“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 09 June 2013 02:00

Luigi Incoronato: la ragione, il silenzio, il suicidio

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“Come tutte le mostruosità, Napoli non aveva alcun effetto su persone scarsamente umane, e i suoi smisurati incanti non potevano lasciare traccia su un cuore freddo” (p. 170).

Così dice Anna Maria Ortese ne Il silenzio della ragione, uno dei racconti de Il mare non bagna Napoli (1953). Si parla degli intellettuali napoletani in questo racconto, della generazione di Compagnone, Domenico Rea, La Capria, Prunas, Prisco. Non si parla di Luigi Incoronato, lo si nomina solo. Era ancora vivo allora. Poi nel 1998 è stato pubblicato Napolitan graffiti di La Capria, altro libro su quella generazione, e ancora non si parla di Incoronato, che intanto è morto, da anni.
Il cuore di Incoronato doveva essere troppo caldo.

Nato a Montreal da madre piemontese e padre molisano, Incoronato lascia il Canada a dieci anni, studia a Palermo e poi a Pisa, si laurea in Lettere a Napoli. Qui si ferma. Qui, il 26 marzo 1967, a quarantasei anni, muore suicida.
Prima di morire ha patito la depressione, è stato in una casa di cura a lungo. Felice Piemontese, in Fantasmi vesuviani (2009), dice che Incoronato si suicida pochi mesi dopo essere uscito dalla casa di cura, lasciando un testamento letterario che a leggerlo fa riflettere (Piemontese cita da I napoletani, 2005, di Generoso Picone):
“Lo scrittore che era in lui poteva andare verso il silenzio, se non aveva la possibilità di rapire il nuovo, ma non avrebbe certo ripetuto se stesso per vizio di consuetudine”.
In seguito alla sua morte è stato ritrovato, e pubblicato nel 1968, il lungo racconto Le pareti bianche.
C’è molto di autobiografico in quest’opera: si parla di un ufficiale che, tornato momentaneamente in Italia dopo essere stato ferito nel fronte greco-albanese (dove Incoronato ha combattuto ed è anch’egli stato ferito, guadagnandosi una medaglia di bronzo), finge un’amnesia pur di non tornare in guerra. Ha visto troppo, non sopporta, e sa che dimenticare è impossibile:
“Ma i momenti ossessivi della guerra erano in noi e non sparivano. E forse erano quelli che avremmo voluto dimenticare. Di quelli volevamo liberarci, a quelli volevamo sfuggire. Ma era come se avessero preso piede in noi, messo radici” (p. 58).
Il protagonista simula la follia, ma sa che qualcosa in lui è cambiato, e sa che prima o poi dovrà farci i conti. Intanto deve tacere.
Le pareti bianche è una storia cupa, senza alcuno spiraglio di luce: nessuna speranza vi è in Incoronato.
Miriam Lombardi, nella postfazione a L’imprevisto e altri racconti (2006), parla di una doppia chiave di lettura di cui una è allegorica: il silenzio del protagonista è il silenzio di Incoronato negli ultimi anni di vita, e cioè di un intellettuale in crisi che ha “accertato l’inutile assurdità del proprio ruolo” (p. 294), di un intellettuale in crisi il cui racconto postumo si intitola A che serve uno scrittore?
Ritorna il silenzio, in Incoronato, ritorna come una cappa di vacuità annichilente. Eppure lo scrittore parlava, e Piemontese ricorda come egli fosse “l’unico, tra gli ‘scrittori napoletani’, che si mostrasse interessato al dialogo con giovani e giovanissimi aspiranti scrittori, tanto più che le inquietudini che lo tormentavano riguardavano anche, se non soprattutto, il suo modo di concepire la letteratura” (p. 22). Un modo impegnato, da comunista legato al concetto di engagement, espresso fin dal suo libro di esordio, Scale a San Potito (1950), in cui protagonista è un intellettuale che vuole essere al servizio del popolo e che, per farlo, condivide la vita sordida dei miserabili napoletani su una scala. È un romanzo fitto di dialoghi, ed è paradossale la volontà di parlare dell’intellettuale – alter ego di Incoronato – al cospetto del silenzio degli ultimi:
“In verità, preferiva non parlare di nulla. L’unico che avviasse il discorso ero io, e spesso con esito incerto. M’ero incaponito a ritenere che quel suo mutismo non fosse pura e semplice incapacità di discutere” (p. 22).
C’è qualcosa che ha ammutolito Incoronato, qualcosa che in meno di vent’anni deve averlo devastato. Non lo sapremo mai. Il suo cuore doveva essere troppo caldo per questa città, tanto che la mostruosità di Napoli deve averlo a un certo punto inghiottito, una mostruosità che, probabilmente, risiede nella rassegnazione tipicamente napoletana che cozzava con i propositi dell’Incoronato, rassegnazione che inquadra perfettamente Mario Stefanile in un libro dal titolo emblematico, Labirinto napoletano (1958):
“Sembrava veramente che Napoli volesse chiudersi e per sempre nella sua agonia, senza un solo movimento di ribellione: e anche nelle sue proteste, nelle sue invettive, nei suoi lamenti c’era un che d’assurdo, di stanco, di perduta voce che sa di chiamare nel deserto o in un affresco di società in frantumi” (pp. 18-9).
La Ortese questo silenzio di Napoli l’ha capito, lo chiama il ‘silenzio della ragione’, e lo dice tutto secondo la sua natura visionaria e profetica:
“Qui, il pensiero non può essere che servo della natura, suo contemplatore in qualsiasi libro o nell’arte. Se appena accenna un qualche sviluppo critico, o manifesta qualche tendenza a correggere la celeste conformazione di queste terre, a vedere nel mare soltanto acqua, nei vulcani altri composti chimici, nell’uomo delle viscere, è ucciso” (p. 117).
Non a caso, come dice ancora la Ortese, “tutti erano indifferenti, qui, quelli che desideravano salvarsi” (p. 156).
Perché è morto Incoronato? Non lo sapremo mai. Ma lo ha fatto a Napoli, dopo aver vissuto Napoli, cercando di sopravvivere a Napoli: in silenzio.

 

NOTA BENE: la foto di Luigi Incoronato, reperita sul sito Internet della rivista Iustitia (http://www.iustitia.it/archivio/5_marzo_07/documenti/documento2.htm) è ad opera di Mario Riccio, dal 1964 all'85 fotografo della redazione napoletana de L'Unità.

 

Luigi Incoronato
Le pareti bianche
Arnoldo Mondadori, Milano, 1968
pp. 231

 

Luigi Incoronato
Scala a San Potito
(1950)
Pironti, Napoli, 1988
pp. 133

 

Luigi Incoronato
L’imprevisto e altri racconti
a cura di Francesco D’Episcopo e Miriam Lombardi
Pironti, Napoli, 2006
pp. 302

 

Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
(1953)
Adelphi, Milano, 2008 (I edizione, 1994)
pp. 176

 

Felice Piemontese
Fantasmi vesuviani
Hacca, Matelica (MC), 2009
pp. 109

 

Mario Stefanile
Labirinto napoletano. Studi e saggi letterari su scrittori di ieri e di oggi
E.S.I., Napoli, 1958
pp. 327

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