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Tuesday, 10 May 2022 00:00

"The Northman": vendetta, volere e predestinazione

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Il freddo che da sempre domina la tragedia è, in questa feroce epopea vichinga, guida e sintesi della drammatica condizione umana, scaturita da un destino che fa scorrere il tempo sulla scia di una lotta perenne.

Traendo ispirazione dalla mitologia norrena e dalle leggendarie storie di antichi sovrani scandinavi, l’ampia visione di Eggers e del poeta islandese Sjón si avviluppa ed espande intorno alla figura del giovane Amleth, figlio di re Aurvandill e della regina Gudrún, il quale assiste di nascosto all’assassinio del padre da parte dello zio Fjölnir, usurpatore del trono e della sposa del proprio fratello. Il ragazzo riesce a fuggire e, cresciuto in mezzo a stranieri, diventa un berserkr: guerriero inarrestabile, sanguinario e senza scrupoli, intento a depredare villaggi e compiere soprusi di ogni genere. Ma sin dalla fine della sua infanzia, avvenuta di colpo con l’omicidio del genitore e preceduta dall’animalesco rito di passaggio attraverso il quale veniva sancito l’ingresso ufficiale nella spietatezza del mondo, l’esistenza del giovane uomo sarà improntata su un solo obiettivo: la vendetta. “Ti vendicherò padre, ti salverò madre, ti ucciderò Fjölnir” è il mantra che il figlio del re assassinato ripete a se stesso; emblema e veicolo della propria sorte. In questo universo selvaggio e privo di morale, padroneggiato da forze naturali mostruose e incontrastabili, il fato è predestinazione e non può essere discusso, né aggirato. Esso è il percorso che porta al culmine della propria esistenza, all’allineamento di quest’ultima allo scopo che è stato assegnato a ciascuno sin dalla nascita. Tuttavia è anche un sentiero misterioso, visione offuscata di una volontà che va ben oltre la capacità di prevedere il futuro e la decisione di perseguire con onore una strada già tracciata: le sue vie restano imperscrutabili e inaccessibili, non hanno un perché e ad esse non si può sfuggire.
Ecco che, pur illuminato sul proprio futuro e richiamato al rispetto dell’antico voto da una strega veggente, Amleth deve fare i conti ogni momento con l’inconoscibile, deve ricorrere di continuo all’audacia e all’astuzia che chiariranno, passo dopo passo, in quale modo agire. In questa sua missione vendicativa sarà aiutato da Olga, una giovane maga incontrata fra gli schiavi inviati in Islanda, con i quali l’uomo si è imbarcato di nascosto dopo aver saputo che Fjölnir viveva lì in esilio insieme a tutta la sua famiglia, a seguito dello spodestamento per mano di altri usurpatori. Il destino cruento non è però legato alla colpa, quale provvidenziale punizione di ingiustizie, non è vero e proprio riequilibrio ma bensì il convergere di energie che si risolvono infine l’una nell’altra, se necessario nel corso di più generazioni, annullandosi o incalzandosi vicendevolmente in un fluire continuo. La scelta di queste vicende che intrecciano miti, storie dell’antica Europa, culti atavici, è stata ponderata dalla regia e dagli sceneggiatori: Eggers ha voluto rappresentare il mondo al confine fra la realtà e il Walhalla e l’ha fatto curando ogni dettaglio, infondendo nell’aspetto e nelle vesti dei personaggi l’asciutta evidenza di un’identità profetizzata.
