“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 09 June 2013 02:00

"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino

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Roma. Capitale delle contraddizioni. Di giorno simulacro di grazia e beatitudine, di notte rumorosa e volgarmente coatta. Sulle terrazze borghesi e presuntuose di una città che appare indifferente e calamitante, si consumano feste pacchiane che riflettono e riempiono il vuoto dei personaggi in perpetua agitazione sotto lo sguardo assuefatto e distaccato di Jep Gambardella.

Paolo Sorrentino torna a lavorare con il suo attore-feticcio Toni Servillo, a cinque anni da Il Divo, per un’opera sentimentale di non facile descrizione che raccoglie l’intenzione di Flaubert di scrivere un libro sul Nulla ed ottiene ben 5 minuti di applausi alla 66esima edizione del Festival di Cannes.
Il tema della rassegnazione ad un percorso di vita rivolto al passato, già preannunciato in This must be the place, è qui sviluppato come ricerca della “grande bellezza" nascosta tra i monumenti imperiali e inarrivabili di Roma. Il critico d’arte Jep Gambardella è rimasto inchiodato al suo primo buon romanzo e non trova la forza per sfuggire alla noia e all’inettitudine del vivere. Circondato dagli innumerevoli e goffi tentativi altrui di lasciare una traccia di sé nel mondo, Jep aspetta che sia il mondo a restituirgli qualcosa, un segnale di senso che lo inviti a tornare a vivere e a scrivere un nuovo romanzo, in una società ormai alla deriva che maschera le proprie ipocrisie con finte certezze. È un mondo ossessionato dall’esserci, dal non mancare mai ad un appuntamento mondano, col bisogno di precise ritualità che emergono in ambienti differenti, persino in quello religioso: “Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile” .
Sacro e profano, amoralità e misticismo, si rincorrono talvolta intrecciandosi, lasciando spazio allo squallore, alla volgarità, a personaggi addolorati che si trascinano in maniera inadeguata come adulti incapaci di dare risposte alla propria vita, a bambini sfruttati per produrre una fantomatica arte da migliaia di euro, o ad un cardinale che propone ricette a base di carne, nella grottesca moda di parlar di cibo che raggiunge anche le più alte sfere del clero. Sorrentino non risparmia nessuno ma prova affetto per tutti, lo si vede nel gioco di amare chi normalmente non è amabile e nella pretesa di cercare la bellezza ovunque, se necessario, anche dietro il patetico e lo squallore. Alcuni sono salvati dall’arte, che consente uno scatto di fantasia laddove la realtà appare vuota (Sorrentino innesta però una sottile critica dell’attuale stato dell’arte, ormai sotterrata sotto i miseri “tentativi di stile” di gente improvvisata); altri conquistano il beneplacito di Jep e del pubblico grazie alla propria bontà/ingenuità (Romano, il migliore amico di Jep, non è intriso di cinismo come gli altri, ha scarso talento ma un gran cuore) o ancora grazie alla propria onestà/fiducia (Ramona è delusa dalla vita quanto Jep ed i due troveranno lievemente sollievo insieme, riuscendo a provare un bene che avevano dimenticato).         
La grande bellezza è un film di solitudine non privo di ironia, ricco di momenti poetici, di silenzi che raccolgono la speranza di esistere, di riuscire a “sentire” ancora qualcosa. “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore”, in una Roma bellissima, priva di traffico, un cimitero monumentale isolato come alle prime luci dell’alba, in cui restare abbagliati dall’ombra di un passato glorioso, irripetibile, più onesto e vivo di noi stessi. Sorrentino posa gli occhi sulla città di Roma come uno “che viene da fuori”, ancora capace di sorprendersi, di fermarsi in silenzio di fronte ad opere artistiche che sono parte integrante del particolare contesto urbano capitolino. Jep si sforza di trovare nella bellezza monumentale la spinta per un’umana redenzione.     
Abituato a vedere il tormento, la freddezza, l’incomunicabilità, il protagonista si crogiola nella rinuncia fino ai suoi 65 anni, soffrendo e circondandosi di apparente felicità: “Non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani”.
Come tutte le grandi città, Roma offre la possibilità di disperdersi nelle sue tante ed effimere tentazioni, concedendoci la dolce ma tremenda percezione che non si va mai da nessuna parte. “Vivere a Roma è un modo di perdere la vita” diceva lo scrittore Ennio Flaiano. Nei piccoli centri urbani, il ritmo della quotidianità ha una cadenza regolare capace di conferire alle cose un senso, un significato ben preciso; la grande città invece è caotica, dispersiva, non sempre permette di assimilare tutto quanto sta accadendo e a lungo andare ti pone di fronte alla più dura verità: la vita è faticosa. Nello sforzo di trovare un senso, nonostante una vita agiata, Jep sceglie di abbandonarsi al nonsense, desiderando di primeggiare almeno in quello, questo perché “la grande bellezza” è inafferrabile, è il sublime, è qualcosa che il più delle volte non arriverà mai. Ed è una tale tremenda consapevolezza a spingere i personaggi a volgersi indietro, ad avere nostalgia del passato, a ricordare quel tempo in cui si credeva che ogni cosa fosse possibile, il tempo in cui aspettavi la grande bellezza o credevi di averla trovata:
“Che avete contro la nostalgia? È l’unico svago che resta a chi è diffidente verso il futuro”.
E se la grande bellezza investe anche solo per un attimo la nostra esistenza, non può più esserci un “dopo”, non ci si può di nuovo riversare nella mediocrità della vita. Jep Gambardella non ci riesce e Sorrentino chiede comprensione per il suo protagonista; lo fa suggerendoci fin dall’inizio la chiave di lettura di questo stato d’animo, regalandoci, in chiave simbolica, l’immagine di un turista che non sostiene la bellezza di Roma.

 

 

La grande bellezza
regia Paolo Sorrentino
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Giovanna Vignola, Roberto Herlitzka, Luciano Virgilio, Isabella Ferrari, Dario Cantarelli, Giorgio Pasotti, Serena Grandi
soggetto Paolo Sorrentino
sceneggiatura Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
fotografia Luca Bigazzi
musiche originali Lele Marchitelli
paese Italia, Francia
distribuzione Medusa
lingua originale italiano
colore colore
anno 2013
durata 143 min.

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