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Tuesday, 28 December 2021 00:00

La radice esistenziale dell’arte

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A partire dalla “relatività ristretta” di Albert Einstein, nell’ambito della fisica con spazio-tempo ci si riferisce alla struttura quadridimensionale dell’universo composta dalle tre dimensioni dello spazio –  lunghezza, larghezza e profondità – e dal tempo. Il recente volume dell’artista visivo Gian Maria Tosatti, Esperienza e realtà. Teoria e riflessioni sulla quinta dimensione (Postmedia Books, 2021), affronta il rapporto tra le dimensioni fisiche dello spazio-tempo e quella dell’esperienza.

L’autore riflette sul concetto di “circostanza artistica”, sul rapporto che si genera tra osservatore e opera, che poi nei fatti rappresenta l’essenza stessa dell’arte, e lo fa sottolineando come il rapporto tra fisica classica e moderna abbia modificato la percezione della realtà incidendo in maniera significativa sulla filosofia novecentesca e sull’arte contemporanea. La scoperta delle particelle subatomiche ha mostrato l’inattendibilità delle misurazioni tradizionali nelle grandezze infinitamente più piccole: “Ciò che vale per il macro non è detto che valga per il micro. Quel che vale per la dimensione del visibile non è detto che valga nella dimensione dell’invisibile”. Per certi versi l’arte si concentra su quelle forze che per quanto invisibili “insistono sulla realtà e che sono la realtà stessa”. Essendo che non possono esistere due realtà obbedienti a due fisiche differenti nello stesso scenario – la teoria quantistica, infatti, non si pone come alternativa alla fisica tradizionale ma come teoria che assume e corregge quest’ultima –, allora occorre domandarsi se le “leggi quantistiche” con cui si misura l’esperienza estetica coincidano con quelle con cui si misura e valuta l’esperienza fisica. “Se l’opera è una realtà allora l’esperienza estetica costituisce una esperienza a tutti gli effetti e il valore dei fenomeni estetici è equivalente a quello dei fenomeni fisici”. Essendo che l’esperienza estetica e quella fisica risultano entrambe afferenti ad un’unica realtà nella sua complessità, allora l’esperienza è da intendersi come unica e indivisibile.
Oltre a fare proprie alcune riflessioni di John Dewey e Andrej Tarkovsky, nella sua trattazione Tosatti riprende il convincimento di Marco Senaldi (Art as Experience e l’arte contemporanea, 2007) che invita a ricoprire la continuità fra l’esperienza estetica e il normale processo di vita ritenendo che occorra focalizzarsi sul processo più che sul prodotto e sul godimento della sua percezione, recuperando il senso esperienziale dell’arte in quanto “determinata dalle condizioni  di vita che il soggetto esperimenta interagendo con l’ambiente”. Tali posizioni, sottolinea Tosatti, non annullano la distinzione tra artista e partecipante ma “spostano la prospettiva sull’oggetto artistico da entità inerte a elemento necessariamente dialettico”. L’opera d’arte si propone come esperienza innanzitutto a chi crea, a colui che “restituisce la propria stessa relazione fisico-emotiva con il contesto di riferimento”, mentre al fruitore si richiede di “ri-creare l’opera d’arte sulla imprescindibile base del suo specifico rapporto con il contesto”. All’artista sembrerebbe spettare il compito di trasmettere con la massima fedeltà al visitatore “l’esperienza che egli stesso ha compiuto”. Il “valore dell’opera” andrebbe dunque a collocarsi “nell’attrito fra un corpo e il suo contesto, qualcosa per cui non c’è unità di misura”.
Una volta indagato il ruolo che l’esperienza estetica ha nella realtà, riprendendo Umberto Eco, Tosatti ragiona su come l’opera aperta rappresenti la sintassi di un linguaggio artistico inaugurato nel primo Novecento, dunque riflette su cosa significhi adottare quella sintassi, ossia cosa significhi “scrivere in una lingua che non riproduce la realtà, ma è la realtà, giacché tutti i piani di quest’ultima, quelli fisici e quello linguistico, sono di nuovo coniugati”. Nel momento in cui la realtà diviene linguaggio, l’indeterminatezza del racconto, della musica, dell’immagine, sostiene l’autore, si “sposta nell’indeterminatezza della realtà esperita. Le opere ambientali diventano campi dell’esperienza in cui tutte le dimensioni della realtà sono messe in discussione e poste in attrito con la libertà assoluta dello spettatore”.
Tosatti insiste su come l’opera d’arte ambientale sia il campo in cui tutte cinque le dimensioni della realtà – dello spazio-tempo e dell’esperienza – giungono a fondersi “nell’immediatezza della realtà” con duplice valore. “Da una parte essa vale per il suo contenuto, per la prospettiva specifica entro cui vuole convogliare il nostro sguardo o la nostra integrale esperienza. Dall'altra, però, essa assume il valore peculiare e politico di dimostrarci come una realtà che sia costruita sulle basi dell’estetica sia possibile”. Operare con la realtà come linguaggio è, prima ancora che un gesto artistico, un gesto politico. “È un’azione di ricostruzione del tessuto del reale, è l’apertura di regioni della realtà in cui non vi sia separazione tra immaginario e fisico. Da un certo punto di vista è un modo di riformare il mondo”.
In Esperienza e realtà, Tosatti invita a pensare lo spazio dell’arte non come a uno spazio fisico ma come a uno spazio politico, esistenziale, di connessione tra il singolo e la società. L’opera, anziché darsi come spazio fisico, risulta costituita dalla vibrazione che produce sulla realtà ed è questo che la rende pienamente e orgogliosamente politica.





Gian Maria Tosatti
Esperienza e realtà. Teoria e riflessioni sulla quinta dimensione
Postmedia Books, Milano, 2021
pp. 320

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