Qui si fruisce di una visione imponente e intima, che snocciola le suggestioni degli immensi e vuoti spazi naturali più attraverso il serrato focus sui protagonisti e sulle loro emozioni che sulla descrizione degli ambienti. È un progetto coraggioso che lascia intatto il misticismo e l’aura di assordante silenzio del creatore di The Witch pur instillandovi qualche orpello derivato da necessità hollywoodiane che bramano un più ampio respiro popolare. Il regista riesce a trattare questa pellicola con uno spessore e un’introspezione lontanissimi dall’epica veloce e patinata di tante rappresentazioni “toste” sulla mitologia e sulla cultura nordeuropea, con il loro piglio carnevalesco e machista, generatore di posticci e rigonfi supereroi da action movie. Eggers sperimenta con consapevolezza una misura accattivante, che ha dimostrato essere in grado di gestire tramite una spiritualità grezza ma insieme sottile e seducente. La straordinaria fotografia è grottesca seppur concreta, alterata nel segno di una più o meno vaga matrice horror in equilibrio tra l’affascinante aria di sospensione, l’indefinitezza della fiaba o la teatralità di certi tagli visuali e la verosimiglianza, la chiarezza del riferimento storico in particolari e ambientazioni.
La forza del film è anche, come sempre, nella recitazione dei suoi interpreti, che dimostrano di avere piena fiducia nel progetto e di credere fino in fondo nei propri personaggi. Il ritmo della recitazione e l’andamento sono incalzati da un fondo sonoro di grande impatto, in cui tribali strumenti a percussione sono presi direttamente in prestito da un mondo perduto, e un’impressionante figura di Valchiria è portavoce di un universo macabro e potente sostanziato dal culto delle tradizioni che rimandano sempre all’origine e alla fine del tutto. Edificante e lugubre è anche l’emozione suscitata dall’immaginario albero genealogico, dalle cui basi costituite di avi putrefatti discende la vita di giovani posteri, portatori di altra esistenza e destinati a conoscere a loro volta il termine della propria. La nudità, il sangue, il sesso, brutale ma costruttiva espressione dell’istinto, sono in questo lavoro appartenenza e legante fra tutte le culture, ma soprattutto fra le componenti interiori di ogni singolo individuo, veicolo di forza e sorgente di pura energia vitale. Ritorna sempre l’enigma dell’assegnazione di colpe e meriti; ogni personaggio è carnefice ma anche vittima, e ciò vale doppiamente per il protagonista dalle mani macchiate di sangue, accecato dall’odio a causa del dolore provato durante l’infanzia e attorniato da nemici che si portano dietro il medesimo fardello. Egli non può però esimersi dalla devozione nei confronti al padre, non può non accondiscendere alla sua volontà, esplicitata durante il rituale e ribadita in punto di morte, di ottenere vendetta per mano del figlio.
Le ambiguità di tutti i personaggi perdureranno fino alla fine, ma il protagonista scoprirà qualcosa di inaspettato che si trovava già dentro di lui e che fino a quel momento non era stato in grado di riconoscere, qualcosa che avrebbe potuto essere in grado di spezzare il suo destino. Il finale rivela l’unica soluzione possibile mentre una domanda da porsi, in chiave molto moderna, è quella da ricollegare alle stesse opere shakespeariane fra le quali sgorga l’Amleto, derivato dalla leggenda nordica per essere poi ripreso da Saxo Grammaticus. Si tratta di qualcosa di simile a quell’interrogativo che anche il Macbeth pone: è davvero il destino ad aver plasmato la vita del tragico eroe della storia, qui colpevole e innocente al contempo, o è la fede in quella rivelazione divina, ad aver sospinto e dunque determinato le gesta terrene di quest’ultimo?





The Northman
regia
Robert Eggers
sceneggiatura Robert Eggers, Sjón
con
Alexander Skarsgård, Oscar Novak, Nicole Kidman, Claes Bang, Anya Taylor-Joy, Ethan Hawke, Willem Dafoe, Elliott Rose, Gustav Lindh, Elda Skar, Phil Martin, Ingvar Eggert Sigurðsson, Björk, Olwen Fouéré, Kate Dickie, Ian Whyte, magne Osnes, Ralph Ineson, Hafþór Júlíus Björnsson, Doa Barney, Ian Geard Whyte, Kattie Pattinson, Murray McArthur
fotografia Jarin Blaschke
montaggio Louise Ford
musiche Robin Carolan, Sebastian Gainsborough
scenografia Craig Lathrop
costumi Linda Muir
casa di produzione Regency Enterprises
distribuzione Universal Pictures
paese Stati Uniti, Regno Unito
linua originale inglese
colore colore
anno 2022
durata 137 min.

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