“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 03 June 2013 02:00

Mamù

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Canzoni e poesie 
pugnali e parole 
i tuoi ricordi 
sono vecchi ormai 
e i sogni di notte 
che chiedono amore 
cadono al mattino 
senza te 
cammina da solo 
   urlando ai lampioni 
non resta che cantare ancora 

Scivola vai via (Vinicio Capossela) 



La scena iniziale è quella di una modesta cucina in cui una madre vigorosa (Ida Anastasio) e il figlio disabile Filippo (Giovanni Allocca) conducono una vita frugale ma ricchissima di sentimenti.

La comunicazione fra i due avviene a molteplici gradi di coscienza e la dolcezza con cui la madre rivolge il suo sguardo verso il figlio indifeso ha indotto il pubblico e chi scrive a patire insieme ai protagonisti. Lo slancio affettivo e premuroso che promana dal temperamento ardente della mamma napoletana sembra più volte assumere la forma della promessa di un’eterna assistenza. La fede ingenua, infatti, che la genitrice continuerà sempre a riempire d’affetto verso il figlio Filippo è tutta condensata nel tenero appellativo “Mamù” con cui quest’ultimo si rivolge alla madre, che non manca di rimproveralo anche severamente quando la richiesta di attenzioni si fa insistente. Alla promessa di Mamù segue così la fiducia incondizionata di colui che, privato del padre, non ha altro cui affidarsi se non alla tempra e alla forza d’animo di chi lo ha generato.
Ma all’atto tutto umano del promettere si contrappone l’oblio forzato dall’Alzheimer che non permette più di rispondere di sé come avvenire. Mamù inizia a dimenticare ciò che ha fatto solo pochi minuti prima, perde ogni cognizione spazio-temporale, in altre parole smarrisce quel dominio di sé sul quale si puntellano le speranze di un figlio, che non ha la possibilità di progettarsi in un mondo dove sono venuti a mancare sensibilità, etica, valori, qualità, anima, coscienza, spirito. Un mondo ancora dominato da un paradigma scientifico che si ostina a difendere il soggetto cartesiano risolto esclusivamente dalla ragione, che esclude e rimuove la diversità fisica e mentale in nome di una presunta normalità. Ma di folle non c’è assolutamente nulla in quel “Mamù” che suonava alla mie orecchie come un invito pressante a essere amato da chi, anche solo con un rimprovero, riesce a far sentire forte la sua presenza.
Con il secondo atto la scena cambia e gli spettatori assistono a una mutamento dei ruoli, per cui ora è Filippo che, in una clinica gestita da suore, cerca di prendersi cura della madre malata. Il modo in cui cerca di restituire almeno in parte il bene ricevuto è toccante; si rivolge infatti più di una volta alla madre definendola “bambola”, perché comprende che ad agire e muoversi ora non è più la persona forte e allo stesso tempo sensibile e premurosa che si aggirava per casa, ma una “fanciullina” che guarda nuovamente il mondo con gli occhi incantati dell’innocenza. È questo il momento in cui due sofferenze si incontrano, quella consapevole e desta di Filippo e quella inconsapevole di Mamù, che aveva donato tutta se stessa al figlio. Quanto pahos poi promana dalle parole in dialetto napoletano di chi cerca di sostenere una madre che esclama di "avere in testa un cielo attraversato da macchie”, quando prima c’erano tutte le gioie e le preoccupazioni che le procurava il figlio.
Le macchie lasceranno infine posto al buio pesto creato dai fili di zucchero filante in cui è degenerata la mente fertile e vigile di Mamù, che scivola via nonostante gli sforzi di Filippo di “fermarla“ e stringerla amorevolmente a sé, fino all’ultimo filo di zucchero, ovvero fino all’ultimo pensiero che ancora riesce a trovare un barlume di espressione. I miei complimenti a Pippo Cangiano che, senza mai abbandonarsi a facili sentimentalismi, con la sua regia è riuscito a restituire pienamente la paura, la solitudine e la rabbia di chi vive in prima persona un disagio, e agli attori la cui capacità di entrare in empatia con i personaggi che interpretano è a dir poco mirabile.





L’ultimo pezzo di cotone di zucchero

testo e regia Pippo Cangiano

con Giovanni Allocca e Ida Anastasio

durata 1h 15'

Caserta, Teatro Civico 14, 19 maggio 2013

in scena dal 18 al 19 maggio 2013





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