“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 18 June 2013 06:30

In missione per conto di Mister Samuel

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Allorquando si programmano eventi capaci di suscitare la curiosità pickwickiana, i membri del Circolo, armati di taccuino e facondia, si dirigono alla volta dell’evento per darne regesto ed assolvere alla missione statutaria del loro benemerito sodalizio. La curiosità connaturata all’animo pickwickiano risulta vieppiù titillata quando ad emettere richiamo sono faccende eminentemente correlate a quel tale scrittore che nelle sinuose, pingui membra di Mister Samuel Pickwick seppe insufflare inchiostro vitale, consegnando sé e quel bonario signore ad imperitura esistenza: Charles Dickens.

S’è data la fortuita circostanza che nell’ambito del festival teatrale che ha nome Fringe si tentasse di conferire forma drammaturgica a quello scritto dickensiano universalmente noto come Canto di Natale. I membri del Circolo, messi in fermento dalla notizia, avrebbero volentieri inviato uno di loro, ma pare furono ahinoi trattenuti da improrogabile e prefissato convegno in cui si faceva conferenza dotta del modo giusto e proporzionato di mescolare il brandy con l’acqua calda.
Sicché è toccato a noi, modesti epigoni che del Circolo ci siamo arrogati indegnamente eredità e missione, muoverci taccuino alla mano, facondia nell’animo, a prender visione di come venisse trattato il nostro nume tutelare ridotto per la scena nel suo apologo natalizio.
A prestarsi scena è la Sala degli Angeli dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, prima di raggiungere la quale, la messinscena vive un suo prologo: intruppati in due file, un attore dalla calcata zoppia che impersona la voce narrante introduce gli spettatori lungo un corridoio oblungo a scale, per poi tradurli, accalcati ed accaldati, in una stanza troppo angusta rispetto alla folla che essa deve accogliere ed ai cui angoli opposti, a due distinte scrivanie, siedono Ebenezer Scrooge ed il suo umile impiegato Cratchit. Colà ammassati, noi spettatori, complice la calura finiamo per riprodurre l’idea di quell’odore di chiuso e di stantio che doveva abitare nell’ufficio di Scrooge; ma dura poco e veniamo alfine traslati nella Sala degli Angeli, preposta ad accogliere la rappresentazione secondo i crismi convenzionali del teatro (una pedana a far ribalta, delle seggiole a far platea). È lì che prende corpo la lunga notte in tre notti che metterà il burbero, arpagonico Ebenezer a confronto con l’anima degli uomini attraverso lo specchio rifratto della coscienza.
Purtroppo, dopo un inizio incoraggiante, la drammaturgia finisce per dimostrarsi rabberciato calco del testo di riferimento, deludendo con le soluzioni sceniche adottate, quantunque pure ci fossero i presupposti per rendere il Canto di Natale un testo buono per la scena; ma la regia di Marco Mario de Notaris si rivela poco capace di elevarsi da una medietà che non riesce mai a far vibrare le corde più autentiche del sentimento dickensiano. Quel che manca è l’’anima’, quella capacità propria di Dickens di far pulsare l’atmosfera, di far vibrare i momenti facendo percepire l’odore acre dei comignoli fumanti, l’atmosfera di gaiezza d’un Natale londinese che s'imbianca del bianco della neve, che si colora dei colori dei frutti di stagione, che profuma del profumo di pudding e tavole imbandite; insomma, in luogo di quella capacità tipicamente dickensiana di evocare tutto ciò e di farlo penetrare nei sensi quand’anche lo si legga nella controra d’un pomeriggio d’estate, si respira nella messinscena forte la sensazione che quelle stesse atmosfere non sarebbero state ricreate nemmeno se si fosse andati in scena la notte di Natale.
Il testo dickensiano è come appiccicato con pedissequa aderenza alla scena, non s’arricchisce di slancio drammaturgico alcuno (fatta eccezione per i primi due quadri, che ci avevano lasciato presaghi di intenti più ambiziosi), né tantomeno funziona l’espediente di offrire uno Scrooge dal timbro vocale forzosamente arrochito in un tentativo di renderne la burbera essenza che finisce invece per produrre un effetto ai limiti del caricaturale. L’aderenza filologica ci consegna tre spiriti fedeli negli abiti, ma certo non può bastare: la tunica bianca, la verde gualdrappa, la nera schiavina degli spiriti dickensiani sono vesti di scena cui non corrisponde effettivo spessore – ancorché di spettri diafani debba trattarsi – dei personaggi interpretati, che non s’animano mai di reale sostanza, oltrepassando la soglia del risibile allorquando lo spirito del Natale presente fa il suo ingresso in pedana brandendo a ritmo di musica una sorta di luce stroboscopica in stile Last Days of Disco.
Fino al raffazzonato epilogo, che sembra quasi aver fretta di condurre a conclusione la rappresentazione.
Con tutta la bonomia di cui s’intinge il nostro inchiostro, ci risulta difficile consegnare La notte di Scrooge all’elenco degli eventi notevoli che meritino posto nella silloge del Circolo dickensiano di cui ci diciamo epigoni.
Prendendo spunto dal pickwickiano convegno in cui si dissertava sulle opportune proporzioni con cui mescolare l’acqua calda col brandy, in questa Notte di Scrooge è stato un po’ come se ci sia stata soltanto acqua calda, senza brandy.

 

 

Fringe E45
La notte di Scrooge
tratto da Canto di Natale (A Christmas Carol)
di
Charles Dickens
traduzione e adattamento Marco Mario de Notaris
con Marco Mario de Notaris, Giuseppe Fiscariello, Andrea Contaldo, Annarita Ferraro, Serenella Tarsitano, Francesca De Nicolais, Irene Grasso, Gabriele Gigante, Nicola Narciso, Danilo Piscopo
produzione Pietraio Produzioni
in coproduzione con Fondazione Campania dei Festival – E45 Napoli Fringe Festival
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa – Sala degli Angeli, 15 giugno 2013
in scena 14 e 15 giugno 2013

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