbraitare e allora si agisce in silenzio e in silenzio si commettono le azioni più pericolose.
Con Lizzani se n’è andato non solo un pezzo di cinema ma un pezzo di storia del Novecento.

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