“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 17 September 2013 05:32

"M" e la coesistenza del bene e del male

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Riuscite a immaginare una stradina poco trafficata, in un mattino pallido, nel generale torpore di una città che si è già destata, ma che non è ancora pienamente cosciente di ciò che accade. In un negozio di dolci si sente il classico campanellino, che avverte dell’ingesso di un cliente, e così il pasticciere immerso nei suoi pensieri si ritrova davanti la faccia buffa e contorta di Peter Lorre. Al suo fianco una bambina dai cappelli biondi. L’uomo compra delle caramelle o una fetta di torta alla bambina. Paga e i due vanno via.

Il commerciante resta in attesa del prossimo cliente nella sua bottega. Al dolce segue un palloncino e poi chissà, forse la promessa di qualche gioco, che la bambina desidera da tanto. I due camminano per la stradina trafficata lungo la città che sonnecchia ancora. L’azione si ripete più e più volte di mattina e di pomeriggio, lungo i tortuosi percorsi di una città che non vuole accorgersi di quanto accade. Ogni tanto si vede quell’uomo dalla faccia buffa in compagnia di bambine sempre diverse, che fischietta allegramente un motivo tratto dal Peer Gynt di Grieg; ogni volta che accompagna una bambina questa non torna più a casa. Ecco il dramma, ma stavolta il conflitto nasce da qualcosa di inesplicabile.
Se leggiamo Zola o Sade ci accorgiamo che c’è qualcosa di tremendamente sbagliato nella natura umana. Un essere sadico che si compiace del dolore sembra albergare in fondo all’animo di ciascuno. Qui non si tratta di una lotta per il potere, né di una battaglia per ricevere gloria o denaro. Non si uccide per amore. Quest’opera mostra chiaramente il male fine a se stesso. Le parole tante volte citate dal mostro, quando viene catturato dalla malavita restano nell’immaginario collettivo di ogni buon sceneggiatore o critico: “Quando cammino per le strade ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo… ma sono invece io… che inseguo me stesso”. Franz Becker racconta così il suo ‘dramma’ alla folla di delinquenti che l’ha catturato per impiccarlo. Infine confessa: “Soltanto quando uccido, solo allora… e poi non ricordo più nulla”.
Egli è dunque una vittima della sua natura maligna. Come se Stevenson avesse profetizzato nel suo libro ciò che sempre più spesso vediamo avverarsi in ogni parte del mondo, l’animo umano sembra scindersi nel racconto dell’assassino in due metà. Pare quasi di vedere la metà oscura di Franz percorrere lunghe stradine affollate nell’indifferenza dei passanti, mentre lo afferra e ne strazia le carni. Vi sono tanti elementi che questo film porta alla luce. "M" per esempio è il segno con il quale l’assassino viene marchiato da personaggi che si muovono nel sottobosco dell’illegalità. Un cieco riconosce il motivo che lui fischietta ogni volta. Ciò porta alla divisione della città e quindi della società umana in due categorie, la buona e la malvagia. Ognuna di esse ha le sue regole e la propria giustizia. Si può allora tentare di fare un paragone tra la natura del serial killer e quella della comunità in cui vive. Tutto ciò può sembrare aberrante e semplicistico, ma bisogna pure ammettere che figure come quelle descritte meravigliosamente da Lang sono la prova vivente che bene e male coesistono. Anzi, la coesistenza è data dal fatto che non si immagina e forse non può esserci l’uno senza l’altro. Da ciò derivano congetture e teorie a sfondo filosofico che possono essere analizzate in altre sedi.
Per quel che concerne la natura squisitamente filmica dell’opera, la possiamo annoverare tra le grandi pellicole di Fritz Lang, come archetipo del genere “serial killers” così come Metropolis lo fu per quello fantascientifico. Le ricostruzioni delle indagini da parte della polizia sfiorano la perfezione, e il ritmo dei dialoghi e delle scene è incalzante. Poiché il film è del 1931 esso appartiene all’epoca in cui si diede inizio al sonoro. Probabilmente in ciò sta il tratto distintivo del mostro, quel sinistro e macabro fischiettare che preannuncia la morte di qualche giovane vittima. In questo modo Lang ha saputo fondere suono e immagine perfettamente, come farà anche Alfred Hitchcock magnificamente in L’uomo che sapeva troppo e in tante altre pellicole di grande successo.

 

 

Retrovisioni
M − Il mostro di Düsseldorf (M − Eine Stadt sucht einen Mörder)
regia Fritz Lang
sceneggiatura Fritz Lang, Thea von Harbou
con Peter Lorre, Gustav Gründgens, Inge Landgut, Otto Wernicke, Ellen Widmann
produzione Seymour Nebenzahl
fotografia Fritz Arno Wagner, Gustav Rathie
scenografia e costumi Emil Hasler, Karl Vollbrecht
suono Adolf Jansen
montaggio Paul Falkenberg
musica Edvard Grieg (brani tratti dal Peer Gynt)
paese Germania
lingua originale tedesco
colore b/n
anno 1931
durata 117'            

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