“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 19 June 2013 07:14

Il corpo nella condizione di limite: animalità ed umanità

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Come fa a danzare un corpo in una condizione di limite? Quando è costretto ad uno spazio limitato ed è incarnato in un animale?
Nella Sala polifunzionale del Museo MADRE di Napoli è andato in scena, nell’ambito dell’E45 Fringe Festival, l’assolo di Fabrizio Varriale (Cie Danza Flux), dal titolo Horse Boy in apnea, un lavoro di sperimentazione fisica, tra danza ed atto performativo.

Il danzatore è già sul palco, quando il pubblico è invitato ad accomodarsi: è un fantino completamento nero con stivali alti e maschera, che galoppa su un cavallo figurato attraverso dei fili ed una cavezza. Il movimento è lento e poi incalza, ma il danzatore avanza senza che il pubblico se ne renda conto ed agita un bastone.
Questa scena iniziale è molto cruenta e rievoca una serie di immagini tragiche, come scene di guerra e combattimento, dalle fanterie romane ai templari medievali. Un senso di amaro e di attesa di qualcosa di negativo che possa verificarsi di lì a poco è molto presente ed inquietante ed accompagna più o meno tutta la performance.
Ricordi, inquietudini che animano il danzatore?
Anche la musica fa del suo, incalzando con rumori di cavalli galoppanti che sembrano poter irrompere sulla scena.
Quando la prima parte del processo sta per concludersi, il danzatore da uno stato di dominatore che afferma il suo potere, pian piano, inizia a spogliarsi per approdare ad un altro stato, in cui il corpo appare nella sua nudità animalesca ed originale (il danzatore leva maschera, stivali e rimane a busto scoperto).
Attraverso un nuovo processo, sempre con una lentezza che, con una cura infinita e rigorosa di ogni passaggio, sembra addirittura far perdere al pubblico la sensazione del movimento − tanto che questo è continuo e costante − il corpo si trasforma allora in un cavallo: scalcia, è irrequieto, è un animale destinato ad essere imprigionato nella cavezza ed, infatti, tutto il pezzo danzato si svolge sopra una pedana nera con il volto ingabbiato. Il danzatore è lì che sperimenta gli stati fisici di un cavallo che, inevitabilmente, appare comunque anche come un uomo.
L’aspetto umano è dato dalle parole che, ad un certo punto, spezzano i suoni duri degli zoccoli e dei nitriti, e convertono momentaneamente l’atmosfera in evocazioni poetiche. Una voce racconta, infatti, di un giovane ragazzo che cerca l’amore, nella notte, e, più tardi, evoca un soldato in un campo con un chiaro ed inevitabile richiamo alla scena iniziale.
L’uomo-cavallo è in apnea, vive uno stato di limite non solo spaziale (la pedana), ma anche respiratorio, sembra essere sott’acqua e tenta pian piano di risorgere.
Infatti, nell’ultima parte (terzo stato del processo), il danzatore vuole liberarsi, tende le mani verso l’alto, oppure si adatta alla condizione di limite in cui è costretto o si è costretto, e, dunque, il suo movimento diventa fluido, morbido, acquatico, si adatta a quella condizione in cui si è incasellato e non si libera mai della cavezza.
Anche la musica, in quest’ultima fase, è calzante con il processo: la lirica melodia di Arvo Pärt fa emozionare il pubblico.
La tensione e la drammaticità sono continue nella performance di Fabrizio Varriale e varie sono le interpretazioni, ma quello che si racconta in maniera estremamente rigorosa e coerente è un corpo che, con le sue sperimentazioni fisiche, riesce, con pochi elementi esterni, a creare una drammaturgia interiore ed a regalare al pubblico la possibilità di vivere immagini e sensazioni.
Il cavallo-ragazzo ricorda come l’uomo, da una condizione di potenza e dominio, può facilmente ritornare in uno stato di animalità che lo porta a vivere con sofferenza, in quanto limitato a delle condizioni elementari e biologiche, che l’uomo ha invece, con il progresso, ampiamente superato e modificato a proprio favore.
Nello stesso tempo, però, la limitatezza è una condizione che genera poesia e creatività.
Il danzatore Fabrizio Varriale ha deciso di mettersi in gioco fino in fondo, superando l’aspetto rappresentativo o puramente coreografico della danza per arrivare ad essere corpo che si incarna in un altro corpo ed in immaginari da sperimentare e scoprire.

 

 

Fringe E45
Horse Boy in apnea
interprete
Fabrizio Varriale
regia e coreografia Fabrizio Varriale, Chiara Alborino
produzione Danza Flux
co-produzione Fondazione Campania dei Festival − E 45 Napoli Fringe Festival
durata 50'
Napoli, Museo MADRE − Sala polifunzionale, 15 giugno 2013
in scena 15 e 16 giugno 2013

 

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