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Saturday, 07 September 2013 02:00

Il quadernaccio di Sam Weller (n. 3): Il maestro dei suoi maestri di Joel Peter Witkin

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Tornando verso casa, mentre mi capitava di mormorare qualcosa del tipo “torbido, veramente torbido, eppure elegante”, il nostro discorso verteva su questo problema, riassumibile così: “ma i cadaveri non si irrigidiscono a tal punto da non poterli più manipolare? come ha fatto a posizionarli in quel modo e a vestirli?”. Il problema, che poi tale non era – evidentemente un modo ci sarà e voglia di andare su Google per trovarlo non ce l’ho –, è significativo di una cosa che mi dà in questo momento di scrittura parecchio da pensare, il rapporto che intratteniamo non tanto con la morte ma con la rappresentazione della morte, o, ancor di più, quanto la dimensione della rappresentazione della morte determini il nostro modo di percepire la morte.

Insomma: non c’è un modo naturale di rapportarsi alla morte, qualsiasi ente naturale il problema della morte non se lo pone, qualsiasi animale continua il suo pasto accanto a un suo simile morto, non lo vede, non percepisce l’inconsistenza di un ammasso organico che precedentemente era vita, non ne coglie l’insopportabile nudità. Non che vogliamo colpevolizzare l’animale di non provare sentimenti così umani (appunto, troppo umani), ma sicuramente – e questo è un dato di fatto – non esiste un atteggiamento immediato e naturale con il quale approcciare la morte, la nostra relazione con essa è sempre mediata e culturale, e in questo senso Witkin qualcosa da dirla ce l’ha.

Beh! Cominciamo col dire che questa non è una semplice mostra, ma qualcosa come un viaggio nell’immaginario collettivo, un viaggio talmente ben organizzato dall’autore, ben strutturato e un bel po’ visionario, che oltre a riprodurlo questo immaginario, in realtà lo produce in senso stretto. Una così sconvolgente estetica, a tratti patinata e lussureggiante di particolari, e che in più ha per oggetto l’insopportabilità visiva di cadaveri e sessualità torbide, ritorna in un bel po’ di immagini che ci capita di vedere qua e là, in un video di Marylin Manson, in un premiato reportage di guerra o in Lady Gaga in persona, e così ciò che sconvolge è che Witkin riesce a concretizzare in maniera elegante qualcosa che abita semplicemente nei particolari che bisogna spiare ma non guardare mai con insistenza e a renderla opera, e quando diciamo “opera”, intendiamo un qualcosa che, immediatamente, ha il respiro dell’arte, poi può piacere o meno, ma quello è un altro discorso.

Mi sto intrattenendo a lungo sulla questione dei cadaveri senza esplicarla. In realtà, quando siamo entrati nella seconda sala e abbiamo visto l’opera Immagini dell’aldilà: la contessa Daru (1994, stampa al bromuro d’argento), - opera dall’impatto visivo disarmante, richiamo (probabilmente) alla nobildonna dipinta da David, tre fotografie di tre cadaveri dai crani deformi, sfasciati e aperti ma di eleganza disarmante, con i corpi atteggiati alla massima raffinatezza, con pose di braccia e mani che ricordano allo stesso tempo il neoclassicismo un attimo prima di sfociare nel romanticismo e una passerella di alta moda, in abiti ottocenteschi e con ogni particolare curato al limite dell’ossessione -, abbiamo chiesto aiuto e così ci viene spiegato che, in un modo o nell’altro, Witkin riesce a procurarsi cadaveri dagli obitori o da istituti scientifici, cadaveri di gente senza nome, dimenticati e a cui neanche i sepolcri regalano memoria postuma e su questi cadaveri e sul significato della morte lui lavora in maniera da restituire (ma anche produrre) un certo modo di guardare al cadavere e a ciò che esso conserva nella sua figura, la rappresentazione del trapasso. E non è la sola composizione che presenta questo tipo di lavoro, si va da Testa di un uomo morto (1990, stampa al bromuro d’argento), probabilmente un messicano, la cui testa è servita su un bel piatto, a Cos’è la poesia quando siamo così piccoli (2002, stampa al bromuro d’argento), testa di cadavere appollaiata su una sorta di colonnina neoclassica indossante una maschera capovolta, la cui ombra guarda al di là della composizione. Perché non si tratta soltanto di cadaveri interi ma anche di pezzi di cadavere, e, dove questa ricerca raggiunge veramente livelli di efficacia disarmanti, è nelle “nature morte” (non stiamo scherzando con i termini), vere e proprie composizioni che potrebbero essere caravaggesche o comunque da pittura del XVII secolo, in cui si trovano mescolati a frutta, ortaggi, cacciagione o soggetti marini anche mani, piedi e addirittura un neonato morto (e ricucito con spago ben visibile – evidentemente oggetto di un’autopsia), ci riferiamo soprattutto a Il banchetto dei pazzi (1990, stampa al bromuro d’argento).

Ma non c’è soltanto Thanatos, c’è ovviamente anche Eros. E anche Eros in maniera torbida. Non tanto per i soggetti ma per la scelta della rappresentazione. E così abbiamo Divinità del cielo e della terra (1988, stampa al bromuro d’argento), una sorta di Venere di Botticelli interpretata da un transessuale dai grossi seni e dal pene in bella evidenza, ai piedi della rappresentazione un Cristo sdraiato appena abbozzato con il carboncino, e così una serie di (verrebbe da dire “quadri”) foto con peni in evidenza, un po’ per sconvolgere il pubblico un po’ per richiamarne il gusto profondo e i piaceri reconditi. Ma su tutti campeggia sicuramente Nudo con maschera (1990, stampa al bromuro d’argento), omaggio a Lewis Carroll, autore di Alice e appassionato fotografo di bambini, che rappresenta una bambina, completamente nuda, distesa in atteggiamento morbido su una poltrona, l’opera creò a tal punto scandalo che Witkin non venne per un bel po’ invitato a fare mostre in Europa, e a rendere ancora più torbida la rappresentazione (ma veramente racchiude il senso dell’opera di Witkin) è il fatto che non si sa (forse l’autore non lo vuole svelare) se la bambina fosse viva oppure cadavere quando è stata colta dall’obiettivo dell’artista.

La tecnica poi che utilizza è unica, non usa assolutamente il digitale, lavora sui negativi attraverso graffi e strappi, successivamente aggiunge parti in carboncino e probabilmente utilizza la tecnica del collage, ri-fotografando più volte le composizioni che mano a mano sviluppa per accumulo. La cura per i particolari è assolutamente fuori dal comune, basti pensare a Lo studio del pittore (1990, stampa al bromuro d’argento), opera giocata su una molteplicità di piani, lo sfondo appena visibile, poi una tela con drappi e panneggi sulla quale si trova un dipinto ricchissimo di particolari, poi una donna grassa e sfatta che di spalle accarezza la tela, poi il pittore, rappresentato da un corpo svuotato (un po’ come alcuni personaggi di Bosch) con innesti meccanici che brandisce una tavolozza senza colori mentre un babbuino gli ha appena strappato di mano il pennello, seduto da solo dinanzi a un’altra tela, mentre ai lati giacciono ammassi di corpi e di altri materiali organici e non. Il tutto a dimostrare i molteplici strati che compongono il reale e l’impossibilità di giungere a quello definitivo, lo strato sottostante e vero.

Si tratta probabilmente di capolavori. E si tratta di un interessantissimo compendio visivo di tutte le nostre più torbide rappresentazioni – “nostre” e quando dico “nostre” intendo proprio quelle che ci ha consegnato la tradizione giudaico-cristiana (l’artista tra l’altro è figlio di padre ebreo e madre cattolica), dove la Morte e il Sesso non sono momenti ma contengono il senso peccaminoso dell’esistenza, una tradizione rinforzata poi dal buon Freud che vedeva in opera Thanatos e Eros nell’inconscio, fino a Witkin che, in un miscuglio di suggestioni artistiche provenienti da più secoli, attraverso rappresentazioni in cui un gusto barocco per il particolare incontra la scena patinata e eccessiva degli anni ‘80, ci ha consegnato la sua opera che è già sempre la nostra.

Non possiamo non pensare che fra poco comincerà la guerra in Siria e sicuramente immagini di corpi straziati non potranno turbarci più di tanto. Ma da quando non ci turbano più? Chissà se Witkin ha la risposta.

 

(di-vagazione: 02/09/2013; imbrattamento di carta: 02/09/2013)

 

Il maestro dei suoi maestri

di Joel Peter Witkin

PAN – Palazzo delle Arti di Napoli

Napoli, dal 27 giugno al 20 ottobre 2013

 

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